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Salvate la Sanità

Salvate la Sanità

(28 Novembre 2012) Enzo Apicella
Secondo Monti il sistema sanitario nazionale è a rischio se non si trovano nuove risorse

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Edoardo Turi: contro la logica del profitto, per un'autentica tutela del diritto alla salute

(26 Dicembre 2023)

Nell'intervista che segue Edoardo Turi, Direttore del Distretto 3 della Asl Roma 1, nonché attivista di Medicina Democratica del Forum per il diritto alla Salute, ripercorre le tappe che hanno portato allo smantellamento della Sanità Pubblica in Italia. Non solo, egli propone anche considerazioni critiche circa quel PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) che, di fatto, rafforza la logica del profitto in un ambito, quello della salute collettiva, in cui dovrebbero prevalere altri criteri. Ma nella conversazione non emerge solo una pars destruens solidamente argomentata, perché le proposte non mancano. Di particolare interesse sono quelle relative alla prevenzione delle pandemie, basate su un approccio intersezionale.

medicina dem

A tuo avviso, da dove si può partire per avviare un discorso sulla tutela del diritto alla salute nell'Italia di oggi?
A volte bisogna cominciare dal linguaggio. La legge 833 del 1978 ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale, affermando il carattere universale del diritto alla salute. Ma i media spesso parlano di Sistema Sanitario Nazionale (SSN). Per questa via, volontariamente o meno, essi riprendono concetti elaborati da due università milanesi: la Bocconi e la Cattolica, le quali – con il termine sistema – hanno voluto indicare una stretta relazione tra il pubblico e il privato, magnificandone le possibilità.

Da quel che sappiamo, durante la recente emergenza sanitaria il privato non ha dato un grande contributo
Nella fase più critica della pandemia, i guasti prodotti dal sempre maggiore peso del privato sono risultati evidenti. In generale, gli ospedali pubblici hanno retto, anche per il loro carattere di istituzioni millenarie. Certo, negli ultimi lustri hanno subito delle notevoli modifiche, nel senso che interi reparti e servizi sono stati affidati a soggetti privati esterni, come le cooperative, che impiegano soprattutto lavoratori precari. Però, la loro lunga esperienza li ha portati a non crollare di fronte a una situazione difficile, anche se hanno dovuto fare delle scelte drastiche, come quella di sospendere gli interventi operatori programmati. In generale, il territorio ha mostrato maggiore vulnerabilità. Sicuramente ha pesato il fatto che le strutture territoriali sono di più recente concezione. Però, il punto è che in esso predominano le esternalizzazioni, che si presentano nella forma di Residenze Sanitarie Assistenziali, luoghi per la lungodegenza e forme di assistenza domiciliare. Ovviamente, vanno fatte delle distinzioni da regione a regione. Per dire, in Calabria il tessuto sanitario territoriale è risultato più debole che altrove. In Toscana, in Emilia-Romagna e in Veneto il territorio ha resistito.

Purtroppo, a confrontarsi con un contesto così difficile è stato un Servizio Sanitario a dir poco sfibrato, rispetto alle origini. Ora, sarebbe forse utile se tu ripercorressi le tappe che che hanno portato alla situazione odierna
L’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale è stata una grande conquista. Però, non so se per distrazione o per volontà esplicita, nella l. 833 vi erano delle contraddizioni tali da aprire la porta a successivi sviluppi, di segno non positivo. Ad esempio, all’articolo 25 si stabilisce che i medici di base possano essere non dipendenti bensì convenzionati con il SSN. Ultimamente, la Cgil Funzione Pubblica si è fatta portatrice di una proposta che ritengo valida: quella di rendere dipendenti anche loro. Detto questo, l'impianto complessivo della legge rimane molto avanzato. Un importante passo verso lo smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale è stato fatto già 14 anni dopo la sua istituzione. Il Ministro De Lorenzo, un liberale che si era opposto alla l. 833, realizzò una controriforma incentrata sulla regionalizzazione della Sanità, sulla definizione di una figura paternalistico-autoritaria come quella del Direttore Generale delle strutture sanitarie pubbliche e sull’obbligo delle stesse al pareggio di bilancio. Il primo governo Prodi (1996-1998), da molti accolto festosamente dopo i disastri berlusconiani, aveva una grande occasione: sconfessare quanto fatto da De Lorenzo e rilanciare l’originaria ispirazione del SSN. Invece ha agito nella direzione opposta, sancendo la cooperazione del pubblico con il privato no profit. Sotto il Governo Monti (2011-2013), il Ministro Balduzzi ha previsto un turn over del 15% . Con soli 15 nuovi dipendenti ogni 100 pensionamenti, in Sanità ci si è attestati su un tendenziale, anche se non dichiarato, blocco delle assunzioni. Tale linea è di continuo ribadita a livello nazionale e locale. Nel Lazio, si mantiene il blocco delle assunzioni nonostante i molti operatori a scadenza di contratto già il 31 dicembre 2023. In linea di massima si può dire che nessuna amministrazione ha dimostrato attenzione per la Sanità Pubblica. Gli esecutivi di centrosinistra hanno proposte logiche simili a quelle dei governi tecnici o di destra, a cominciare dalla costante tendenza a tagliare i fondi.

