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IL RITORNO DEL BIPOLARISMO: UN’ANALISI STORICA TRA LA NASCITA DELLA GUERRA FREDDA E L’AVVIO DELLA COESISTENZA

(29 Marzo 2014)

Gli avvenimenti di questi giorni fanno presagire un ritorno sulla scena internazionale del bipolarismo tra le due “storiche” superpotenze: USA e Russia.
Uno scenario che modificherà molti degli assetti precostituiti nel corso degli ultimi anni imprimendo un corso diverso agli avvenimenti anche e soprattutto in relazione al ruolo dell’Unione Europea.
Attraverso il disegno di un recupero del ruolo “imperiale” della Russia ci si avvia a un fronteggiamento fra due imperialismi e due “politiche di potenza” egualmente pericolose e al riformarsi di schieramenti attraverso i quali si tende a superare quella logica “multipolare” che pareva essersi affermata negli anni della globalizzazione rampante.
Vale la pena, allora, per cercare di capire meglio la situazione dell’oggi, tentare anche di ricostruire quella che è stata la storia della precedente fase bipolare, affatto diversa – comunque – in quanto all’epoca espressione simbolica del confronto tra due visioni opposte dell’economia, della società e dello sviluppo umano tra capitalismo e “socialismo reale”.
La prima fase di quel confronto bipolare, definito della “logica dei blocchi”, cominciò con la cosiddetta “guerra fredda”.
La “guerra fredda” era sorta nell’immediato dopoguerra in conseguenza della fine del patto antinazista e di una violenta crisi intervenuta a turbare i rapporti fra le due maggiori potenze mondiali.
Da un lato la spartizione delle zone d’influenza aveva rappresentato un modo di dare un volto alla vittoria sulla Germania e sul Giappone, traducendone i frutti in termini di egemonia politica e territoriale.
Dall’altro però questa spartizione era avvenuta così da provocare reciproci sospetti e timori.
Le potenze occidentali temevano il “sovversivismo” sovietico in Europa e in Asia e non riconoscevano la legittimità dei regimi sorti nell’Europa Orientale per iniziativa dell’URSS.
I loro timori erano stati accresciuti, inoltre, dalla vittoriosa rivoluzione cinese del 1949 e dalla conseguente immensa estensione territoriale del cosiddetto “campo socialista”.
Forti prima del monopolio, poi di un’indiscussa superiorità nell’armamento atomico, gli USA intendevano opporre agli eserciti sovietici un insuperabile “cordone sanitario”.
All’opposto, l’URSS intendeva consolidare la propria sfera d’influenza, trovandosi però a dover conseguire quest’obiettivo in condizioni di netta inferiorità economica, che la indussero a mettere in atto una politica tale da consentire di reperire risorse nei paesi appena assimilati al proprio blocco, facendo gravare un pesantissimo e durissimo controllo su di essi e quindi a reprimere tutte le resistenze possibili: l’URSS pagò così il prezzo della rottura con la Jugoslavia (1948) e fu costretta all’invasione dell’Ungheria, a causa dei moti di Budapest nel Novembre 1956.
D’altro canto, sul versante degli USA ebbero una grande influenza nella modifica dello “status quo” i processi di decolonizzazione in Asia e in Africa, in particolare nell’Indocina ex-francese con la guerra del Vietnam, la rivoluzione cubana, la nascita, a Bandung nel 1955 del “movimento dei non allineati”.
In sostanza, però, si può affermare che la “guerra fredda”, denunciata a gran voce dai campi opposti, servì, in effetti, alle due potenze mondiali per consolidare il proprio dominio, e che esse funzionalizzarono sia il “pericolo rosso”, sia il “pericolo imperialista” alle loro esigenze.
La “guerra fredda” però si basava anche su un altro presupposto fondamentale: sia USA sia URSS ritenevano che il blocco opposto non avesse salde basi e potesse andare incontro a un processo di disgregazione.
Gli statunitensi, consapevoli della loro immensa superiorità economica ritenevano possibile che il proprio “modello” costituisse un potente polo di attrazione per i paesi dell’Est, e a questo scopo misero in moto una gigantesca macchina propagandistica diretta verso l’Europa Orientale e anche verso la stessa Unione Sovietica.
