">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Comunisti e organizzazione    (Visualizza la Mappa del sito )

Eric Hobsbawm

Eric Hobsbawm

(2 Ottobre 2012) Enzo Apicella
E' morto a Londra Eric Hobsbawm, storico marxista

Tutte le vignette di Enzo Apicella

costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

SITI WEB
(Memoria e progetto)

Chen Duxiu: SULLA QUESTIONE DELLA COSIDDETTA “ARMATA ROSSA” - PRIMA PARTE

DOCUMENTI DELL’INTERNAZIONALISMO IN CINA

(29 Marzo 2023)

Si tratta di un saggio pubblicato il 1° luglio 1930 nel secondo numero del giornale dell’Opposizione trotskista cinese Il Proletario. La traduzione dal cinese di Quan Peng-li (marzo 2023) è tratta dalla versione digitalizzata presente nella sezione cinese del Marxists Internet Archive.

Chen Duxiu

Chen Duxiu

Nel tradurre e nel pubblicare – a quanto ci risulta per la prima volta in italiano – questo importante testo di Chen Duxiu, riteniamo opportuno anteporre una nota introduttiva per il lettore.

Dopo la catastrofe della rivoluzione cinese del 1927, diversi quadri direttivi del Partito comunista cinese – alcuni già operativi nelle campagne, altri che vi si rifugiarono per scampare alle esecuzioni del Guomindang (di “destra” e di “sinistra”) – isolati dai centri urbani e con scarse possibilità di comunicazione con il Comitato centrale del partito, iniziarono a costituire raggruppamenti che raccoglievano prevalentemente elementi declassati delle campagne, accomunati da varie gradazioni di ostilità verso il nuovo potere centrale nazionalista. Gradualmente, questi raggruppamenti, assunsero le caratteristiche di veri e propri centri di potere il cui peso politico interno al partito iniziò ben presto a insidiare quello della direzione centrale. I capi delle cosiddette “regioni sovietiche” e delle cosiddette “Armate Rosse” – tra i quali emergerà con un ruolo preminente Mao Zedong – formalmente membri o persino dirigenti locali del partito, manifestarono rapidamente una sempre minore inclinazione a mettere a repentaglio le proprie basi di potere in continue e fallimentari avventure insurrezionali – dirette dal Comitato centrale cinese e imposte da Mosca – miranti esclusivamente a creare in Cina uno stato di conflittualità endemica ed eventualmente a “persuadere” Chiang Kai-shek a tornare sui propri passi nel rapporto con l’URSS di Stalin.

Come scrive nella sua autobiografia Zheng Chaolin, che proprio in quegli anni aderisce al gruppo di opposizione trotskista facente capo a Chen Duxiu, si faceva strada nel partito cinese l’idea che:

La rivoluzione cinese, diversamente da altre rivoluzioni, avrebbe potuto “vincere inizialmente in una o più province”. In un certo senso, quest’idea era ovviamente il risultato dell’influenza della Spedizione verso il Nord; in un altro senso, essa era un’imitazione della teoria del “socialismo in un solo Paese” di Stalin. Il movimento su larga scala per l’“Armata Rossa” che iniziò dopo il VI Congresso [del PCC, che si tenne nel luglio del 1928 a Mosca] corrispondeva precisamente a questa concezione della rivoluzione. Il Partito comunista cinese occupò una o più contee nel Jiangxi e in altre province, mise in piedi governi sovietici, organizzò “Armate Rosse” e quindi intraprese spedizioni contro Changsha, Nanchang e persino Nanchino. Il movimento operaio nelle grandi città come Shanghai venne relegato ad un ruolo ausiliario, di supporto all’Armata Rossa. […] L’Armata Rossa non fu una creazione deliberata del Comitato centrale [del PCC] o del Comintern. All’inizio, il Comitato centrale non nutrì alcun interesse per essa, ritenendo che non avesse futuro. Durante il periodo della direzione di Li Lisan, il Partito comunista non aveva ancora deciso di abbandonare le grandi città. Ma, contro ogni aspettativa, questo piccolo nucleo militare riuscì a crescere fino a diventare un esercito […]; allo stesso tempo, il Partito comunista gradualmente trovò impossibile continuare a svolgere il proprio lavoro nelle città, così trasferì tutte le proprie forze verso l’Armata Rossa e in essa ripose tutte le sue speranze. Nella misura in cui il partito continuò a lavorare nelle città, si trattò semplicemente di preparare gli operai a rispondere all’Armata Rossa, così come avevano risposto alla Spedizione verso il Nord negli anni precedenti. […] Noi tutti pensavamo che l’idea di un’Armata Rossa fosse pericolosa. Eravamo preoccupati che, come suo risultato, il partito avrebbe abbandonato la vera rivoluzione e si sarebbe concentrato esclusivamente sulle avventure militari, che avrebbe abbandonato il proletariato e che avrebbe iniziato a rappresentare i contadini o persino i banditi. A quel tempo, non avremmo mai immaginato che il partito sarebbe degenerato sino al punto in cui è arrivato oggi. Chen Duxiu scrisse un lungo saggio contro la campagna per l’Armata Rossa. Ebbe un grande impatto. Non c’è bisogno di dire che il Comitato centrale stalinista andò su tutte le furie. […] Non può sussistere alcun dubbio sul fatto che [l’articolo di Chen Duxiu] parlasse della necessità di sottolineare il ruolo degli operai delle città, di fondare la rivoluzione sulla forza di larghe masse, e di riconoscere il ruolo secondario degli aspetti puramente militari nella conquista del potere. Queste erano le lezioni che Chen aveva tratto dalla disfatta di Wuhan, e queste erano le basi sulle quali avevamo abbracciato il trotskismo».[1]

