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Gli USA lasciano Falluja

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(16 Dicembre 2011) Enzo Apicella

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il piano di revisione dell'economia irachena e le lobby industriali

(13 Novembre 2004)

Perché sono state posticipate le elezioni in Iraq? Perché Jay Garner è stato licenziato? Perché le nostre truppe sono ancora in Iraq? Il giornalista Greg Palast rivela nuovi documenti che rispondono a queste domande e all'imponente progetto dell'amministrazione Bush in Iraq. Come ogni altra questione affrontata durante questa amministrazione, il piano di revisione dell'economia irachena porta ovunque le impronte delle lobby industriali.

Nel febbraio 2003, un mese prima dell'invasione americana dell'Iraq, mi è capitato tra le mani un documento di 101 pagine proveniente dal Ministero degli Esteri americano. Portava l'ameno titolo di “Cambiare l’economia irachena: dalla Ripresa alla Crescita”, e faceva parte di un più ampio programma segreto chiamato “La Strategia Irachena”.

Il Piano Economico si avventura coraggiosamente dove non si è mai avvicinato nessun altro progetto: la riscrittura totale, si legge, delle “politiche, le leggi e le normative” di uno stato conquistato. Ecco cosa si può trovare nel Piano: un programma estremamente dettagliato, iniziato anni prima dell'arrivo dei carri armati, per imporre un nuovo regime di riduzione fiscale sulla grande impresa, e la vendita veloce di banche e ponti iracheni, in effetti “TUTTE imprese statali”, a operatori stranieri. C'è dell'altro nel Piano, parte del quale è stato reso pubblico quando il Mistero degli Esteri ha assunto un’azienda consulente per tracciare i progressi della ricostruzione dell'Iraq. Un esempio: questo è probabilmente il primo piano di assalto militare nella storia nato come allegato di un programma di consolidamento delle leggi nazionali sul copyright.

E quando si arriva a parlare del petrolio, il Progetto non lascia nulla al caso, e nemmeno agli iracheni. Iniziando a pag.73, gli autori segreti sottolineano che l’Iraq dovrebbe “privatizzare” (cioè, svendere) le sue “industrie petrolifere e quelle dell'indotto”. Il Progetto chiarisce che, anche se non siamo andati in Iraq per il petrolio, non ce ne andremo senza.

Se il Piano Economico sembra una lista di regali di natale compilata dai "lobbisti" delle multinazionali americane, è proprio perché lo è.

Dal taglio delle tasse alla rimozione dei dazi doganali iracheni (tasse sulle importazioni americane e su altri beni stranieri), tutto il pacchetto porta le impronte inconfondibili delle piccole e morbide mani di Grover Norquist.

Norquist è il capo dei capi dell'esercito delle lobby di destra. A Washington ogni mercoledì ospita una riunione di grandi operatori politici delle grosse aziende e di gruppi di pressione di destra, inclusa la Coalizione Cristiana e l’American Rifle Association, durante la quale Norquist dirige tutte le offensive legislative e mediatiche della settimana.

Un tempo "lobbista" della Microsoft e dell'American Express, Norquist oggi dirige Americans for Tax Reform, una sorta di sindacato di miliardari in incognito, che persegue l’obiettivo di uno schema fiscale “flat tax”, ad aliquota unica.

Grazie a una soffiata, ho fatto visita all’ufficio di L-Street del super lobbista. Sotto un’enorme fotografia incorniciata del suo idolo (NIXON – OGGI PIÙ CHE MAI) Norquist era impaziente di potersi vantare di muoversi liberamente al Ministero del Tesoro, della Difesa, degli Esteri e alla Casa Bianca, dando forma ai piani economici post-conquista, dalle tasse alle tariffe doganali alla “proprietà intellettuale” che io avevo segnalato nel Piano.

Norquist non è stato l’unico uomo di punta della multinazionali a ottenere una parte della vacca grassa irachena. Norquist ha suggerito di cambiare le leggi sul copyright dopo essersi consultato con la Recording Industry Association of America, l’associazione dell'industria discografica americana.

E poi c’è il petrolio. L’iracheno Falah Aljibury ha partecipato alla stesura dei modelli amministrativi per l’Iraq post-Saddam. Secondo Aljibury, l’amministrazione ha iniziato a bramare per il petrolio del vicino Medioriente solo poche settimane dopo l'inaugurazione dell'amministrazione Bush-Cheney, quando la Casa Bianca ha convocato un comitato chiuso sotto la direzione di Pam Wainright del Ministero degli Esteri. Il gruppo includeva gli uomini dell'industria chimica e bancaria, e per quanto riguarda l’Iraq dopo la conquista le possibilità erano diverse. In breve, ha detto Aljibury, “divenne un gruppo petrolifero”.

