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(25 Aprile 2011) Enzo Apicella

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A NOVANTUN ANNI DALLA MARCIA SU ROMA: L’INTERPRETAZIONE TOGLIATTIANA DEL FASCISMO

(CIASCUNO POTRA’ TROVARE, SENZA ALCUNA DIFFICOLTA’, ELEMENTI DI ANALOGIA CON IL PRESENTE)

(25 Ottobre 2013)

palmit

La ricorrenza della Marcia su Roma (28 ottobre 1922) non può essere lasciata sotto silenzio: il fascismo è stato uno dei fenomeni politici decisivi del XX secolo non solo in Italia e la memoria di ciò che è stato, da quel punto di vista, andrebbe conservata e alimentata di continuo attraverso l’utilizzo di opportune coordinate di comparazione storica.
Ciò non sta accadendo da molti anni e il rischio (ben più di un rischio) che si sta correndo è quello di uno smarrimento non solo dal punto di vista della realtà dei fatti (Mussolini il più grande statista del ‘900: Mussolini che mandava praticamente in vacanza gli oppositori. Tanto per ricordare due banali esempi di ciò che si è ascoltato negli ultimi tempi) ma proprio sul piano dei riferimenti storico – teorici il cui utilizzo risulta decisivo perché si svolgano, adesso come adesso, valutazioni esatte e s’impedisca a determinati fenomeni di ripresentarsi sulla scena della storia.
Si è così pensato di evitare, nell’occasione, una mera ricostruzione di quei lontani episodi ma di entrare nel merito di una delle analisi più importanti che nel merito, a fascismo trionfante, furono sviluppate all’interno della sinistra italiana.,
Ci si occuperà, infatti, dell’interpretazione del fascismo fornita da Palmiro Togliatti che se ne occupò particolarmente nel 1935 tenendo a Mosca delle apposite lezioni, i cui testi furono poi riuniti in un volume.
Per il presente lavoro ci si è avvalsi, invece, soprattutto di un testo uscito nel 1970, a cura di Renzo De Felice “Il fascismo nell’interpretazione dei contemporanei e degli storici”, poi ampliato e riedito nel 1998 a cura di Giovanni Sabatucci.
Il punto di partenza dell’interpretazione togliattiana può essere considerato quello relativo alla valutazione del fascismo come fenomeno non derivante unicamente dalla reazione capitalistica.
Esso comprendeva, infatti, almeno secondo l’analisi cui si sta facendo riferimento, molti elementi.
Comprendeva un movimento delle masse piccolo – borghesi rurali: era anche una lotta politica condotta da certi rappresentanti della piccola e media borghesia contro una parte delle antiche classi dirigenti; era un tentativo di creare un’organizzazione unificata, estendendosi a tutto il Paese, raggruppante una frazione di piccoli borghesi delle città diretti da elementi declassati, ex ufficiali, disoccupati professionali; era, infine, un’organizzazione militare che poteva pretendere di opporsi con probabilità di successo alle forze armate regolari dello Stato.
Comprendendo il fascismo tutti questi elementi, oltre alla reazione capitalistica, il suo sviluppo non avrebbe potuto essere altro che completo.
Risultava assolutamente ingenuo ritenere, almeno nel giudizio sviluppato nel corso delle “Lezioni”, che il capitalismo si sarebbe servito di questo movimento come di uno strumento destinato a rompere la forza del proletariato, salvo a metterlo in seguito da parte per continuare a mantenersi al potere tornando alle forme abituali, servendosi delle stesse istituzioni, degli stessi uomini politici, degli stessi metodi di prima.
La complessità del fenomeno fascista fece sì che l’evoluzione del movimento non fosse determinata esclusivamente dal fine verso il quale tendevano la borghesia e gli agrari, ma fosse anche influenzata da altri motivi, di carattere diverso, da altri impulsi, sorgenti dal seno stesso del movimento e che, in certi momenti, cercarono persino di dominarlo.
Nel corso delle “Lezioni” Togliatti non nascose i limiti della reazione al fenomeno fascista anche, e soprattutto, da parte dello stesso Partito Comunista che fece mostra di “semplicismo”.
Un “semplicismo” che ebbe almeno due conseguenze, foriere di gravi danni.
La prima conseguenza riguardava l’aver ignorato, da parte dei comunisti, come sarebbe stato possibile impedire al fascismo di conquistare certi ambienti della piccola borghesia.
I comunisti, infatti, rinunciarono ad accentuare le contraddizioni che lo stesso movimento fascista produceva all’interno delle masse piccolo – borghesi.
La seconda conseguenza era quella di aver sottovalutato il meccanismo della violenza per la conquista del potere, ignorando - fino all’ultimo – la possibilità di un colpo di stato.
Passiamo così all’analisi critica di certe caratteristiche “tipo” presentate dal fascismo proprio nella fase in cui si tennero le “lezioni” togliattiane.