Effettivamente, la riflessione di Zheng risulta estremamente penetrante, soprattutto laddove individua le fonti ideologiche di quello che poi sarebbe stato codificato come “maoismo” nella prassi del movimento populista e nazionalista borghese cinese (la Spedizione verso il Nord del Guomindang) e nella “teoria del socialismo in un solo Paese”. Il frutto avvelenato della politica dell’Internazionale stalinizzata in Cina arrivava a maturazione.

Lo scontro tra l’ala “sovietica” rurale e il centro del PCC non verteva in effetti sulla caratterizzazione della natura e dei compiti della rivoluzione cinese, che era condivisa da entrambi i gruppi e che oggettivamente non rappresentava altro che l’esigenza dello sviluppo economico e politico cinese in termini capitalistici, ma vedeva contrapposte una corrente che si faceva interprete di una tradizione politica nazionale (il populismo sunyatsenista, arricchito da una fraseologia “socialisteggiante” mutuata dallo stalinismo, la creazione di un potere territoriale che si espandesse militarmente con una base di massa contadina ma che frenasse le rivendicazioni più radicali della base stessa) e una corrente che legava strettamente la rivoluzione nazionale “socialista” agli interessi di Mosca. Essendo per l’URSS l’obbiettivo di una Cina indipendente del tutto subordinato alla possibilità di un’alleanza di quest’ultima con il capitalismo di Stato russo, la diplomazia sovietica non si fece eccessivi scrupoli nell’appoggiare prima una corrente e poi l’altra nel PCC – a seconda del mutare dei reciproci rapporti di forza – mentre continuava, e continuò per anni, a mantenere una “porta aperta” nei confronti del Guomindang.

Già nel lontano 1930, Chen Duxiu centrò il problema. La rivoluzione proletaria non è questione di “santuari militari” sui quali sventola la bandiera rossa, con una composizione sociale fatta di sottoproletariato, contadini estromessi dalla produzione e banditi. E a questo proposito il dato sociologico della provenienza urbana, e in piccola parte persino operaia, della direzione è del tutto ininfluente se i legami con la classe, nel suo essere tale, nel suo ambiente sociale, sono recisi.

La politica del Comintern aveva troncato il legame tra la classe operaia cinese e il PCC, costringendolo alla fuga nelle campagne. Tuttavia, nessun movimento politico, inserito in un dato contesto, può alla lunga fare a meno di una base sociale di riferimento. La direzione del partito, composta prevalentemente da intellettuali provenienti dagli strati intermedi urbani e rurali e in parte da operai, privata di una teoria di classe e formatasi ideologicamente nella forzata commistione di populismo nazionalista e di “socialismo in un solo paese”, alla ricerca di una base di massa, non poteva che intersecare le istanze degli strati sociali rurali più attivi e oggettivamente in conflitto con i grandi latifondisti assenteisti e usurai (strato che perlopiù coincideva proprio con la borghesia urbana che sosteneva il Guomindang): i contadini poveri, espropriati e in parte dediti al banditismo. Le esigenze di mantenimento di questi vasti eserciti di contadini declassati, estromessi dalla produzione, nella lotta contro il potere centrale, imponevano però il compromesso con gli strati sociali economicamente produttivi nelle campagne: i contadini medi e ricchi. Ed è quanto avvenne. La proprietà venne garantita e le razzie diventarono “esazioni”. Ma, nella misura in cui si facevano garanti di questi interessi, le “armate rosse” potevano rappresentare sempre meno quelli dei contadini poveri e dei salariati agricoli[2].