Questa non fu una sorpresa dal momento che la lista dei membri puzzava fortemente di petrolio. Oltre a Aljibury, consulente dell'industria petrolifera, il team segreto includeva esecutivi della Royal Dutch Shell e della Chevron Texaco. Questi ed altri grossi nomi dell'industria petrolifera avrebbero diretto nel 2003 la stesura di un allegato al Piano Economico di 300 pagine unicamente per i beni petroliferi iracheni. La sezione petrolifera del Piano, ottenuta dopo un anno di lotte con l’amministrazione sulla Freedom of Information Act, la legge sulla libertà d’informazione, chiede agli iracheni di svendere alle "IOC", le compagnie petrolifere internazionali, quelle risorse nazionali come le raffinerie, gli oleodotti e i porti che difficilmente una nazione mediorientale vorrebbe cedere, se non in caso di occupazione armata.

Il Generale contro l’Allegato D

Una sola cosa impediva la riscrittura delle leggi irachene e la vendita delle risorse irachene: il popolo iracheno. Una persona che ha lavorato alla stesura del Piano ha detto freddamente: “C’è [il sottosegretario alla Difesa Paul] Wolfowitz che se n'è uscito dicendo che sarà un paese democratico… ma si stanno realizzando delle cose per cui il 99% degli iracheni voterebbe contro.”

In questa imminente battaglia tra ciò che gli iracheni vorrebbero e ciò che l’amministrazione Bush ha in programma per loro, gli iracheni hanno avuto un alleato inaspettato, il Generale Jay Garner, l’uomo designato dal presidente americano immediatamente prima dell'invasione come una sorta di Pascià temporaneo per governare la nazione che sarebbe stata presto conquistata.

Garner è una vecchia conoscenza irachena che ha svolto la benevole funzione tirannica nella zona curda dopo la prima guerra del golfo. Ma nel marzo del 2003, il generale ha commesso un grave errore per la sua carriera. A Kuwait City, appena sceso dall'aereo proveniente dagli Stati Uniti, ha promesso agli iracheni che avrebbero avuto elezioni giuste e libere non appena Saddam fosse caduto, preferibilmente entro 90 giorni.

La promessa di Garner dei 90 giorni per la democrazia, è andata a scontrarsi contro qualcosa di duro: “l’Allegato D” del Piano Economico. Non si può disporre a proprio piacimento dell'industria petrolifera di una nazione in un solo weekend, né tanto meno in 90 giorni, senza parlare poi del rifacimento delle leggi fiscali e commerciali. L'Allegato D prevede un'agenda di 360 giorni per la ricostruzione del libero mercato iracheno. E qui sta il problema: era semplicemente inconcepibile che qualsiasi governo eletto dal popolo avrebbe lasciato l’America libera di scrivere le proprie leggi e di mettere all’asta i gioielli della corona irachena, cioè la sua industria petrolifera.

Le elezioni dovranno aspettare. Come ha spiegato il "lobbista" Norquist quando gli ho chiesto dei tempi di attuazione dell'Allegato D:“il diritto al commercio, la proprietà intellettuale non devono essere determinate da elezioni democratiche.” Le nostre truppe dovranno semplicemente restare in Mesopotamia un pò più a lungo.

Nuovi Ordini Mondiali 12, 37, 81 e 83

Il Generale Garner ha resistito, ed è stata una delle ragioni del suo repentino licenziamento da parte del Ministro degli Esteri Donald Rumsfeld la notte che è arrivato a Baghdad lo scorso aprile. “Rummy” aveva pronta una perfetta sostituzione per rimpiazzare immediatamente in Iraq il generale recalcitrante. Paul Bremer probabilmente non avrà la stessa esperienza sul campo di Garner, ma nessuno può mettere in dubbio i requisiti di un uomo che è stato direttore della Kissinger Associates.

Con una pausa soltanto per insediarsi nel vecchio palazzo di Saddam, e aggiungere un altro giro di filo spinato, “Jerry” Bremer ha cancellato l’incontro programmato da Garner con i leader delle tribù irachene per pianificare le elezioni nazionali. Invece, Bremer ha scelto di persona l’intera formazione del governo. Le elezioni nazionali, ha detto Bremer, dovranno aspettare fino al 2005. Il protrarsi dell'occupazione richiede il prolungamento della la permanenza delle nostre truppe.

