">
Posizione: Home > Archivio notizie > Imperialismo e guerra (Visualizza la Mappa del sito )
(13 Agosto 2013)
La ripresa dei negoziati tra palestinesi e israeliani, imposta dall'Amministrazione Usa, oltre che da pressioni Onu e Ue, rivela ulteriormente la complicità delle parti in campo a livello internazionale con la politica coloniale israeliana.
Tra i diplomatici tutti sanno e ammettono che Israele è andata al tavolo dei negoziati per prendere tempo e condurre in modo sempre più deciso la colonizzazione dei territori.
L'Unione Europea negli ultimi tempi, assumendo le linee guida che vietano commercio e cooperazione con chi opera nelle e con le colonie israeliane nei territori palestinesi, ha tentato per la prima volta una strada concreta per far pagare a Israele un prezzo per l'occupazione militare. Bruxelles ha riaffermato che lo Stato di Palestina è sui territori occupati del 67 compresa Gerusalemme Est. Tzipi Livni, negoziatrice, risponde sprezzantemente che «non può essere l'Ue a determinare i confini, ma il negoziato tra palestinesi e israeliani». Un negoziato che avviene in una totale asimmetria di potere visto l'appoggio incondizionato degli Usa e l'impunità di Israele per tutte le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale.
Malgrado tutte le dichiarazioni da parte della leadership palestinese di non voler riprendere le trattative se non vi fosse stato il blocco delle colonie, le pressioni internazionali li hanno costretti a riprendere senza pre-condizioni con una sola concessione simbolica: la liberazione di 104 prigionieri politici pre Oslo, anche se l'iter per la liberazione è lo stesso di sempre, a scaglioni, prima quelli che hanno quasi terminato le pene, deportazione a Gaza, la rivolta delle famiglie delle vittime.
Un'altra operazione di immagine giocata da Israele costretta in nome della pace a liberare palestinesi «dalle mani sporche di sangue». Come se le migliaia e migliaia di palestinesi trucidati e uccisi da soldati, coloni, generali e leader israeliani avessero lasciato le mani degli israeliani pulite e bianche.
Ma il punto è che Israele da quando ha dichiarato lo Stato d' Israele nel 1948, non ha mai definito una costituzione e dei confini, rivelando che da sempre la sua politica è quella di annettersi più territorio possibile e realizzare il sogno che forse Rabin, se non fosse stato ucciso da un fanatico ebreo, avrebbe interrotto, quello della grande Israele, Eretz Israel.
Perché sorprendersi quindi se il Ministro israeliano per le case Uri Ariel, il Sindaco di Gerusalemme Nir Barkat con l'approvazione del Primo Ministro pubblicano gare d'appalto per la costruzione di 87 unità abitative nella colonia di Ramat David e 1.200 nelle principali colonie intorno a Gerusalemme e se gli stessi, domenica scorsa sui terreni del Villaggio Jabal Al Mukkaber, hanno messo la prima pietra per la costruzione di 36 nuove unità abitative per i coloni religiosi ortodossi, togliendo ai palestinesi residenti la possibilità di passare dalla strada principale e costringendoli così a un percorso impervio. Nel Governo e nel parlamento israeliano i coloni sono ormai determinanti e Mark Regev, portavoce del premier, dichiara che non c'è problema, l'appalto interessa solo i grandi insediamenti, quelli che in qualsiasi accordo di pace rimarranno comunque sotto la sovranità israeliana.
È tutto parte del piano della Grande Israele.
Intanto nei comitati popolari per la resistenza non violenta contro il muro e l'occupazione, palestinesi, israeliani e internazionali continuano a lottare insieme per la giustizia e la libertà. È tanto ma anche poco, se chi ha il potere non decide di praticare sanzioni per imporre a Israele il rispetto della legalità internazionale.
Luisa Morgantini - il manifesto
12340