Un paio di anni dopo la pubblicazione dello scritto di Chen Duxiu, lo stesso Trotsky ipotizzava che queste armate sarebbero presto o tardi entrate in conflitto con il proletariato:

Le cause e i motivi dei conflitti tra l’esercito [l’“Armata Rossa”], che è contadino nella composizione e piccolo-borghese nella direzione, e gli operai non solo non sono stati eliminati, ma al contrario tutte le circostanze confluiscono nell’incrementare considerevolmente la possibilità e persino l’inevitabilità di un tale conflitto […]. Lo sviluppo rivoluzionario degli avvenimenti in Cina può portare questa tendenza alla sua conclusione, cioè alla guerra civile tra le armate contadine dirette dagli stalinisti e l’avanguardia proletaria diretta dai leninisti.[2]

Alcuni epigoni del trotskismo ancora in tempi recenti affermavano che questa previsione si sarebbe rivelata manifestamente falsa. Ma è proprio così?

In realtà, in questo caso Trotsky ha avuto più ragione di quanta gliene riconoscano i suoi epigoni. Se un’effettiva guerra civile non ebbe luogo fu solo perché il proletariato era stato da anni privato di una soggettività politica, ma la sconfitta del proletariato ci fu eccome, così come ci furono esecuzioni sommarie di internazionalisti cinesi da parte delle “Armate Rosse” nelle campagne “sovietizzate”. Il trionfo delle armate contadine maoiste ha significato una grande accelerazione nello sviluppo del capitalismo nel “continente di mezzo”, fino all’attuale ascesa cinese al rango di potenza dell’imperialismo, e questo sviluppo, nelle forme del capitalismo di Stato, è avvenuto a spese della classe operaia, economicamente ma soprattutto politicamente. Se è vero che la rivoluzione cinese ha sviluppato le forze produttive cinesi, se ha oggettivamente aumentato le “sostanze infiammabili” della rivoluzione, lo ha fatto contribuendo però a spegnere la fiaccola di una rivoluzione proletaria che in Cina avrebbe già avuto sufficiente combustibile per divampare.

Gli epigoni di cui sopra pretendono inoltre – con una tesi che rivela solo la desolante esigenza di intestarsi in qualche modo il “successo teorico” della “rivoluzione” maoista, e che rappresenta un vero e proprio insulto nei confronti degli stessi militanti trotskisti cinesi caduti vittime della repressione maoista – che, dal momento che le nazionalizzazioni costituirebbero “misure anticapitaliste”, nel realizzarle Mao avrebbe dimostrato di aver compreso “empiricamente” che la rivoluzione in Cina doveva assumere un carattere “socialista”, e che dunque il “grande timoniere” sarebbe un esecutore inconsapevole della strategia della “rivoluzione permanente”. Nientedimeno.

Se si considera quale sia la reale natura del “socialismo” che questi epigoni concepiscono come scopo della rivoluzione permanente, ovvero la statizzazione dell’economia (al netto, naturalmente, della “casta burocratica” dominante, e con un’ampia “democrazia operaia”) allora il Mao Zedong “rivoluzionario permanente” risulta effettivamente più credibile. Purtroppo però è questa concezione del socialismo a non essere credibile dal punto di vista marxista.

Lo sviluppo del capitalismo di Stato non è socialismo,
né è da considerarsi economia di transizione al socialismo, e la rivoluzione in permanenza in Cina, in corretti termini marxisti, non poteva avere altro significato se non quello che il proletariato cinese, come in Russia, avrebbe potuto prendere il potere, non che potesse instaurare il socialismo; che, come in Russia, la dittatura del proletariato avrebbe potuto al massimo procedere nello sviluppo delle forze produttive (necessariamente ancora a carattere capitalistico) conservando la propria natura di classe solo nella misura in cui la rivoluzione proletaria si fosse estesa ai Paesi capitalisticamente sviluppati (e certamente non per molto tempo se tale estensione avesse tardato, come ha ampiamente dimostrato la controrivoluzione russa), non che questo fosse socialismo.

Per concludere, non possiamo non riconoscere come il saggio di Chen Duxiu che presentiamo affronti in maniera metodologicamente corretta la questione della disgregazione contadina in Cina e dei fenomeni sociali ad essa connessi (vagabondaggio, sottoproletariato, banditismo etc.) come presupposto di una valutazione politica dell’“Armata Rossa”. La sua riflessione è importante in quanto esempio di come affrontare un fenomeno sociale e la sua relazione con una strategia rivoluzionaria, senza ricondurre il tutto a schemi precostituiti ma ricorrendo all’analisi marxista delle classi e dei rapporti di forza tra classi. Chen Duxiu non condanna la politica che assegna un ruolo prioritario all’”Armata Rossa” perché questa non corrisponde ad uno schema precostituito ma perché analizza la composizione di classe, i rapporti di classe nelle campagne e nelle città cinesi e li riconduce materialisticamente alle specifiche esigenze di una rivoluzione proletaria. La riaffermazione del ruolo centrale della lotta del proletariato industriale e urbano diventa così la lucida, consapevole difesa di una natura di classe del partito e della sua azione. Diventa lotta contro presunte “originalità” che in realtà non sono altro che la manifestazione ideologica di un mutamento di classe: l’involuzione da partito rivoluzionario del proletariato a partito a base di massa contadina, funzionale ad una rivoluzione nazionale democratico-borghese.

