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Egitto. Per quanto ancora?

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(29 Luglio 2013) Enzo Apicella

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Il vecchio Egitto riarma i baltagheyah

(3 Maggio 2012)

feriti ad Abbassiya

feriti ad Abbassiya

C’è modo e modo per destabilizzare Maghreb e Mashreq. Bombardarlo dall’alto come ha fatto l’aviazione Nato in Libia col pretesto della satrapia di Gheddafi, armare un contro-esercito che organizza attentati come fa l’ampio schieramento Occidentale, più Turchia e petromonarchie nella Siria pur afflitta dall’autocrate Asad. Oppure come succede da mesi nel popoloso Egitto sabotando il cammino democratico con l’arma del massacro mascherato da ordine pubblico. Così in piena campagna per le presidenziali mercoledì mattina il sangue è tornato a scorrere copioso nel centro del martoriato Cairo. I famigerati baltagheyah – i picchiatori prezzolati dai Servizi - si lasciano dietro l’ennesima scia di sangue e almeno venti morti. Hanno attaccato con spranghe, pistole, coltelli il sit-in salafita che stazionava da giorni sotto il ministero della Difesa, nello slargo di Abbassiya, per protestare contro l’esclusione del proprio candidato Abu Ismail. Un’azione sicuramente concertata con l’Esercito che per un tempo definito da molti testimoni eterno non ha mosso un solo uomo per fermare la carneficina. Come durante la strage dei cammellieri (febbraio 2011) che marchiò l’ultima repressione mubarakiana, come nell’eccidio del Maspero (ottobre 2011) e in quello dello stadio a Part Said (febbraio 2012). L’indice dell’intero schieramento politico del nuovo Egitto è puntato sul Consiglio Supremo delle Forze Armate e sulla giunta Tantawi che ha convocato un incontro con tutti i partiti per chiarire la situazione. Ma non è detto che potrà farlo. La Fratellanza Musulmana rumoreggia, il suo candidato Mursi sospende la campagna elettorale in segno di protesta e lutto seguendo l’esempio dell’islamico indipendente Abol Fotouh il primo a ribellarsi alla ripresa della strategia della tensione.

Se la situazione non troverà una ricomposizione con l’arresto e la punizione dei responsabili, intesi soprattutto nelle veste di mandanti, la situazione può ampiamente degenerare. Si vocifera anche una sospensione delle presidenziali. Farlo seminando il caos è un passo azzardato ma può anche rientrare nei disegni dei settori dell’Esercito che vivono con angoscia l’avvicinarsi della scadenza di giugno quando dovrebbero consegnare il potere ai civili perdendo il controllo assoluto della situazione. Nonostante gli incontri, e si dice, gli accordi stipulati fin dallo scorso gennaio a Washington sotto la supervisione statunitense fra il nuovo establishment politico islamico e i generali esiste sempre una politica occulta che affianca quella ufficiale. Dunque i nostalgici del mubarakismo che risiedono anche Oltreoceano potrebbero sostenere anche il progetto del tanto peggio che giustificherebbero ogni sorta di azione militare, interna e magari esterna. Nei sedici mesi trascorsi dalla prima ribellione anti regime il desiderio di transizione è apparso non solo nello spirito giovanile del movimento 6 aprile, che oggi conta altri suoi morti insieme ai salafiti, ma in molteplici azioni innovative operate dalla stessa magistratura. Due esempi: la volontà di concludere il processo al raìs e la campagna contro quelle Ong straniere (propaggini dei partiti Democratico e Repubblicano americani) che sotto presunti interventi umanitari mascheravano ben precise ingerenze nella politica egiziana. Ora che il panorama delle presidenziali può portare al ballottaggio due esponenti del mondo islamico anche moderato - proprio i due che hanno sospeso la campagna - tutti i nostalgici dell’Egitto che fu sono in fibrillazione e temono la totale emarginazione dal potere.

Anche perché l’Islam politico, perseguitato fino all’inizio della rivolta, ora controlla i due terzi del Parlamento, e avrebbe diritto a una maggioranza anche nell’Assemblea Costituente, attualmente sciolta ma che dovrà fare i conti con l’orientamento delle urne. Così le truppe vagano nervosamente per il centro della capitale.

2 maggio 2012

Enrico Campofreda

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