Negli ultimi tempi il personale sanitario, con i medici in prima fila, ha dato vita a scioperi assai partecipati. Qual è la tua opinione al riguardo
?
Si tratta di scioperi importanti, che rimandano a una grande varietà di motivazioni. Intanto c'è l’articolo 33 della legge di Bilancio, che introduce forti penalizzazioni per le pensioni dei medici che lasceranno il lavoro dal 2024 in poi. Certo, la lotta ha ottenuto dei risultati e, con un emendamento, la norma in questione è stata modificata. Però l'obiettivo della mobilitazione era e rimane quello di abrogarla. In più, c’è la questione del Fondo Sanitario Nazionale, per il quale il governo Meloni ha previsto una dotazione insufficiente (130 miliardi di euro), aggiungendo in seguito quel modesto aumento di 5 miliardi che a malapena copre i rinnovi contrattuali. Dunque, la battaglia in questione è sacrosanta, anche se registro che, tra i sindacati la stanno portando avanti, non tutti sono chiari su un punto dirimente. Tutti chiedono un serio aumento delle risorse del Fondo Sanitario, però non sempre lo collegano in modo diretto a un aumento del personale. Invece, se si vuole il rilancio del SSN una delle priorità è proprio un piano straordinario di assunzioni.

Torniamo sui temi sollevati dalla recente emergenza sanitaria. Secondo molti studiosi, nel futuro prossimo potrebbero darsi altre pandemie. Cosa si può fare per prevenirle?
Intanto, va sottolineato che la prevenzione non può essere delegata al solo SSN. Perché ciò che scatena le pandemie, il salto di specie dei virus, rimanda a problemi di fondo del nostro sistema sociale, che sta alterando gravemente gli ecosistemi. In più, gli ambienti di vita e di lavoro non sono progettati in modo adeguato e dunque contribuiscono ad accelerare la diffusione dei contagi. Occorre adottare una prospettiva intersezionale, tale da permettere di affrontare il tema pandemie in tutti i suoi risvolti. Dunque, prevenirle e affrontarle non può essere compito del solo Ministero della Salute, dovrebbero attivarsi pure i dicasteri dell'Agricoltura, dell'Economia, dell'Istruzione e Ricerca ecc.. In più, risulta necessario un pieno coinvolgimento dei Comuni, delle Regione e delle Città metropolitane. Lo stesso discorso vale per le competenze da mettere in campo. Quelle sanitarie, certo, sono irrinunciabili, ma non va sottovalutato il contributo di antropologi, psicologi, architetti, ingegneri ecc. Si pensi allo sforzo da fare per evitare l'affollamento dei mezzi pubblici e per impedire che, nelle scuole, siano dominanti le classi pollaio. In questo periodo, non c'è stata nessuna discussione circa il piano antipandemico. Ed è un errore grave, perché la prevenzione calata dall'alto di solito funziona a metà. Non si possono ripetere le solite dinamiche, quelle per cui, quando la situazione si fa decisamente critica, tutto ricade sulle spalle del SSN e delle realtà locali. Le misure di prevenzione vanno definite prima, con il concorso di tutti i soggetti che ho elencato e anche di altri. In più, vanno considerati forti investimenti economici, uniti a un serio impegno sotto i profili culturale e informativo.

Per concludere, vorremmo parlare del PNRR. La comunicazione istituzionale ha veicolato l'idea di un Piano molto attento alle esigenze della Sanità Pubblica.
Questa rappresentazione corrisponde al vero?

Medicina Democratica e il Forum per il diritto alla Salute lo hanno subito denunciato. Sia la Missione 5 (Inclusione e Coesione) sia la Missione 6 (Salute) del PNRR sono state calate dall'alto, ossia delineate al di fuori di qualsiasi discussione pubblica. Nella Missione 6 si punta sulle Case di Comunità e sugli Ospedali di Comunità, ma non si prevedono i finanziamenti necessari per il relativo personale. Peraltro, già il cambio di denominazione porta con sé una nota di ambiguità. In precedenza si è parlato di Case della Salute, sperimentate dapprima in Toscana e poi, quando era Ministra della Salute Livia Turco (2006-2008), introdotte facoltativamente in altre regioni. Oggi, nel cambiare il nome, ci si riallaccia a un convegno del 2020, organizzato dall'Associazione Prima la Comunità. Ma si tratta di una realtà che da tempo tesse le lodi del cosiddetto “privato sociale”. I luoghi della sanità diffusa di cui si parla, in mancanza di adeguate risorse per il personale, non si vede come possano funzionare. Al limite, qualche soldo è previsto per acquistare edifici o per ristrutturarne alcuni, di proprietà pubblica, però i lavori e le operazioni indirizzate in tal senso procedono a rilento. E comunque, nel PNRR, la retorica sul nuovo non ha tenuto conto di problemi annosi, a partire dal fatto che molti ospedali pubblici non sono a norma. Ce lo ha ricordato la recente tragedia del San Giovanni Evangelista di Tivoli. Invece di affrontare tali problematiche concrete, si sono prodotte chiacchiere attorno a un modello di sanità territoriale sfornito dei fondi necessari. Verosimilmente, per coprire i buchi si ricorrerà, ancora una volta, alle strutture private accreditate e a quel terzo settore che, al di là di come viene presentato, non è sganciato dalle logiche del profitto. Del resto, il rischio che la Missione 6 diventi il veicolo per un ulteriore rafforzamento del ruolo dei privati noi lo abbiamo evidenziato subito.

Il Pane e le rose - Collettivo redazionale di Roma

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