La riflessione di Chen Duxiu si rivela ancora oggi particolarmente interessante e utile, perché l’abbandono o la negazione di caratteri necessari – “identitari”, se vogliamo – del partito di classe, come la centralità proletaria, in favore di “nuove” forme di “antagonismo sociale” ritenute centrali nella funzione rivoluzionaria, si presentano in forme differenti nelle differenti fasi storiche ma tendono ad avere in comune la sfiducia e la svalutazione del ruolo della classe operaia. Una sfiducia e una svalutazione che, come scrive giustamente Chen Duxiu a proposito dell’opportunismo, si basano su dati oggettivi. Se nella Cina degli anni ’30 il dato oggettivo erano la sconfitta operaia, internazionale ed interna, e gli spazi di manovra (politici e militari) che si aprivano nelle campagne, oggi sono l’influenza nefasta e il pesantissimo condizionamento di decenni di stagnazione della lotta di classe in varie centrali imperialistiche il dato oggettivo che può alimentare la ricerca di false soluzioni, di scorciatoie, di scelte dettate dall’impazienza e dallo spasmodico bisogno di immediati riscontri di massa, quale che sia la loro natura. Dati oggettivi che producono una tendenza ad abbandonare e a trascurare l’oscuro e tenace lavoro di analisi delle dinamiche sociali dal punto di vista della classe operaia. Un lavoro necessario per la formulazione di un’azione politica che possa relazionarsi con ciò che oggi il proletariato esprime in termini di lotta e di organizzazione; e che non consente di lasciarsi demoralizzare, di mettersi alla ricerca di “alternative” sociali o di “trovate” tanto velleitarie quanto nocive. Scorciatoie che non riconoscono più nella lotta di classe nei gangli produttivi del capitalismo l’elemento indispensabile, centrale, determinante di una politica rivoluzionaria; scorciatoie che non abbreviano il cammino verso la meta ma che rappresentano invece la via maestra verso una meta diversa.

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Nella sua prefazione a La guerra dei contadini in Germania, Engels affermava:

Il sottoproletariato, questo mazzo di elementi squalificati di tutte le classi, che pianta il suo quartier generale nelle grandi città, è il peggiore di tutti i possibili alleati. È una plebaglia assolutamente venale e assolutamente impudente. Se gli operai francesi, nel corso di ogni rivoluzione, scrivevano sui muri delle case: Mort aux voleurs! (Morte ai ladri!) e ne fucilavano anche alcuni, questo non accadeva perché fossero pieni d’entusiasmo per la proprietà, ma perché, giustamente, erano consapevoli che bisognava anzitutto tenersi alla larga da questa banda. Ogni dirigente della classe operaia che usa questi straccioni come guardia o che si basa su di loro, solo per questo dimostra già di essere un traditore del movimento.[4]

I partiti comunisti di dozzine di Paesi in tutto il mondo hanno sempre seguito l’insegnamento di Engels e non hanno osato adottare una politica di utilizzo del sottoproletariato. Nel corso del IV Congresso mondiale dell’Internazionale comunista, guidata ancora da Lenin, il partito francese fu duramente criticato per la sua tendenza ad avvicinarsi a tali elementi, ed ora i traditori del movimento operaio cinese… [dieci caratteri del testo sono illeggibili] stanno usando questo sottoproletariato come guardia, considerandolo quasi come la forza principale del movimento proletario rivoluzionario, e cercano di espandere la cosiddetta “Armata Rossa” basata sul sottoproletariato (banditi e soldati sbandati) per guidare i contadini in una guerriglia per “influenzare le grandi città”. Costoro hanno dichiarato apertamente che:

L’ammutinamento, il punto di partenza del crollo dei signori della guerra, ha dimostrato che nei Paesi governati dal sistema coloniale dei signori della guerra i soldati hanno un ruolo rivoluzionario più marcato. Il sistema dei signori della guerra
ha portato a sviluppare una sorprendente abilità militare, che è diventata l’arma principale per distruggere questo stesso sistema (il proletariato deve essere considerato soltanto come un’arma secondaria!). Ciò (l’ammutinamento) costituisce la prova del drammatico crollo del sistema dei signori della guerra, un simbolo della nuova ondata rivoluzionaria. L’Armata Rossa costituisce una delle principali condizioni per l’arrivo dell’ondata rivoluzionaria… e per promuovere lo sviluppo di una situazione rivoluzionaria. Per quanto riguarda il vasto ed incomparabile numero di vittime di calamità nel Paese, gli eserciti composti per una metà di contadini, per l’altra di banditi e i banditi stessi, i Soldati Divini, la Società delle Lance Rosse, la Società dei Grandi Pugnali e altre organizzazioni di massa contadine… sono destinate a prendere la strada della guerriglia e ad espandersi fino a diventare l’Armata Rossa. Crediamo che non esista e che non esisterà mai nessuna forza in Cina o nel mondo in grado di ostacolare lo sviluppo di questa grande e socialmente possente Armata Rossa. (Vedi Bandiera Rossa, numero 72).

