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Viareggio: Noi siamo gli uomini, le donne, i bambini di Sant'Anna, Jenin, Falluja

(25 Aprile 2004)

Ogni anno, il 25 aprile, si celebra l’anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo, ma potremmo effettivamente parlare di “liberazione” se la fine dell’occupazione nazista non fosse stata, al tempo stesso, l’inizio dell’occupazione nord-americana.
E’ una occupazione che sembra quasi non esistere e in effetti pochissime persone pensano che in Italia vi sia realmente un’occupazione.
Eppure si tratta di una occupazione che è al tempo stesso territoriale, militare e culturale e che non tarderebbe a manifestarsi in tutta la sua “pienezza” nel momento in cui fosse seriamente messa in discussione.

Gli USA non hanno basi solo in Italia.
Ci sono migliaia di basi USA sparse in giro per il mondo che sono spesso il frutto di operazioni militari scatenate con la scusa di “liberare” qualcuno: gli italiani dai nazisti, i kosovari da Milosevic, gli afghani dai Talebani, gli iracheni da Saddam Hussein... E dove non si è trovato qualcuno da “liberare” le basi si sono impiantate ugualmente, come in America Latina o in molti paesi arabi “amici” (Qatar, Arabia Saudita, Kuwait, Turchia...).
Ed oggi anche in Iraq.

Dopo il crollo dell’Urss gli USA sono rimasti l’unica superpotenza militare in campo ed usano questa supremazia per regolare i propri conti non solo con i paesi recalcitranti all’adozione della “democrazia occidentale”, ma anche con i paesi formalmente alleati che ne insidiano il potere economico e monetario.
In diverse occasioni abbiamo avuto modo di dire che, a nostro avviso, l’aggressione imperialista contro l’Iraq sta all’interno di una sorta di “guerra di posizione” in cui un obbiettivo fondamentale è quello della disarticolazione del nascente polo imperialista europeo che, con lo sviluppo dell’euro, poteva (ed ancora può) mettere fine alla supremazia valutaria del dollaro e costringere, seppure parzialmente, le multinazionali USA a confrontarsi sul mercato mondiale senza quell’importante asso nella manica.

Naturalmente, anche la strategia fanta-geo-politica dell’amministrazione Bush - il “nuovo secolo americano”, per intenderci -, come quella di qualunque altro paese, deve confrontarsi prima o poi con la realtà. In Iraq, ad esempio, i sogni imperiali nord-americani (che prevedevano l’escalation verso la Siria, l’Iran, la Corea del Nord) sperimentano una pesante battuta d’arresto grazie allo sviluppo della resistenza, quella resistenza che non vi fu - se non in minuscola parte - in Italia dopo il 25 aprile del 1945.
Gli americani pensavano di essere accolti in Iraq con baci e fiori, ma evidentemente gli iracheni hanno un po’ più di dignità di quante ne ebbero gli italiani dopo la seconda guerra mondiale e non intendono affidare le proprie ricchezze e il proprio futuro a George W.(C) Bush.

Naturalmente, “qui da noi in occidente”, i partigiani iracheni e quelli palestinesi vengono definiti “terroristi” allo stesso modo in cui i nazisti chiamavano “banditi” i partigiani italiani. Ed è persino inutile sottolineare il modo scandaloso in cui i mass media descrivono la situazione irachena.
Basti pensare alla vicenda dei prigionieri italiani in Iraq.
Noi, per essere chiari, sosteniamo la resistenza irachena e auspichiamo la sua completa vittoria, il che vuol dire che auspichiamo la debacle militare e politica delle forze occupanti, ivi compresi, naturalmente, i carabinieri italiani e tutti i collaboratori arruolati per le operazioni sporche e coperte.

Non abbiamo nessuna solidarietà per coloro che “per lavoro” uccidono persone innocenti e le privano delle loro ricchezze e del loro diritto alla piena autodeterminazione.
Non ci muove nessun sentimento di pena per la sorte di mercenari che partecipano a massacri come quelli di Falluja in cambio di 10.000 euro al mese. In Iraq o in Palestina con 10.000 euro al mese si potrebbero sfamare centinaia - se non migliaia - di persone.

Abbiamo piuttosto la più grande solidarietà e il più grande rispetto per chi, invece di chinare la testa come la maggior parte degli italiani è abituata a fare nei confronti del padrone (sia esso di fabbrica o di stato), resiste e combatte.
Siamo, semmai, addolorati per la sproporzione delle vittime.

I mercenari e i militari che imperversano in Iraq pagheranno sempre troppo poco per massacri come quello di Falluja, dove più di mille persone - moltissimi dei quali bambini - sono stati assassinati scientificamente mentre gli ospedali venivano distrutti o requisiti, mentre la città era posta sotto assedio e affamata, privata di luce, acqua, medicinali. Falluja, come Jenin o Sabra e Chatila, resterà una indelebile espressione della barbarie capitalistica che noi conosciamo molto bene per averla sperimentata in Italia nell’inverno-primavera del 1944.

Proprio noi che viviamo in una terra che conosce l’orrore delle stragi nazi-fasciste (da Sant’Anna a Forno, da Vinca alle Fosse del Frigido, da Bergiola a Farneta a tutti gli altri massacri perpetrati nella Toscana del nord e altrove) non abbiamo dubbi sulla parte da cui stare.

Contro gli Usa e i suoi alleati, a partire da Israele e compresa l’Italia, con il popolo iracheno e palestinese che combatte e resiste.
Contro i macellai di ieri e di oggi, con i partigiani di ieri e di oggi.

Per quanto tempo dovremo ancora aspettare, per quanta sofferenza e dolore dovremo ancora patire, per quante lacrime dovremo ancora versare per le nostre sorelle e i nostri fratelli massacrati e per le nostre compagne e i nostri compagni caduti, sapremo resistere.

Custodiremo gelosamente la nostra memoria, faremo crescere dentro di noi la rabbia perché al momento opportuno non ci tremi la mano.


Zona apuo-versiliese, 25 aprile 2004

Le compagne e i compagni del Laboratorio Marxista

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