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(7 Gennaio 2017)
Lo si può definire un annus horribilis, quello appena concluso, per l’andamento infortunistico sul lavoro. Dopo decenni di contrazione del fenomeno, il 2016 ha segnato un rallentamento della dinamica favorevole, prospettando un bilancio con un saldo che, dopo tanti meno, è destinato (forse) a cambiare di segno.
Per il momento, i dati dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi sul Lavoro rivelano un incremento delle denunce di infortuni di circa cinquemila e duecento unità, passando dagli oltre cinquecentottantaduemila del 2015 ai cinquecento e ottantasei mila e seicento dello scorso anno. Stesso trend per le malattie professionali, con un più 2,9 per cento, raggiungendo le quasi cinquantaseimila unità.
Con ritmi frenetici, tanto che, dal 2008 a oggi, le denunce sono raddoppiate e, nel contesto, sono cresciute in maniera esponenziale quelle collegate alle patologie dell’apparato muscolo-scheletrico, mentre quelle tradizionali – respiratorie, cutanee, ipoacusie da rumore e tumori - più diffuse, sono stabili o leggermente diminuite.
Così come, fortunatamente, le morti bianche: un calo consistente di centoquarantacinque unità. Sono state novecentotrentacinque quelle avvenute nel 2016, comprese, ultime in ordine cronologico, quelle di Messina, con tre operai deceduti mentre lavoravano all’interno di una cisterna di una nave ancorata al porto della città siciliana.
Sebbene da un punto di vista strettamente tecnico non si possa sostenere la correlazione o un corrispondenza strettamente misurabile tra fine della crisi economica, aumento della produzione e dell’occupazione e crescita degli infortuni, tuttavia è innegabile che un aumento del monte-lavoro (espresso in numero di occupati e di ore lavorate) equivalga a un aumento dell’esposizione al rischio.
Il tentativo di rilancio della ripresa economica si è solo concentrato sulla riduzione dei costi e ha innescato una progressiva accelerazione dei ritmi di lavoro, del grado di utilizzo degli impianti, dell’assunzione di personale temporaneo, precario e (probabilmente) inesperto. Tutti elementi che incidono negativamente sugli standard di sicurezza abituali e possono generare situazioni di pericolo.
A ragion del vero, infatti, segnali di ripresa si stanno manifestando principalmente nell’area della produzione manifatturiera, nei servizi alle imprese e nei trasporti; proprio quei settori, insieme alla metalmeccanica e alla fabbricazione di autoveicoli, in cui si sono registrati i peggioramenti nel trend degli incidenti. Calano, invece, secondo i dati INAIL, quelli verificatisi in agricoltura.
Una stima però, quest’ultima, che l’Osservatorio indipendente di Bologna, che dal 2008 conteggia i morti e gli incidenti sul lavoro, senza annullare le partite IVA e le restanti posizioni lavorative inesistenti per le statistiche ufficiali, non conferma. Anzi, segnala un aumento dei decessi del 31 per cento, considerando i braccianti non assicurati e perciò non risultanti nelle liste INAIL, al pari dei lavoratori nell’edilizia con il 19,6 per cento di morti bianche. Ma bianche o nere che siano, sono ancora troppe.
Tania Careddu - altrenotizie
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