Nel Jiangsu ci sono stati innumerevoli eserciti di banditi e di Grandi Pugnali ma ci sono ancora persone che dubitano che nei territori sotto l’amministrazione diretta del governo di Nanchino la guerriglia sia possibile. (Vedi Bandiera Rossa, numero 76).

“L’ammutinamento è l’arma principale per distruggere i signori della guerra” e “Le vittime delle calamità, i banditi, i Soldati Divini, la Società delle Lance Rosse, la Società dei Grandi Pugnali costituiscono la base sociale per la crescita dell’Armata Rossa”. Un’”Armata Rossa” che si fonda su questa base sociale per favorire la nuova ondata rivoluzionaria. Questa è la strategia rivoluzionaria dei traditori. Questa è la loro analisi del contenuto dell’attuale cosiddetta “Armata Rossa”. Costoro hanno anche affermato apertamente, e con orgoglio:

Secondo la “Dichiarazione” del 31 dicembre, “banditi e comunisti a Rugao hanno radunato una folla di oltre 3.000 persone per resistere al pagamento delle tasse, e tutti i fucili e le munizioni sono stati confiscati e rubati per l’autodifesa del popolo. I banditi sono molto aggressivi…” Nei pressi della roccaforte dell’imperialismo e del dominio del Guomindang, si sono di nuovo verificate azioni armate da parte di teppisti e banditi e l’opposizione è davvero furiosa!
(Vedi Bandiera Rossa, numero 67)

Non è sorprendente che la classe dominante definisca “banditi” i comunisti; ciò che è sorprendente è che un partito della classe d’avanguardia si vanti con l’opposizione leninista della sua alleanza con i banditi e che il partito, che è stato creato dal sangue della maggior parte dei nostri compagni, sia stato degradato a tal punto dai traditori. Di questo l’opposizione è “davvero furiosa”.

È vero che il movimento dei banditi in Cina possiede una propria base sociale – e vasta, per di più – perché il lungo periodo di stagnazione nello sviluppo delle forze produttive ha creato una grande eccedenza di persone che sono state trasformate in vagabondi e ladri e perché si sono innescate guerre periodiche. Questo è un fenomeno importante nella storia cinese. Da quando l’invasione delle merci capitalistiche straniere ha distrutto l’economia agricola e artigianale cinese, è aumentato il numero di vagabondi, soprattutto nelle campagne.

La maggior parte di questi vagabondi sono contadini, seguiti dagli artigiani, e anche molti discendenti di funzionari, piccoli proprietari terrieri e piccoli imprenditori sono precipitati in questa categoria, che è quella che Engels ha definito come gli “elementi squalificati di tutte le classi”. Le loro opzioni erano: emigrare, lavorare nelle fabbriche come operai, diventare soldati. Ma si tratta di un esito che ha riguardato soltanto una minoranza, nella migliore delle ipotesi solo 10 o al massimo 20 milioni di persone, mentre la maggioranza si è data al banditismo. Le Società segrete più organizzate, come le Lance Rosse, i Grandi Pugnali e i Piccoli Pugnali al nord, la Banda Rossa e la Banda Verde al centro e le Triadi al sud, non soltanto erano radicate nelle campagne, ma avevano anche un grande potere nelle città. Inoltre, banditi sparsi dai nomi più svariati si sono diffusi nei villaggi, nei paesi e nelle città di tutta la Cina. Si tratta ovviamente di un problema serio, che non potrà essere risolto finché le forze produttive della società non saranno altamente sviluppate. Nel corso della storia cinese, ogni volta che la classe dominante è stata scossa da lotte interne, questo enorme sottoproletariato è stato protagonista di rivolte su larga scala, da quella delle Sopracciglia Rosse e del Turbante Giallo a quelle dei Lupi Bianchi e dei Vecchi Stranieri; tutte rivolte che fallirono, anche se molti degli imperatori che avevano fatto affidamento su queste forze ebbero successo. Ma in epoca moderna, con lo sviluppo delle città e i progressi nel campo delle armi e delle tattiche, e soprattutto con l’emergere del proletariato industriale urbano, il ruolo del sottoproletariato nella politica è molto mutato rispetto a quello svolto in passato. Si tratta della feccia degli elementi più disparati che si sono staccati dalle varie classi. Sono assolutamente facili da comprare. Sono capricciosi e imprevedibili. Finché c’è un profitto da realizzare, sono a disposizione, non importa se dei rivoluzionari o dei controrivoluzionari, per questo, sebbene il partito rivoluzionario borghese possa usarli in cambio di denaro e di cariche ufficiali, esso non può avere successo facendo affidamento esclusivamente sulla loro forza.