I sovietici, dal canto loro, puntavano sulle contraddizioni esistenti tra le potenze definite “imperialistiche” e sulle difficoltà che il capitalismo avrebbe incontrato nel corso delle sue cicliche crisi.
Tutti i presupposti fondamentali della “guerra fredda” risultarono errati da entrambe le parti.
Sia pure a prezzo di durissimi sacrifici, l’URSS e i paesi a democrazia popolare attuarono la loro ricostruzione economica e il controllo sovietico sul “proprio” campo rimase ben saldo.
Nel corso degli anni’50 la superiorità nucleare degli USA si ridusse sempre più fino ad annullarsi (l’URSS realizzò la bomba atomica nel 1949 e quella nucleare nel 1953): il varo dei “missili intercontinentali” (in contemporanea con la messa in orbita del primo satellite artificiale, lo Sputnik sovietico, nel 1957) rese entrambe le superpotenze oggetto di possibile attacco diretto.
A sua volta il campo occidentale dimostrò ai sovietici che le speranze di una crisi economica ravvicinata e generalizzata non stava nella logica del ciclo capitalistico.
I più forti partiti comunisti occidentali, quello italiano e quello francese, agirono dall’opposizione e comunque provvisti di un legame forte (si disse “ferreo”) con l’URSS in una dimensione, però, di “riconoscibilità nazionale” non minacciando mai, neppure nei momenti più complicati (si pensi all’attentato a Togliatti nel 1948) una “crisi di sistema”.
Fu così che gli anni’50 videro USA e URSS di fronte a un equilibrio fra due campi opposti che aveva solide fondamenta militari, economiche e sociali.
Si generò così un nuovo livello di equilibrio, diverso da quello stabilito a Yalta: il cosiddetto “equilibrio del terrore” dovuto alla potenziale capacità di ciascuno dei contendenti di mettere a rischio l’equilibrio generale del pianeta.
Fu proprio dalla necessità di superare “l’equilibrio del terrore” che si aprì la strada alla cosiddetta “distensione”.
“L’equilibrio del terrore” era mantenuto, infatti, a un prezzo altissimo, sotto l’aspetto di utilizzo di gran parte delle risorse a disposizione per gli armamenti che registrarono una vera e propria escalation, sia dal punto di vista quantitativo, sia qualitativo grazie anche a una fortissima crescita tecnologica e della ricerca nel settore, scaricando altresì le proprie contraddizioni nelle guerre locali, limitate territorialmente e condotte senza armamento atomico, come nel caso del Medio Oriente.
Le guerre locali riguardarono sempre e dovunque anche le due superpotenze, dal momento che il peso della loro influenza acquistò via, via, un carattere predominante, ma queste guerre in molti casi coinvolsero anche le potenze intermedie, come la Francia e la Gran Bretagna, col risultato che francesi e inglesi videro nel corso degli anni’50 sgretolarsi definitivamente i loro vecchi edifici imperialistici.
Gli anni’50 sancirono così in modo netto la leadership mondiale degli USA e dell’URSS : dall’equilibrio delle forze militari e dalla fondamentale stabilità politico – sociale dei due blocchi scaturì dunque la reciproca accettazione e l’inizio della fase di coesistenza, dovuta anche da una profonda modifica degli equilibri interni ai due grandi paesi: nell’URSS si avviò il cosiddetto processo di “destalinizzazione”, negli USA si uscì dalla cappa di piombo del maccartismo che aveva caratterizzato la presidenza Eisenhower, inaugurando la stagione della “nuova frontiera” kennediana.
Tra grandi contraddizioni (si pensi alla guerra del Vietnam e allo sventato incidente dei missili a Cuba) s’inaugurava così una stagione del tutto diversa da quella descritta in quest’occasione.
La “guerra fredda” rimane un esempio storico fondamentale che, oggi, trova una sua rinnovata ragione d’analisi proprio perché ci troviamo di fronte, come si ricordava all’inizio, a una possibile ripresa di confronto diretto tra le sole due possibili superpotenze imperiali del pianeta.

Franco Astengo

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