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(29 Aprile 2010) Enzo Apicella

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“RIPARTIRE DALLA RESISTENZA”. MA QUALE?

(21 Aprile 2013)

Da "Alternativa di Classe", anno I, numero 4

Che la scuola o la TV lottizzata parlino ogni tanto dell'olocausto e del nazismo serve solo a mettere un fiore nel letamaio, per farlo credere un giardino. Da quelle fonti i giovani proletari non hanno nulla da imparare: cento volte meglio un fumetto sincero sui fascisti di Casa Pound, che i 25 Aprile, dove sul palco ci sono stati talora anche i mandanti delle stragi repubblicane. Se esistesse, in questo Paese, l'esercizio della memoria, le verità sulle Stragi tornerebbero utili anche oggi, in tempo di partiti allo sfascio, di trucchi trasformistici.
Ma, soprattutto, serve riprendere il metodo della controinformazione storica di massa, militante.
Il fascismo va visto come conseguenza della lotta di classe, che, assumendo prevalentemente una forma violenta, si trasformò in guerra di classe. Coloro che non si sottomisero alla volontà dei padroni furono rinchiusi in galera come ribelli e nemici della patria. Era una borghesia inferocita, che volle tentare lo sterminio del proletariato.
Alla fine del 1942, in pieno stato di guerra, e soprattutto nella primavera del ‘43 scoppiarono nel Nord Italia scioperi di notevole estensione. Questi scioperi erano diretti contro lo Stato e contro uno sfruttamento sempre più intenso.
Dopo il blocco dei salari, l'aumento dei prezzi (soprattutto dei generi alimentari) fu tale che nel 1943 il salario reale dell'industria era calato almeno del 30%. A ciò si aggiungeva una crisi degli alloggi, aggravata dai bombardamenti alleati sulle grandi città. Quelli che scoppiarono a Torino nel Marzo del ’43, estendendosi poi a Milano e a Porto Marghera, furono scioperi contro il carovita, contro il prolungamento dell'orario di lavoro e contro la penuria di generi alimentari.
Proprio in quel periodo ed in tale situazione nacquero spontaneamente, un pò ovunque, gruppi di compagni che vedevano nella ripresa della lotta di classe l'inizio di un processo capace di aprire le porte alla rivoluzione comunista. Ritenevano possibile una nuova fase rivoluzionaria simile a quella che aveva investito la Russia e l'Europa alla fine della Prima guerra mondiale, e fondamentale per questi compagni era muoversi sulla linea di Lenin che già nel 1915 aveva scritto: "…E' impossibile sapere se un forte movimento rivoluzionario scoppierà in seguito alla prima o alla seconda guerra imperialista fra le grandi potenze, durante o dopo di essa. Ma, in ogni caso, è nostro preciso dovere lavorare sistematicamente, e con perseveranza, in questa direzione… [Da "Il socialismo e la guerra"]”.
Fino ad allora, ad eccezione di qualche “banda partigiana” antifascista già “su per i monti”, prevalentemente di matrice anarchica, ma non solo, e nel Nord Italia, in continuità con l’impegno militante di qualche anno prima nella Guerra civile spagnola, fra i compagni ferveva il dibattito sul modo migliore e più efficace di organizzare l’opposizione, senza nemmeno dare per scontata la scelta della “guerriglia” come modalità determinante, mentre posizioni classiste emergevano con forza nel sindacato, soprattutto al Sud: secondo questi compagni la crisi dopo il crollo del fascismo non doveva assolutamente fermarsi alla formulazione delle libertà costituzionali.
Tanto fervore “dal basso” venne freddato dal rientro di Togliatti dall’URSS, alla fine di Marzo del ’43, quando, “dall’alto”, invitò il Partito ad attestarsi su posizioni di “unità nazionale”, in accordo con la stessa monarchia. Ed il PCI, non senza parecchie espulsioni e “scomuniche”, attuò la cosiddetta “svolta di Salerno”, provenendo da Stalin stesso il “suggerimento”, finchè, nel ‘44, a fine Aprile, insieme agli altri partiti presenti nel “Comitato di Liberazione Nazionale” (CLN), il fronte popolare formatosi nel frattempo “per condurre in modo organizzato” quella che era diventata la “guerra partigiana”, entrava nel secondo Governo Badoglio, con il ministro Togliatti.
Decretava, così, di fatto, l'appoggio alla monarchia dei Savoia. In pratica, si ebbero I "COMUNISTI" LEGATI MANI E PIEDI AL GIOGO DELLA REAZIONE BORGHESE; legati, infatti, a quel Badoglio, che non esitò a sparare sugli operai dopo appena qualche ora dalla caduta del fascismo. L'opportunismo, egemone nel movimento operaio, si era messo al servizio del compromesso di classe, tradendo lo spirito della Resistenza, o almeno di quella parte di essa, che l’aveva concepita in continuità con gli obiettivi della classe… E’ più facile capire oggi, per come sono andate poi le cose, come anche la “Repubblica democratica”, che nacque dopo (che alcuni hanno continuato, nel tempo, ad indicare come “unico sbocco possibile” allora, anche per i comunisti, ma sul quale i rapporti di forza, che ne sono conseguiti, non depongono affatto per tale interpretazione…), venne ben presto presa in mano da una classe dirigente, politica e amministrativa, che ha sempre agito in sostanziale continuità con il fascismo di ieri, da cui spesso era anche di diretta provenienza.
Da allora, della Resistenza in Italia si parla solamente in termini nazionalisti di “opposizione” al nazi-fascismo, e quindi come sostegno all’altra alleanza imperialista concorrente in guerra, com’era stato per la maggior parte degli altri movimenti in Europa. E’ ricordata solo come “madre” della democrazia costituzionale, in nome della quale, dall’amnistia di Togliatti per i fascisti, passando per le, più recenti, “guerre umanitarie”, la borghesia nazionale è arrivata a giustificare qualsiasi nefandezza.
Il proletariato non deve più lasciarsi ingannare. Il suo compito è di inserirsi nella crisi da cui il mondo capitalistico è sconvolto, col preciso intento di portare avanti lo scontro sociale e costruire l'alternativa di classe in Italia e nel mondo.

Alternativa di Classe

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