La Tongmenghui[5] di Sun Yatsen è stata in grado di rovesciare i Manciù solo dopo che la maggioranza della gioventù rivoluzionaria borghese si è unita al Nuovo Esercito. Dopo la riorganizzazione del Guomindang nel tredicesimo anno della Repubblica di Cina[6], il successo della Spedizione verso il Nord fu ottenuto solo utilizzando la forza degli operai e dei contadini. Questi sono chiari esempi.

Oggi, dopo che il proletariato è già salito sul palcoscenico della grande rivoluzione, il nostro partito proletario riprende ancora la vecchia politica di Sun Yatsen di alleanza con i banditi, nel tentativo di fare affidamento sulla loro forza per espandere l’area dell'”Armata Rossa” ed instaurare un regime “sovietico”. Questo dimostra che si tratta di traditori del movimento operaio! Alcuni membri del Partito dotati di una coscienza politica superficiale, che sono caduti preda della propaganda dei traditori, pensano che l’espansione dell’area dell’Armata Rossa costituisca un dato di fatto, che potremmo essere in grado di vincere e che la politica del Comitato Centrale può essere giusta. Questo gruppo è stato abbagliato dai caratteri dorati delle parole “Armata Rossa” e “Soviet” e non ha riflettuto attentamente sul contenuto di classe dell’attuale cosiddetta “Armata Rossa” e dei cosiddetti “Soviet”. Dovremmo saperlo: è certamente un fatto che la cosiddetta “Armata Rossa” abbia esteso la sua area, ed è ancora di più un fatto, e certamente non un fatto nuovo, che il banditismo dilaghi in tutta la Cina. L’espansione del brigantaggio e del banditismo ha la propria base sociale, in primo luogo, nel crescente stato di abbandono dell’agricoltura, nell’aumento quotidiano del prezzo dell’oro e del riso, nelle controversie interne e nelle oscillazioni della classe dominante, ed ha la sua causa più immediata nel fatto che i traditori sono disposti a trasformare il Partito Comunista in un partito di banditi. Esiste la possibilità in futuro di un’espansione dell’area della cosiddetta “Armata Rossa” che vada oltre i suoi confini attuali. Ad esempio, le forze del bandito He Jinbiao, che domina dozzine di contee nel Fujian orientale, possono anche svilupparsi nella Nona Armata dell’”Armata Rossa”, in aggiunta alle attuali otto armate; la banda di Guo, che utilizza il lago Taihu come base per saccheggiare decine di contee lungo il lago, nelle province di Jiangsu e Zhejiang, può anche crescere fino a diventare la Decima Armata dell'”Armata Rossa”; la Società del Grande Pugnale, persino più grande, la Società del Piccolo Pugnale, i Soldati Divini e le Lance Rosse potrebbero organizzarsi in una sorta di “Armata Rossa” e l’area della cosiddetta “Armata Rossa” si espanderebbe con questa base sociale e avrebbe naturalmente un “futuro grandioso”. Le vessazioni dei banditi e della cosiddetta “Armata Rossa” hanno ovviamente aumentato le difficoltà del dominio borghese, ma è assolutamente errato pensare che costituiscano l’arma principale della rivoluzione e la condizione principale della ripresa rivoluzionaria. Questo perché questo mazzo di elementi squalificati di tutte le classi, assolutamente facile da corrompere, oggi, in condizioni favorevoli, può indossare i berretti rossi come Yuan Wencai e Wang Zuo[7], e domani può mettere i cappelli bianchi come Fan Guanxiu e Sun Dianying[8]. Se queste forze riescono a trasformarsi in una vera e propria Armata Rossa, se possono stabilire un vero e proprio potere sovietico operaio e contadino, allora, come dicono gli stalinisti: “la crisi nazionale e l’ondata rivoluzionaria hanno peculiarità cinesi”. E ci si chiedeva se le teorie rivoluzionarie di Marx, Engels e Lenin potessero essere applicate in Cina!

Gli eserciti, soprattutto quelli mercenari in Cina, sono composti per la maggior parte da sottoproletari che non solo hanno abbandonato la produzione, ma hanno altresì sviluppato una coscienza particolare a causa di una vita particolare. I cosiddetti ufficiali e soldati sono banditi legali, e affinché l’ammutinamento di un esercito possa essere efficace nella lotta rivoluzionaria devono verificarsi le due seguenti condizioni: (1) la lotta dei lavoratori urbani deve essere progredita fino alla formazione dei Soviet, e in particolare le masse operaie devono essersi sollevate nell’insurrezione armata e i soldati devono essere passati dalla parte delle masse; (2) si deve trattare di un esercito sul quale la classe dominante faccia diretto affidamento, perché le si possa infliggere un colpo fatale.

