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63 anni di marionette

63 anni di marionette

(24 Maggio 2011) Enzo Apicella
Obama: "Israele deve tornare ai confini del '67, anzi... non intendevo dire questo!"

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(Palestina occupata)

Palestina: guerra borghese, sangue proletario

(9 Ottobre 2023)

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Con la drammatica accelerazione impressa la mattina del 7 ottobre, la questione palestinese e il conflitto israelo-palestinese sono tornati d’un tratto su tutte le prime pagine della stampa internazionale e al centro del dibattito politico delle metropoli imperialistiche. Le operazioni lanciate dalla Striscia di Gaza, controllata politicamente dall’organizzazione islamista Hamas, e la reazione israeliana hanno impresso un nuovo ritmo, una rinnovata intensità ad una situazione di conflitto, ora latente ora palese, che non ha mai smesso di contrassegnare i Territori palestinesi, i loro rapporti con lo Stato israeliano, la loro condizione di oppressione.

È comprensibile il disgusto di fronte alla rivoltante ipocrisia sfornata a dosi industriali dalle borghesie in regola con il pedigree democratico (o aspiranti a tale riconoscimento) e dai loro poderosi apparati ideologici che, di fronte ai razzi lanciati indiscriminatamente da Hamas sulle città israeliane, ai sequestri ed ai massacri di civili israeliani operati dai commando di questa formazione, hanno improvvisamente scoperto la violenza che da quasi un secolo marchia a fuoco quest’area, dopo aver ignorato anni di sistematica violenza operata dalle autorità, dal sistema repressivo della borghesia israeliana, dai coloni protetti dalla forza schiacciante dello Stato israeliano.

È un comprensibile disgusto che non deve però accecare la nostra capacità di analizzare i fatti, gravi ed importanti, dal punto di vista di classe.

Non dobbiamo impedirci di elaborare e proporre una lettura di questa crisi che possa contribuire ad una impostazione politica coerentemente rivoluzionaria e internazionalista, sforzandoci di chiamare sempre le cose con il loro nome, anche a costo di riconoscere dati di fatto che, per quanto sfavorevoli alle nostre aspettative e alle nostre prospettive di un rivolgimento sociale di assetti imperialistici oggi dominanti, non possono essere trascurati.

Condizione necessaria per cercare di offrire una chiave di lettura e un’impostazione politica di classe al nodo della mancata soluzione della questione nazionale palestinese è riconoscere come ormai da molto tempo tale questione – complice la gravissima debolezza della borghesia palestinese accentuatasi sempre più mentre intorno ad essa si infittivano le presenze, le intrusioni, l’azione del gioco di potenze regionali e mondiali – sia stata pienamente e profondamente assorbita come fattore subordinato nelle dinamiche imperialistiche globali. Pensare oggi che la borghesia palestinese possa guidare una lotta di emancipazione nazionale da posizioni di reale seppur relativa autonomia, è totalmente illusorio. Non solo, nel corso degli ultimi decenni, si è drasticamente affievolita anche la possibilità che la soluzione della questione nazionale palestinese possa essere l’esito, soggetto a innumerevoli condizionamenti e sudditanze, di un’azione di forza degli Stati arabi contro Israele.

Solo due scenari, oggi molto astratti e assai difficilmente concretizzabili, potrebbero riaprire la strada ad una vera soluzione della questione nazionale palestinese attraverso la lotta per la formazione di un’autentica, sovrana, pienamente operante, entità statuale palestinese: un sommovimento profondo degli equilibri e degli assetti internazionali capace di scuotere la rete di alleanze, di connessioni imperialistiche che fanno gran parte della forza di Israele in quanto potenza regionale e ridare fiato ad un’azione congiunta di borghesie con i loro Stati favorevoli a rilanciare, ovviamente per i propri interessi, la causa palestinese; oppure, un radicale cambio di paradigma di classe, una vasta ed intensa ripresa della conflittualità proletaria a livello internazionale, all’interno della quale possano schiudersi per il proletariato palestinese nuovi spazi, nuovi ruoli, nuovi compiti nell’interpretare e guidare una lotta contro la colpevole impotenza della propria borghesia e contro il regime di oppressione della borghesia e dello Stato israeliani.

In mancanza di queste opzioni, il proletariato palestinese, costretto in una condizione di terribile fragilità economica e sociale, rimarrà assoggettato agli effetti delle manovre che, al di sopra della propria testa, vengono dispiegate e intrecciate da borghesie regionali e potenze dell’imperialismo. Rimarrà direttamente sottoposto al tallone di ferro della repressione israeliana e a tutti i mercanteggiamenti, alla corruzione, agli intrighi, alle operazioni più sordide e meschinamente feroci di una borghesia palestinese forse mai storicamente così succube dell’evolvere del quadro imperialistico globale e così carente di autonoma forza contrattuale.

L’operazione lanciata dalle formazioni militari di Hamas, presentata come la massima dimostrazione della capacità di colpire gli interessi e la sicurezza di Israele e probabilmente realmente vicina oggi al limite delle possibilità offensive di questo schieramento palestinese, si è sostanzialmente finora limitata ad obiettivi civili, senza poter scalfire minimamente il dispositivo militare israeliano. Lo Stato israeliano deve incassare un colpo significativo al proprio prestigio di potenza militare, capace di garantire con proverbiale efficacia la sicurezza dei propri cittadini e l’integrità del proprio spazio nazionale. Ma l’immenso squilibrio nei rapporti di forza esce in realtà confermato dal recente e vorticoso succedersi di azioni e reazioni sul piano militare. Da una parte lanci di razzi e sequestri, dall’altra unità corazzate e raid aerei; da una parte brevi incursioni nel territorio nemico presentate come sbalorditivi successi, dall’altra la pianificazione dell’occupazione della striscia di Gaza per mezzo di una vasta operazione di terra e il programmato intervento contro i centri di potere dell’avversario. L’offensiva di Hamas non ha nessuna possibilità di rivelarsi risolutiva nei termini della questione nazionale palestinese. Oggi l’opzione di risolvere manu militari la questione nazionale palestinese con una vittoria sul campo contro Israele non ha alcuna chance. I dirigenti di Hamas lo sanno e lo sanno i loro padrini internazionali.