Il ritardo darebbe, casualmente, più tempo per rifinire le leggi, i regolamenti e la vendita irreversibile dei beni secondo quanto previsto dal Piano Economico.

Su questo Bremer non ha perso tempo. Complessivamente, il leader della Autorità Provvisoria della Coalizione ha emanato esattamente 100 ordinanze per rifare l’Iraq secondo l’immagine del Piano Economico. A maggio, per esempio, Bremer, soltanto a un mese dalla sua fuga da Baghdad, ha smesso di combattere l’insurrezione crescente per firmare le ordinanze 81 – “Brevetti” e 83 – “Copyright”. Qui il duro lavoro di Grover Norquist è stato ripagato. 50 anni di royalties saranno adesso concesse all'industria discografica, e 20 anni al codice Windows.

L’ordinanza numero 37, “Strategia fiscale per il 2003” è il sogno di Norquist che diventa realtà: aliquota massima fissata al 15% sul reddito individuale e aziendale (come suggerito dal Piano Economico, pag.8). Il Congresso Americano ha rifiutato un simile piano ad aliquota unica per l’America, ma in Iraq, con un elettorato formato da una sola persona, Jerry Bremer, la volontà pubblica non è un problema.

Non tutti hanno sentito il pericolo di questa corsa sfrenata per un libero mercato. L’ordine 12 “Liberalizzazione del Commercio”, ha permesso l’importazione di prodotti esteri esenti da tasse e da dazi doganali. Un grande vincitore è stato Cargill, il più grande mercante di grano del mondo, che ha inondato l’Iraq con centinai di migliaia di tonnellate di grano. Per gli agricoltori iracheni, già colpiti dalle sanzioni e dalla guerra, è stato devastante. Non hanno potuto competere con l'eccedenza americana e australiana che si sono ritrovati addosso. Ma il piano sulle importazioni ha seguito alla lettera il Piano Economico.

Per l'occidente questo colpo di fortuna è stato messo in atto dal responsabile della ricostruzione agricola, Dan Amstutz, lui stesso d'importazione americana. Prima che George Bush entrasse in carica, Amstutz dirigeva una compagnia fondata da Cargill.

Non hanno senso i tagli fiscali sulle grandi industrie, gli ordini di pagamento per 20 anni dei diritti d’autore sul sistema operativo di Bill Gates, la rimozione di ogni difesa nei confronti dell’agricoltura irachena se un qualsiasi governo iracheno fuori controllo può spazzar via tutto questo dopo un elezione. I governatori-ombra dell'Iraq che si trovano a Washington hanno pensato anche a questo. Una volta andato via, Bremer ha lasciato dietro di sé circa 200 “esperti” americani assegnati a fare da baby-sitter a ogni nuovo ministro iracheno, funzionari approvati anche dal Ministero degli Esteri degli Stati Uniti.

Il Prezzo: Il paradiso del libero mercato in Iraq non è gratis.

Dopo la sua deposizione, ho incontrato Generale Garner a Washington. Ha avuto poca considerazione del Piano Economico consegnatogli tre mesi prima dell'arrivo dei carri armati. Ha avuto soprattutto paura dei piani sui beni petroliferi iracheni e del ritardo nel restituire l’Iraq agli iracheni. “Questa è una battaglia che non si vuole affrontare” mi ha detto.

Ma dobbiamo affrontarla. Dopo un mese nel palazzo di Saddam, Bremer ha cancellato le elezioni municipali, incluso il voto cruciale che doveva aver luogo a Najaf. Dal momento che l’elezione è stata negata, gli sciiti di Najaf hanno votato con i proiettili. Questo aprile, la milizia del leader insorto Moqtada al Sadr ha ucciso 21 soldati americani e ha tenuto la città santa sotto sequestro per un mese.

“Non dovrebbero seguire il nostro piano”, ha detto il generale,“è il loro paese, il loro petrolio.” Forse, ma non è quello che afferma il Piano. Finché non diventa il loro paese, l’ottantaduesima Airborne dovrà restare lì per tenerlo lontano da loro.

Greg Palast è giornalista e autore del best seller del New York Times “The Best Democracy Money can buy”. Il suo nuovo film, “Bush family fortunes: The Best Democracy Money Can Buy," è uscito in DVD il mese scorso. Clicca qui per vedere il trailer: http://www.gregpalast.com/bff-dvd.htm

Greg Palast, Nuovi Mondi Media
http://www.nuovimondimedia.com/

Fonte

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