Qual è la situazione attuale? La prima condizione, come tutti sanno, non esiste ancora, e nemmeno la seconda. Nessuno dei trentasei ammutinamenti citati nel 72° numero di Bandiera Rossa riguardava eserciti sui quali la classe dominante facesse diretto affidamento, e la maggior parte di essi vennero sedati con la corruzione. Questi ammutinamenti non possono essere considerati una prova evidente del crollo dei signori della guerra. Perdipiù i soldati facevano parte del sottoproletariato, che costituisce l’intero problema sociale della Cina. Il fenomeno dell’ammutinamento, sebbene non costituisca – a differenza del brigantaggio – un problema insormontabile nell’immediato, è certamente un fenomeno che non può essere evitato finché la classe dirigente non sarà unificata e finanziariamente sicura. Il pensare che tali forze possano sostituire il potere del proletariato industriale urbano nella costituzione dell’Armata Rossa e del potere sovietico non può trovare altra spiegazione se non – come dicono i traditori – nelle “peculiarità cinesi”.

Sappiamo che ci sono contadini armati nella cosiddetta “Armata Rossa”, e che alcuni di loro hanno partecipato attivamente all’ultima rivoluzione, ma essi non sono prevalenti in termini numerici rispetto ai banditi e ai disertori. Dopo un lungo periodo nella guerriglia, questi contadini armati hanno abbandonato del tutto la produzione, conducono la stessa esistenza dei banditi, e sono destinati a sottoproletarizzarsi sempre di più. Le tattiche di guerriglia, che Lenin una volta ha definito “la nuova tattica della guerra di strada”, se impiegate nel contesto di un’insurrezione armata in una città, sono migliori della tenuta di una barricata; se la guerriglia viene condotta a lungo nelle aree rurali, sfocia nella vecchia tradizione cinese del “bandito sbandato”. I risultati nefasti di questa guerriglia sono: (1) la degenerazione degli originari contadini armati, che hanno abbandonato la produzione e che fanno la stessa vita dei banditi; (2) il concentrarsi di tutti gli elementi rivoluzionari e dei membri attivi del Partito che si trovano nelle aree rurali esclusivamente sull’organizzazione militare e sulla speculazione militare, con l’accettazione nelle proprie file dei banditi, ecc. Per questa via l’organizzazione e la direzione del movimento popolare devono necessariamente cadere nelle mani di elementi insignificanti; (3) le organizzazioni e le lotte dei contadini, e anche i cosiddetti “Soviet”, sono scomparsi con l’arrivo delle forze armate della guerriglia, privando i contadini della fiducia nelle proprie forze e nelle proprie organizzazioni e lasciandoli dipendenti da una forza armata speciale, la cosiddetta “Armata Rossa”; (4) laddove passa la guerriglia, i contadini più combattivi seguono solamente l'”Armata Rossa”, mentre gli elementi meno energici lasciati indietro sono sottoposti alle repressioni e alle rappresaglie bianche, e l’organizzazione e la lotta in questi luoghi saranno inevitabilmente ritardate per anni senza speranza. Una guerriglia di questo tipo è il modo più efficace per uccidere la rivoluzione.

Le Guardie Rosse sono le organizzazioni di massa degli operai nelle città durante l’insurrezione armata, mentre l’Armata Rossa è l’organizzazione militare degli operai dopo la conquista del potere. Attualmente, i lavoratori di tutte le principali città del Paese sono ancora oppressi dalle forze controrivoluzionarie e non possono muoversi. Invece di concentrare i propri sforzi in questo settore e di lavorare duramente, il Partito sta approfittando della situazione per radunare alcuni banditi e contadini disoccupati nelle campagne, lontano dai centri politici, per fingersi l’Armata Rossa. Vorrebbero usare questo esercito per “produrre” la rivoluzione, dimenticando che è la rivoluzione a produrre la vera Armata Rossa. I Soviet sono organizzazioni aperte, nate dall’ondata di lotte degli operai e dei contadini, e il fatto che il Congresso Nazionale dei Soviet sia stato convocato in segreto nella Concessione di Shanghai è una buona indicazione della sua vera natura e del suo vero ruolo. Molti sistemi, provenienti dai Paesi avanzati, conservano soltanto il loro nome quando arrivano in Cina. Questo è anche il caso della cosiddetta “Armata Rossa” e dei cosiddetti “Soviet”. Questa si che è davvero una “peculiarità cinese”!