È su altri piani, su altri livelli, in base ad altre logiche che ha preso corpo l’attacco del 7 ottobre. Sullo sfondo dell’attacco lanciato dalla Striscia di Gaza c’è la crescente marginalizzazione della questione palestinese sulla scena internazionale, con crescenti segnali di normalizzazione dei rapporti tra Israele e Stati arabi come il regno saudita, c’è l’aspra divisione nel mondo politico palestinese – fattore da non trascurare mai nel comprendere gli sviluppi palestinesi e nei rapporti con Israele – con Hamas che non certo da oggi punta ad affermarsi come autentico campione della causa palestinese contro altre formazioni politiche come l’Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen. Il fatto che queste rivalità interne al campo politico palestinese e il tentativo di far recuperare alla questione palestinese una centralità internazionale abbiano portato ad un innalzamento del livello dello scontro tale da esporre i Territori al rischio di una rappresaglia israeliana di particolare durezza e dagli effetti che potrebbero essere radicali, testimonia lo stato di difficoltà, di isolamento, di debolezza della causa palestinese e della borghesia che dovrebbe rappresentarne l’interprete storico.

Il dramma che avvertiamo con maggiore forza è nel fatto che questa debolezza, questi pericolosi tentativi di sparigliare le carte di dinamiche politiche internazionali, queste azzardate scommesse lanciate da una borghesia succube di giochi borghesi più grandi e disperatamente a corto di energie e protezioni, abbiano avuto come prezzo quello di esporre atrocemente il proletariato palestinese alla violenza del potente dispositivo militare israeliano. Non solo, la terribile spirale di azioni e reazioni generata dall’oppressione della solida borghesia israeliana e del suo Stato e dalle iniziative deboli e subalterne della borghesia palestinese è destinata ad approfondire ed incancrenire ancora di più odi, risentimenti nazionali, etnici e religiosi, ricompattando nella falsa soluzione dell’union sacrée con le proprie borghesie il proletariato della regione e rendendo più ardua e più lontana di quanto già non fosse l’eventualità di una presenza di classe e internazionalista nell’area, unica via di uscita da questo vortice di nazionalismo e barbarie. Ardua e lontana fino ad apparire oggi persino impossibile, eppure unica luce di speranza, sola autentica prospettiva emancipatrice per il proletariato della regione, in primis palestinese, chiuso nella tenaglia, nella trappola di un groviglio di interessi borghesi, di ineguali forze borghesi, di aporie borghesi incardinate nel tessuto di una realtà imperialistica globale che ha perso ogni carica e valenza progressiva.

Parte della “sinistra di classe” nel nostro angolo di mondo, ancora prima che il secondo razzo di Hamas si schiantasse sul suo obiettivo, aveva già pronto lo spartito per il consueto ed immancabile coro a sostegno «senza se e senza ma» di una “resistenza” mai qualificata nella sua natura borghese e reazionaria. Il lugubre canto che accompagna il periodico, desolante funerale di terza classe ad un falso internazionalismo che puntualmente ed indecorosamente si sfalda di fronte al ripresentarsi alla ribalta politica e mediatica della questione nazionale palestinese. Se da un lato assistiamo, presso un milieu di provenienza terzocampista – mai approdato, se non verbalmente, all’internazionalismo marxista – al venir meno, di fronte al «richiamo della foresta», di freni inibitori mai consolidati teoricamente, dall’altro, è impossibile ignorare il condizionamento determinato da esigenze di tenuta interna di composite e raccogliticce botteghe politiche, impegnate a non scontentare, a mediare, a transigere per conservare o ampliare confini sempre più indefiniti in senso classista e dunque sempre più marcati in senso opportunista. Nelle prese di posizione mai «equidistanti» di queste entità, pur nell’abbondanza di riferimenti al proletariato palestinese e all’imperialismo israeliano, vana è la ricerca della menzione di due indiscutibili realtà: una borghesia palestinese che getta cinicamente le vite dei proletari di Gaza sulla roulette delle sue scommesse politiche e un proletariato israeliano i cui membri si contano a decine, se non a centinaia, tra le vittime degli eccidi di una milizia reazionaria. Ebbene neanche noi, da internazionalisti rivoluzionari, possiamo definirci «equidistanti». Ma il nostro sostegno «senza se e senza ma» lo riserviamo alla classe operaia palestinese ed israeliana, contro la borghesia palestinese, israeliana e delle potenze imperialistiche e regionali, regolarmente impegnate nell’infettare la piaga mediorientale.

Il dovere nei confronti del proletariato internazionale delle soggettività politiche che oggi possono guardare a questo dramma imperialistico senza esserne direttamente colpite e senza essere soverchiate dalla piena delle sue ricadute ideologiche, è quello di tenere viva la prospettiva internazionalista, difendere e radicare questo elemento cruciale di identità proletaria, senza il quale nel futuro della crisi e delle guerre dell’imperialismo non ci sarà alcuno spazio per un’azione autonoma di difesa e di liberazione della nostra classe.

Prospettiva Marxista – Circolo internazionalista «coalizione operaia»

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