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Iraq. Gli orrori e gli errori di una guerra asimmetrica

Editoriale di Radio Città Aperta

(8 Aprile 2004)

Era già accaduto ed è accaduto di nuovo. I soldati italiani inviati in missione all’estero hanno fatto fuoco ed hanno ucciso dei civili, 15 iracheni per l’esattezza, tra cui una donna e due bambini. Era accaduto undici anni fa in Somalia, al check point “Pasta” di Mogadiscio, in una missione in cui l’Italia - scrisse il New York Times - aveva perso l’innocenza mandando in frantumi il falso mito degli “italiani brava gente”.

I comandi militari italiani affermano di aver fatto un uso “limitato della forza” e di aver rispettato le regole di ingaggio, ma i risultati offrono una versione radicalmente diversa. Da una parte 12 bersaglieri feriti lievemente, dall’altra 15 morti e decine di feriti. Dove sarebbe l’uso “limitato” della forza? Al contrario, i fatti rivelano che i militari italiani hanno sparato sulla folla di manifestanti che bloccava uno dei ponti di Nassirya. Questi sono i risultati inevitabili della “guerra asimmetrica” combattuta tra soldati di professione da una parte e popolazione e combattenti civili dall’altra. E’ uno scenario nuovo ma ormai conforma la realtà dalla Somalia alla Palestina, dalla Jugoslavia all’Iraq.

Nello scenario di Nassirya, già segnato dall’uccisione dei soldati italiani in Novembre per mano della guerriglia irachena, ad andare in frantumi non è solo la supposta innocenza dell’Italia ma è soprattutto l’ipocrisia di chi, al governo o all’opposizione, ha continuato a mascherare come una missione di pace il coinvolgimento italiano in una guerra d’occupazione. Se questo è, ed i fatti lo stanno dimostrando drammaticamente, l’Italia non può sentirsi assolta dalle responsabilità e dai crimini di una occupazione coloniale né è pensabile che quest’ultima possa trasformarsi d’incanto in un’altra cosa mettendo il casco blu dell’ONU agli stessi soldati che hanno fatto fuoco su una manifestazione di iracheni o che hanno arrestato mesi fa gli esponenti del movimento dei disoccupati di Nassirya. Infine, non si può continuare a far finta di nulla sulla percezione assai diversa, e niente affatto benevola, che hanno gli iracheni dell’ ONU che ha voluto e gestito dodici anni di embargo ed ha chiuso gli occhi sulle ripetute provocazioni statunitensi contro l’Iraq.

Il governo della guerra, nelle dichiarazioni di Berlusconi, Martini, Fini continua a sostenere una tesi insostenibile: “se andiamo via dall’Iraq il paese precipiterà nel caos”. Oppure: “se andiamo via cediamo al ricatto dei terroristi”. Entrambe le argomentazioni sono risibili e farà bene Fassino a cessare di concedere credibilità a tali tesi. Il caos nell’Iraq, infatti, lo ha portato proprio l’aggressione militare anglo-statunitense e il suo tentativo di balcanizzare il paese incentivando le rivalità tra le varie componenti etniche e religiose ed istituendo un governo provvisorio screditato agli occhi degli iracheni.

Nell’Iraq di oggi, il fattore destabilizzante non sono gli sciiti o i sunniti ma la presenza delle truppe di occupazione straniere. Mantenere queste truppe sul territorio iracheno, anche con il mandato dell’ONU ma senza una chiara discontinuità che preveda il ritiro delle truppe oggi sul terreno, sarebbe una arrogante e lucida follia.

In secondo luogo, i governi subalterni agli Stati Uniti, come quello italiano, continuano a confondere la resistenza di un popolo con il terrorismo. Lo hanno fatto con i palestinesi, lo stanno facendo con gli iracheni, intendono farlo in tutti gli angoli del mondo.

In questo caso l’errore di valutazione, se solo di questo si trattasse, sarebbe clamoroso. La resistenza palestinese e quella irachena stanno dimostrando di essere solo la punta di aspirazioni e aspettative ampiamente diffuse e radicate nella popolazione: l’aspirazione ad uno Stato indipendente nel primo caso, il recupero della piena sovranità nazionale nel secondo. In entrambi i casi è l’occupazione coloniale la causa di una resistenza multiforme, talvolta disperata ma non priva di un progetto politico e di una aspirazione che non possono essere sconfitti dall’oppressione militare. Questa realtà, prima viene compresa meglio è. Lo dimostrano i fatti di Nassirya, lo confermano i fatti di Madrid. Fare dell’Italia uno dei paesi belligeranti ed occupanti di questa guerra è una sciagura alla quale va posto rimedio quanto prima. In tal senso il ritiro immediato dei militari italiani dall’Iraq senza “se” e senza ONU è un passaggio che va imposto al governo in tempi rapidi, assai più rapidi di quanto la politica bipartizan sia disposta a fare.

Radio Città Aperta

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