La rinascita della rivoluzione cinese sarà determinata principalmente dalle lotte della classe operaia urbana, e non basta che la borghesia dominante sia scossa da dispute interne. Il sottoproletariato non è certo la guardia e il pilastro della rivoluzione operaia, e sebbene i contadini abbiano avuto un ruolo importante nella rivoluzione dei Paesi agricoli, non sono mai stati in grado di avere un ruolo indipendente e di avere successo da soli. Soprattutto nelle società governate da rapporti capitalistici, è solo il potere di due classi (il proletariato e la borghesia) a decidere tutto. Dal punto di vista economico, le campagne sono uscite dall’era delle economie autosufficienti e sono subordinate alle città, senza le quali non possono sopravvivere; la maggior parte delle bande armate e dei regimi nelle aree rurali non possono mantenere una propria esistenza indipendente a lungo. Senza la guida dell’insurrezione del movimento rivoluzionario dei lavoratori urbani, l’insurrezione contadina non condurrà da nessuna parte e si rivolterà contro la classe operaia, e una completa rivoluzione agraria non può essere realizzata senza la presa del potere della classe operaia, perché la confisca di tutta la terra non può essere realizzata né dalla politica parlamentare della borghesia né da una rivolta contadina. La storia ci dice che solo la Rivoluzione d’Ottobre in Russia ha risolto completamente il problema della terra, e il resto delle rivolte contadine ha solamente aperto la strada ai contadini ricchi, cioè alla borghesia rurale. Lenin ha detto: “Analizzare l’equilibrio di classe nell’attuale rivoluzione è il compito principale di un partito rivoluzionario”. Qual è attualmente l’equilibrio delle forze di classe che si manifesta nella lotta dei lavoratori urbani in Cina? I traditori hanno affermato:

La tendenza degli scioperi nel paese non sta forse avanzando? Non ci stiamo forse allontanando sempre più dall’influenza dei sindacati gialli del Guomindang per passare ad una decisa lotta rivoluzionaria? I grandi scioperi di Shanghai, Tianjin, Qingdao, Tangshan, Harbin, Wuhan e Guangzhou sono il simbolo principale della ripresa dell’ondata rivoluzionaria in Cina.
(Vedi Bandiera Rossa, n. 71).

Se così fosse stato, la nuova ondata rivoluzionaria sarebbe stata dietro l’angolo, avremmo dovuto concentrare i nostri sforzi sulla preparazione dell’insurrezione armata dei lavoratori nelle città. Perché invece siamo andati nelle campagne ad organizzare “armate rosse” di banditi e contadini disoccupati? In realtà, il nostro Partito è ancora debole nelle città e la borghesia al potere continua ad intensificare gli attacchi contro i lavoratori: aumento dell’orario di lavoro, riduzione dei salari, licenziamenti, turni non pagati, imposizione di severi regolamenti di fabbrica, multe, continue assunzioni di teppisti per pattugliare le fabbriche e picchiare gli operai (come nei recenti casi delle fabbriche Yongan, Xin Yihe e Shenxin di Shanghai), oltre alle continue sparatorie contro gli operai (come nei recenti casi della Shanghai Edison Electric Foam Factory, del cotonificio Xiangchang e della fabbrica Samsung), mentre la lotta degli operai non è ancora passata dalla difesa all’attacco e lo sciopero economico non si è trasformato in sciopero politico, soprattutto perché la classe operaia non ha ancora recuperato la sua organizzazione dopo la grave sconfitta dell’ultima rivoluzione, e non solo gli operai da due anni a questa parte non hanno ancora i loro sindacati, ma anche i sindacati gialli del Guomindang sono privi di un’adesione di massa. La maggior parte degli scioperi economici contro gli attacchi del capitalismo sono falliti perché erano lotte non organizzate. La politica di azioni sconsiderate degli stalinisti (ogni piccola lotta viene arbitrariamente costretta a trasformarsi in un grande sciopero politico) ha accelerato e aggravato la sconfitta di questi scioperi, per cui le masse operaie tendono a lottare da sole e non sono disposte ad avvicinarsi al Partito comunista. In un momento in cui il prezzo dell’oro e del riso aumenta di giorno in giorno, la lotta economica dei lavoratori prima o poi si diffonderà inevitabilmente; tuttavia, se sopravvalutiamo questa lotta nascente, pensando che sia già un risveglio rivoluzionario, e per guidarla adottiamo una politica di azioni sconsiderate, sradicheremo il germe di questa lotta nascente e ritarderemo l’arrivo della nuova ondata rivoluzionaria. Gli stessi traditori non credevano veramente che il risveglio del movimento rivoluzionario tra gli operai urbani fosse tale da guidare le rivolte rurali, e loro stessi dicevano:

Le condizioni soggettive della rivoluzione non sono ancora sufficienti, e soprattutto la forza organizzativa del Partito non è ancora sufficientemente solida (Circolare del Comitato centrale n. 68).

Circolo internazionalista "coalizione operaia"

Fonte

Condividi questo articolo su Facebook

Condividi

 

Ultime notizie del dossier «La nostra storia»

2827