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War!

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(27 Agosto 2013) Enzo Apicella
Obama ha deciso di attaccare la Siria, in ogni caso.

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Siriana, La Guerra

(17 Giugno 2012)

16.06.2012

Parliamo di Siria, (e di Libia se possibile). Parliamone perché dentro la caotica e drammatica crisi del capitalismo globalizzato viene a situarsi una nuova esplosione sanguinosa ancora una volta nell'area del Medio Oriente. C'è da chiedersi se il futuro prossimo, di settimane se non giorni, sarà caratterizzato o meno da un'altra guerra propagandata come umanitaria che andrà, tragicamente a sommarsi a quella che c'è già sul campo.
Perché le Nazioni unite ormai dichiarano che in Siria è «guerra civile». Se non è una ammissione d'impotenza della missione degli osservatori inviati a Damasco sotto la guida dell'ex segretario dell'Onu Kofi Annnan, poco ci manca. Inoltre è sempre più evidente il ruolo degli «attori esterni» più volte denunciato dagli stessi osservatori. Così il segretario di Stato, Hillary Clinton accusa Mosca di avere fornito ad Assad gli elicotteri impegnati nella repressione; la Russia ricorda come gli Stati uniti nel fronte dei cosiddetti «Amici della Siria» hanno da tempo deciso per il sostegno massiccio in armi, equipaggiamenti e fondi agli insorti; e le Nazioni unite denunciano del resto nuove ingenti forniture di armi pesanti arrivate da finanziamenti di fonte saudita. E il Consiglio di sicurezza già discute dell'istituzione di una «no fly-zone». Mentre sul campo il regime di Assad e l'opposizione ormai armata non recedono d'un passo dai loro intenti. Damasco rilancia offensive militari di repressione e attacco nelle zone insorte, i ribelli armati contrattaccano mentre si alimenta una nuova scia di attentati che adesso tutti - Cia compresa - attribuiscono ad Al Qaeda. Ha fatto scalpore, ma non ha fatto riflettere, la lettera di un mese fa di Kofi Annan che metteva in guardia con parole difficilmente equivocabili: «Si è insediata in Siria una forza terrorista» ostile ad ogni mediazione.
Il precipizio di un nuovo conflitto internazionale è aperto. Ma sull'orlo del baratro, mentre il sangue dei civili viene sprezzantemente versato, nulla accade. Silenzio. Va in onda sullo sfondo «Siriana», il bel film premio Oscar nel 2005 che metteva in parallelo geopolitica, spie e vite personali. «Siriana», appunto.
Se esistessero le Nazioni unite e non fossero state da più di venti anni esaurite e ridotte al rango di assistenza e surroga alle tante, troppe guerre disseminate dai Paesi occidentali nel mondo, sarebbe ragionevole sperare nell'attivazione subito di un rafforzamento della missione di Kofi Annan, fino a corridoi umanitari per mettere in salvo i civili intrappolati negli scontri e, se necessario, ad una vera e propria forza di interposizione di caschi blu. Per fermare intanto il dilagare del confronto armato siriano negli altri paesi, com'è già evidente in Libano e nell'Iraq stremato dagli attentati. Perché quel che accade in Siria è parte di una resa dei conti finale tra schieramento sciita e sunnita ampiamente cercato dalla petromonarchia dell'Arabia saudita. Ma per una iniziativa autonoma delle Nazioni unite mancano volontà e schieramenti. Con la Lega araba ridotta, dopo la deriva delle primavere arabe, a cassa di risononanza-ricatto dei ricchi paesi del Golfo; con gli Stati uniti, pure alle prese con la necessità di uscire dal pantano sanguinoso dell'Afghanistan e fino in fondo dal disastro dell'Iraq, certo preoccupati del pericolo evidente che ormai corre Israele ma pronti solo a sfruttare l'occasione «umanitaria» di un intervento elettorale, che intanto isoli ancora di più l'Iran.
