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No more wars

No more wars

(21 Maggio 2012) Enzo Apicella
Manifestazione a Chicago contro il vertice Nato

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(Il nuovo ordine mondiale è guerra)

Non pagheremo per le vostre guerre!

(12 Gennaio 2024)

Le guerre non sono inevitabili. Non lo sono mai state.
Sono la conseguenza evitabile del dominio della borghesia.
Non c'è pace senza una lotta continua e senza tregua contro il dominio della borghesia!

Non permetteremo di ergersi a "difensori della pace e dei diritti umani" coloro i quali non hanno offerto mai altro che un sistema economico e sociale che perpetua quotidianamente la violenza sfruttatrice del lavoro salariato sulla maggioranza dell'umanità e delle risorse naturali del nostro pianeta, ovunque e senza pietà – un sistema economico e sociale ormai diventato intollerabile.

Un sistema economico e sociale espressione del modo di produzione capitalistico che ha sempre dovuto fare (e costringere noi proletari senza riserve a fare) la guerra per sopravvivere a se stesso.

Nel giro di due anni, in Ucraina, il massacro, il macello, è diventato un dato di fatto e questa come ogni altra guerra scatenata dagli Stati nazionali borghesi è una catastrofe umana che deve essere contrastata con forza e senza retorici piagnistei: chiunque pensi che si stia difendendo la “libertà” o il “diritto internazionale” o addirittura i “diritti umani” combattendo la “dittatura” in nome di una qualsiasi patria da “autodeterminare” o da difendere è vittima e complice della propaganda bellica di quei maledetti Stati.

L’“operazione militare speciale” scatenata in Ucraina sta assumendo via via le caratteristiche di una guerra imperialista “per procura” tra la Federazione Russa e gli Stati Uniti d'America.

Gli USA cercano di preservare la propria supremazia globale in quell'era unipolare che pensavano di aver conquistato con la vittoria nella “guerra fredda”, mentre la Federazione Russa, con un’antiquata strategia di espansione e controllo diretto dei propri antichi confini, cerca di affermarsi come possibile polo di aggregazione per quegli Stati che da quella supremazia cercano di emanciparsi.

Questa guerra non è altro che una delle espressioni, nei rapporti politici (diplomatici e militari), della crisi economica di sovrapproduzione che a ritmo parossistico squassa il modo di produzione capitalistico dalla fine del ciclo di accumulazione seguito alla drammatica conclusione del secondo conflitto inter-imperialistico. È un segnale e un punto di partenza dello scontro che si va preparando tra un emergente aggregato di potenza a baricentro russo-cinese e quello asservito agli USA.

In questo quadro internazionale, si è riacutizzato in modo drammatico e crudele il cronico conflitto mediorientale.

L'azione effettuata dal commando di Hamas il 7 ottobre, degenerata in un vero e proprio pogrom, ha dato il pretesto allo Stato di Israele (già protagonista di una politica di vessazione e repressione quotidiane nei confronti dei proletari e delle masse proletarizzate concentrate nei territori palestinesi) per scatenare nella Striscia di Gaza una guerra di sterminio che rasenta il genocidio e la pulizia etnica: in poco più di tre mesi di bombardamenti, si contano più di 25.000 morti – ben pochi i “guerriglieri” colpiti, ma soprattutto bambini, disabili, anziani, donne... D’altra parte, la crudele azione di commando di Hamas non è stata una reazione "spontanea", una sorta di intifada non più armata di soli sassi, alla politica sempre più aggressiva degli insediamenti sionisti: è stata una azione di guerra organizzata dal braccio armato di una frazione della borghesia nazionalista, religiosa e bigotta, che vuol dimostrare di essere in grado più e meglio delle altre di controllare (e sacrificare), in nome del feticcio crudele di una minuscola patria, più di un milione e mezzo di proletari di Palestina.

Come non consideriamo eventi isolati l’“operazione militare speciale” in Ucraina, le manovre militari al largo delle coste cinesi, quelle “neo-coloniali” (sic!) in Africa e tutte le altre contese aperte per il controllo di vie commerciali e risorse strategiche, così non consideriamo un evento isolato la tragica e terribile riacutizzazione dell'aggressione ai proletari di Palestina.

Ora più che mai, alla luce dell'esperienza storica vissuta dalla nostra classe in ogni angolo del mondo a partire dalla Prima Guerra Mondiale, l'atteggiamento verso la guerra è diventato una linea di confine e frattura tra chi (come gli opportunisti riformisti e pseudorivoluzionari di ogni sfumatura socialistoide, nazionalista, religiosa) si prefigge di sacrificare la vita e il futuro di noi proletari in nome e per conto della sopravvivenza del modo di produzione capitalistico (incarnato nell'inganno delle Patrie, dei Popoli e degli Stati nazionali), e le forze internazionaliste rivoluzionarie, che lavorano e organizzano la nostra classe per combatterlo, abbatterlo e superarlo.

