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Immigrazione: una conversazione con Zaria Galiano

(20 Luglio 2019)

E' indubbio: se le politiche sull'immigrazione del governo gialloverde non incontrassero nessuna opposizione di piazza, ci si troverebbe di fronte a un preoccupante segnale di passività sociale. Tuttavia, i contenuti espressi dalle mobilitazioni antirazziste degli ultimi mesi ci hanno spesso lasciato perplessi. Dominanti, infatti, sono risultati quei motivi umanitari che, alla lunga, rischiano di minare l'incisività del discorso, riducendo la cosiddetta “questione immigrazione” a un fenomeno a sé stante, da affrontare armati di buon senso e di buoni sentimenti. Spinti da questa constatazione, ci siamo rivolti a Zaria Galiano, combattiva esponente del Comitato Immigrati in Italia, a più riprese intervenuta sul nostro sito. Nella conversazione che abbiamo svolto con lei emergono, a nostro avviso, diverse elementi utili a riformulare il pensiero e l'azione sul tema, a partire dalla sua collocazione all'interno della contraddizione tra capitale e lavoro.

diritto di cittadinanza

Vorremmo partire da una delle rivendicazioni chiave del Comitato Immigrati: l'introduzione, in Italia, dello Ius soli. Nella stessa sinistra di classe c'è chi la liquida come un'istanza di rilievo secondario, perché esclusivamente interna alla sfera dei diritti civili...
In realtà, lo Ius soli è fondamentale anche e soprattutto in un’ottica classista. Perché essere o non essere cittadini italiani, non è indifferente in relazione alla collocazione sul mercato del lavoro. Tra due ragazzi che hanno seguito gli stessi corsi di studio, quello senza cittadinanza sarà inevitabilmente più ricattabile dalla parte datoriale.. Per non dire di tutti quei lavori ai quali non puoi accedere se non sei cittadino/a di questo paese. Il fatto che in Italia ci siano così tanti giovani in condizioni di “minorità giuridica” contribuisce anche ad abbassare il costo del lavoro, nei fatti danneggiando tutti.

E cosa ci puoi dire della vostra battaglia per il diritto di voto alle amministrative?
Per inquadrare questa rivendicazione, bisogna muovere da un dato: gli immigrati che lavorano, in Italia, sono circa 3 milioni. Si tratta di persone che, oltre a dare un contributo decisivo al PIL (Prodotto Interno Lordo), pagano le tasse, i biglietti dell’autobus e i ticket sanitari, nonché le rette scolastiche per i figli. Però non possono votare il Sindaco né il Presidente della Regione. Dunque, non possono esprimere direttamente il proprio dissenso rispetto a una Giunta che a loro avviso ha operato male. E ciò, magari, dopo esser stati vessati dai tributi locali! Ma se ne avessero la possibilità, gli immigrati potrebbero ribaltare molti equilibri. Pensate a quei paesi non troppo grandi in cui la loro presenza ha frenato lo spopolamento: qui, beneficiando del diritto di voto potrebbero cambiare molte cose. Senza contare il fatto che, per questa via, la democrazia italiana sarebbe un po’ meno monca.

Da quel che sappiamo, sinora pochi, tra i soggetti politici con cui siete entrati in contatto, hanno fatto proprie queste istanze. Come te lo spieghi?
Il fatto è che se noi, sul piano giuridico, diventiamo uguali agli altri, deve cambiare tutta l’azione politica, negli aspetti tattici ma pure in quelli strategici. Oggi gran parte della sinistra continua a considerarci alla stregua di poveretti, di persone incapaci di essere artefici del proprio destino e dunque sempre bisognose di amorevoli cure umanitarie. E’ come se il “compito” degli immigrati fosse quello di ispirare qualche generica campagna solidaristica a una sinistra ormai priva di prospettive. Molti militanti di questa sinistra, peraltro, amano più parlare di noi che ascoltarci o sostenere eventuali nostre azioni autonome ed autorganizzate. Ne ho avuto riscontro a una delle prime riunioni del percorso antirazzista denominato Indivisibili, che ha promosso importanti e partecipati momenti di piazza come quello del 10 novembre 2018. Quando in quella sede ho proposto le rivendicazioni di cui abbiamo sin qui parlato, mi è stato seccamente risposto che al momento non interessavano. Del resto, questi problemi non si riscontrano solo in quell'ambito: lo stesso Segretario Generale della Cgil, Maurizio Landini, quando parla di immigrazione non va oltre i pur necessari concetti di accoglienza e integrazione. Non si riferisce mai a noi in quanto lavoratrici e lavoratori, che possono quindi lottare insieme ai colleghi italiani per strappare nuovi diritti sociali o contrastare l’erosione di quelli vecchi. Anche in questo caso, il discorso meramente umanitario cozza con ogni idea di protagonismo dei diretti interessati. Non mi stupisce che in Cgil siano così poche le figure dirigenziali provenienti dalle file dell’immigrazione.