E tutti pensano a fare come si è fatto in Libia. Contraddetti almeno da due ragioni. La prima, scontata, è che la Siria non è la Libia, per collocazione strategica e ruolo storico. Rappresenta al contrario lo snodo delle più infuocate questioni mediorientali, dalla «sicurezza» d'Israele (vuol dire diritto ad occupare militarmente la Palestina), al mai pacificato Libano e al mai finito conflitto in Iraq, dalle mire egemoniche della Turchia (membro della Nato), al nucleare dell'Iran. Un intervento militare in Siria, ancorché motivato, secondo copione, da ipocriti falsi pretesti (l'ultima più cruenta strage di civili, la più profonda delle fosse comuni, un coinvolgimento dell'esercito atlantico di Ankara ecc...), farebbe esplodere, subito, questo scenario delicato. Ma la seconda ragione è proprio quel che è accaduto con l'intervento «umanitario» in Libia nel marzo del 2011. Se l'obiettivo era far cadere la dittatura di Muammar Gheddafi per avviare il paese verso una nuova era di pace e democrazia, siamo invece ad una realtà di caos istituzionale che mette paura. Con un Cnt che sfiducia un governo ad interim e viceversa, con le elezioni rimandate di mese in mese - dovrebbero tenersi il 7 luglio (ma con quali garanzie democratiche e quali prospettive visto che si annuncia la vittoria elettorale di islamici più integralisti dei Fratelli musulmani?); con la Cirenaica che annuncia la secessione, con le milizie armate che ancora combattono in battaglie con centinaia di morti, e spadroneggiano arrivando a rioccupare l'aeroporto di Tripoli e a prendere a cannonate la sede del governo. E dove i diritti umani vengono violati, le carceri sono un inferno, con la caccia all'immigrato «nero» che continua; fino all'episodio clou di questi giorni: l'arresto da parte dei miliziani di Zintan, legittimato dalle autorità di Tripoli, di cinque inviati del Tribunale penale internazionale dell'Aja arrivati a rivendicare la potestà del processo al figlio di Gheddafi Seif al Islam che, invece, le nuove autorità vogliono processare in Libia. È per questo risultato che la Nato ha bombardato per mesi, e con decine di vittime civili, denuncia un rapporto dell'Onu?
Comunque è questo risultato che impedisce una soluzione «simile» in Siria, dove gli effetti sarebbero deflagranti. Non basterebbe a quel punto nemmeno la fitta coltre di silenzio e omertà stesa dai media internazionali, dopo tanto protagonismo di carriera, sulla realtà della «nuova» Libia.
Alla fine l'unica «legittimità» di un intervento occidentale rischia di essere quella di fermare la «deriva afghana»: da giorni i media mediorientali scrivono che la «Siria è il nuovo Afghanistan», per la presenza iperarmata di milizie salafite e di Al Qaeda. Un Afghanistan nel Mediterraneo. Il cerchio dunque si riapre: per uscire dalla guerra post-11 settembre al terrorismo islamico e dal sostegno al corrotto Karzai a Kabul, gli Stati uniti e la Nato probabilmente riapriranno l'agenda di guerra ma non a sostegno di un regime (come a Kabul) ma dei «terroristi» insorti, selezionando attraverso milioni di finanziamenti in armi, fondi ed equipaggiamenti, i buoni dai cattivi. La domanda è se la nuova guerra che si annuncia sarà o meno forma e contenuto di una risposta alla crisi. Comunque sia sarà «democratica», viste le parole, gli atti e le aspettative elettorali, la sosterranno sia Hollande che Obama e sarà «mirata e sociale», perché darà contenuto alle politiche di spesa militare dentro la crisi come in-put al mercato delle armi per «risollevare l'economia», dando finalmente senso alla distruzione di risorse (dieci miliardi di euro solo per l'Italia) per acquistare 90 cacciabombardieri F-35 e (con milioni di euro) e per trasformare Sigonella nella base internazionale dei droni. Insomma, sarà una guerra per schermare - come mai prima d'ora di «distrazione di massa» - la crisi economica del mondo occidentale solo per l'occasione finalizzato e ricompattato.

Tommaso Di Francesco - Il Manifesto

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