Per prima cosa si poteva affermare che il fascismo rappresentava il sistema di reazione integrale più conseguente che fosse esistito fino a quel momento, nei paesi dove il capitalismo aveva raggiunto un certo grado di sviluppo.
Questa affermazione non si basava sugli atti terroristici feroci, né sul gran numero di operai e contadini assassinati, né sulla crudeltà dei sistemi di tortura applicati su vasta scala, né sulla severità delle condanne.
Era motivata, piuttosto, dalla soppressione sistematica di ogni forma di organizzazione autonoma delle masse che si era verificata in un Paese dove la crisi del primo dopoguerra aveva reso ancora più profonde le contraddizioni interne al capitalismo, che si erano manifestate con violenti conflitti.
Si era così verificato , con l’avvento al potere del fascismo, un processo di stabilizzazione che aveva assunto la forma di una diminuzione feroce dei salari, un odioso sfruttamento dei consumatori, una tassazione inaudita dei produttori piccolo – borghesi.
Questo programma economico non avrebbe potuto essere realizzato se la popolazione lavoratrice e soprattutto il proletariato non fossero stati privati precedentemente di ogni possibilità di mettersi in movimento ed è per questo motivo, questa la valutazione di fondo contenute nel messaggio lanciato dalle “Lezioni”, che era seguita rapidamente una trasformazione reazionaria di tutta la vita politica del Paese.
Una trasformazione reazionaria che aveva avuto un forte peso nei rapporti tra le classi, non considerando soltanto le grandi classi antagonistiche della società moderna, borghesia e proletariato, ma anche rispetto ai rapporti che queste due classi principali mantenevano con le loro classi intermedie, che si interponevano e si spostavano tra di loro.
In questo senso la situazione italiana era gradualmente mutata, dall’avvento al potere del fascismo in avanti, verso la costruzione di un sistema reazionario “generale” nel quale trovava posto un “movimento reazionario di massa” realizzatosi attraverso un cambiamento immediato e totale nell’atteggiamento delle classi medie.
A questo punto il fascismo fu anche obbligato a diventare reazionario nell’interno stesso della sua organizzazione compiendo, a quel livello, una trasformazione abbastanza rapida, generale e profonda.
In seguito a questo processo il fascismo si affermò definitivamente non più soltanto come strumento di reazione e repressione, ma anche come centro di unità politica di tutte le classi dirigenti: capitale finanziario, grande industria, agrari.
Il fascismo si era così identificato con il capitalismo italiano perdendo così il carattere di movimento autonomo espressione di certi strati sociali intermedi (com’era stato nel momento della sua origine) saldandosi intimamente con la sua stessa organizzazione, alla struttura economica e politica delle classi dirigenti travolgendo di fatto le vecchie classi dirigenti liberali.
Nelle tesi principali esposte dalle “Lezioni” togliattiane si evince, così, che il fascismo aveva portato con sé una trasformazione della stessa dottrina dello Stato, inteso a quel punto come Stato borghese espressione di una dittatura del capitale finanziario e della grande industria: un’ideologia che rappresentava il logico coronamento della dittatura della borghesia.
Fin qui, schematicamente riassunta l’analisi togliattiana che ebbe un grande peso sull’elaborazione della linea dei Fronti Popolari, prima, e successivamente, intrecciata a quella gramsciana realizzata attraverso la prima pubblicazione dei “Quaderni del Carcere” avvenuta tra il 1948 e il 1951con la costruzione di una forma originale di presenza dei comunisti italiani realizzata attraverso l’elaborazione strategica del “partito nuovo” e l’apertura del solco teorico su cui basare una “via italiana al socialismo” tesa alla costruzione della “democrazia progressiva”. Un’elaborazione di grande spessore che nel clima ideologico della guerra fredda, consentì di garantire la continuità della cultura democratica progressista italiana, conquistando una generazione di intellettuali di cultura laica, storicista e umanistica a posizioni genericamente marxiste, senza provocare “lacerazioni troppo nette”.
Dalle “Lezioni sul fascismo” alla costruzione di un grande blocco politico, sociale, culturale realizzato, nel dopoguerra, attorno alla costruzione organizzativa del PCI: questo elemento può forse rappresentare il lascito più importante, sul quale studiare e riflettere ancora, di quella stagione.
Qualche passaggio, infine, può risultare ancora utile adesso per una comparazione con fatti che stanno accadendo attorno a noi.

Franco Astengo

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