Visto che hai parlato del più grande dei sindacati... Anche la Cgil ha fatto propria la battaglia per l'apertura dei porti. Cosa pensi del movimento che si è sviluppato a partire da questa rivendicazione?
A mio avviso è giusto manifestare affinché le persone salvate in mare dalle navi delle ONG vengano fatte scendere e accolte. Ma non bisogna perdere di vista il quadro complessivo, né dimenticare che la cinica partita giocata dal governo contro le ONG è anche un’arma di distrazione di massa, volta a far dimenticare politiche antipopolari. Salvini in particolare fa il duro con le grandi navi come la Sea Watch e la Alan Kurdi perché, su un piano propagandistico, gli serve. Ma poi, via mare, sono in molti ad arrivare con piccole imbarcazioni di cui i media non parlano. Senza considerare che la maggioranza degli immigrati non giunge qui con questa modalità, ma con il treno o con l’aereo. Per esempio, ci sono quelli che dispongono di un visto turistico e, quando questo scade, rimangono nella penisola,, in condizioni di irregolarità. Si tratta di persone che possono rapidamente diventare manodopera ricattabile e a bassissimo costo. E' quindi necessario fuoriuscire da una logica meramente emergenziale ed umanitaria, intervenendo su questionii a monte, come la gestione dei flussi, che oggi segue logiche sempre più restrittive. Il Decreto Flussi 2019, collocandosi in continuità con quelli degli ultimi anni, ha previsto l'ingresso regolare in Italia per poco più di 30000 persone, ossia molte meno di quelle che, secondo gli studi di settore, risultano necessarie all'economia italiana.

Perché, secondo te?

Perché l'obiettivo rimane quello di mantenere una grande massa di persone in una condizione di debolezza assoluta verso il padronato. Oggi, gli irregolari si calcolano in 600-800mila e non si parla neanche più di uno strumento come la Sanatoria, che nel recente passato è stato usato proprio dai governi di centrodestra e ha portato alla regolarizzazione di tanti immigrati, convogliando inoltre molti soldi verso le casse dello Stato. Chissà, magari quando la massa degli irregolari arriverà a livelli altissimi, potrebbe tornare di moda la Sanatoria, al limite circoscritta a specifici settori come l'agricoltura o il lavoro domestico. In tal caso, a seconda di quanti lavoratori si vorranno far emergere, la multa da pagare sarà più o meno alta. Però, queste al momento sono solo ipotesi, peraltro escluse pubblicamente da Salvini e dai suoi. Quel che è sicuro è che l'Italia, stante l'irreversibile fenomeno della denatalità, ha bisogno almeno di 150000 immigrati ogni anno. Che in ogni caso arriveranno e per tutte le vie possibili: il punto è lottare per fare in modo che questo accesso sia il più possibile garantito legalmente. O battersi, in seconda istanza, per sanatorie tali da riguardare un numero significativo di persone. Tutte tematiche che l'odierno movimento per l'apertura dei porti spesso nemmeno sfiora.

Dunque, dal tuo punto di vista nella mobilitazione attuale va veramente rivisto tutto...
Direi che, in primo luogo, è proprio l'opposizione ai Decreti Sicurezza del governo gialloverde che va ricalibrata. Nel senso che di questi provvedimenti va evidenziata la logica di fondo: la stessa abolizione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, estende ancor di più la fascia di persone che si ritrovano senza la minima tutela giuridica, quindi alla mercé di un padronato particolarmente aggressivo. Il che ben si tiene con un altro aspetto dei Decreti: l'approccio ferocemente repressivo verso le più tipiche forme di lotta operaia, come il picchettaggio stradale. Ma questi Decreti non vengono dalla luna, né sono il semplice frutto della cattiveria di Salvini. Rispetto all'immigrazione, pur nella maggiore asprezza, si pongono in totale continuità con le politiche precedenti. Si pensi alla Bossi/Fini, che ha stabilito che il permesso di soggiorno possa essere concesso solo a chi ha un contratto di lavoro: ancor oggi, a causa di questa legge, persone che vivono qui anche da 20 anni possono diventare clandestine, se perdono il lavoro e non ne trovano un altro entro sei mesi. Non a caso, il permesso di soggiorno svincolato dal contratto di lavoro è stata una delle principali rivendicazioni del movimento degli immigrati di qualche anno fa: l'idea era anche quella di evitare che la paura della clandestinità spingesse molti ad accettare situazioni lavorative segnate dallo sfruttamento estremo. Perché chi oggi porta avanti una legittima battaglia contro i Decreti Sicurezza non introduce anche questo punto nelle sue piattaforme?

Hai accennato della mobilitazione degli immigrati degli anni passati. Perché oggi non c'è nulla di simile?
E' vero: molti immigrati che hanno lottato negli anni scorsi adesso si muovono di meno. Hanno ottenuto il permesso di soggiorno e non si pongono, nell'immediato, il problema dello Ius soli, , arrangiandosi come possono rispetto ai tanti problemi pratici posti dalla minorità giuridica cui sono comunque costretti i loro figlii. Alcuni sembra che si siano italianizzati, assumendo quella mentalità piccolo borghese che è tanto diffusa in questo paese, ma per altri, quando la realtà presenterà il conto, forse finirà, la fase della quiete.

Per chiudere, ci piacerebbe sapere qualcosa sulle prossime iniziative del Comitato, a questo punto tanto più necessarie di fronte al prevalere di un'ottica meramente umanitaria...
Attualmente, il Comitato Immigrati in Italia sta preparando un incontro europeo di immigrati, con delegazioni provenienti anche da Asia e Stati Uniti. Si terrà il 6 dicembre a Como e rinvia alla nostra stretta collaborazione con l'IMA (Alleanza Internazionale dei Migranti). Tra gli obiettivi che si prefigge questo passaggio vi è la costituzione di una vera e propria rete europea degli immigrati, al momento mancante. Ma l'intento è anche quello di stimolare una riflessione sui processi migratori fondata sul loro nesso con la contraddizione capitale e lavoro. Perciò inviteremo quelle forze politiche e sindacali che ragionano in termini classisti e che si caratterizzano per una presenza non marginale degli immigrati. A mio avviso, il luogo scelto non risponde solo a criteri logistici: in Lombardia tanti di noi lavorano nell'industria e questo, di per sé, già spinge il dibattito in una certa direzione.

Il Pane e le rose – Collettivo redazionale di Roma

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