Anche oggi si fanno vivi quelli che sostengono questo o quel guerrafondaio al potere, invocando un presunto “diritto all'autodifesa” di questa o quella “comunità nazionale”, perdendosi in presunte “analisi pragmatiche”, “geopolitiche”... ed evitano così di affrontare la questione e la natura della guerra imperialista, le sue cause, i suoi obiettivi e i suoi effetti. Non solo nascondono la funzione di una guerra imperialista come espressione della crisi capitalista, ma soprattutto si fanno complici degli Stati che, in vista della guerra e della sua preparazione, in nome dell’“unità nazionale” cercano di soffocare ogni forma di resistenza e lotta sociale ed economica.

Sempre alla luce dell'esperienza storica, risulta infatti evidente che le diverse frazioni nazionali in cui si organizza la borghesia per cercare di superare la crisi in cui si dibatte possono solo rendere più autoritarie, corporative, apertamente fasciste, le condizioni del proprio dominio.

Sia nelle metropoli che nelle periferie del mondo capitalista, l'unica soluzione borghese alla crisi di sovrapproduzione è un peggioramento continuo delle condizioni di vita e di lavoro dei salariati: perdite permanenti e crescenti dei salari reali aggravate da un'inflazione dilagante e galoppante; intensificazione dello sfruttamento della nostra forza lavoro attraverso una “maggiore produttività individuale”, aggravato dalla digitalizzazione, dall'allungamento dell'orario e dall'aumento dei ritmi; limitazione del diritto di sciopero e di manifestazione; intensificazione della repressione amministrativa, legale e di polizia... tutte manovre che preparano all’economia e all'unità nazionale di guerra.

Fermiamo i massacri, la pulizia etnica in Palestina, in Ucraina e nel mondo!
Guerra alla guerra!
Organizzarsi ovunque per una radicale lotta di classe contro lo Stato del capitale, le sue istituzioni e tutti i suoi partiti!
Organizzazione della lotta di difesa delle condizioni di vita e di lavoro, per colpire duramente gli interessi economici e politici della borghesia.

Rifiuto di accettare sacrifici economici e sociali in nome dell'economia nazionale.
Rottura aperta della pace sociale e ritorno deciso ai metodi e agli obiettivi della lotta di classe, unica reale e praticabile solidarietà internazionalista di noi proletari, tanto nelle metropoli quanto nelle periferie imperialiste.
Rifiuto di ogni complice partigianesimo (nazionalista, religioso, patriottico, mercenario, umanitario, socialisteggiante, pacifista...) a favore di uno qualsiasi degli Stati o fronti di Stati coinvolti nelle guerre.
Azioni di sciopero economico e sociale che portino a veri scioperi generali per paralizzare la vita nazionale e aprire la strada a scioperi politici, atti a rallentare e impedire ogni mobilitazione e propaganda bellica.


Con questi capisaldi (e nel corso di battaglie che è e sarà costretta a combattere), la nostra classe, l'immensa schiera di chi per vivere non può far altro che vendere la propria forza lavoro, potrà riconquistare un'autonomia di lotta nei confronti del suo nemico storico, la borghesia e la moltitudine delle mezze classi intellettualoidi e parassite che la sostengono, contro il loro Stato e le loro istituzioni.

Ma solo se le avanguardie di lotta della nostra classe si organizzeranno su questi contenuti (e non soltanto sui pur necessari ma limitati terreni sindacale, ambientale, sociale, ecc...) e raggiungeranno e rafforzeranno il partito della rivoluzione comunista, ci si potrà preparare ad azioni di aperto antimilitarismo e disfattismo anti-patriottico.

Lasciare che il proprio Stato e i suoi alleati siano sconfitti, disobbedire in maniera organizzata alle gerarchie militari, fraternizzare con i nostri fratelli di classe (essi pure intrappolati nelle loro “patrie”), tenere ben strette le armi e i sistemi d'arma per difendersi prima e liberarsi poi dai tentacoli delle istituzioni borghesi: trasformare la guerra tra gli Stati in guerra dentro gli Stati, in guerra civile, in guerra rivoluzionaria.


9/1/2024

Partito comunista internazionale
(il programma comunista – kommunistisches programm – the internationalist – cahiers internationalistes)

2010