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Il segreto di Vera Drake

La scheda del film prodotta dalle compagne e i compagni del Circolo Iskra di Viareggio

(5 Marzo 2006)

Viviamo oggi in una fase storica e politica caratterizzata dall’attacco sempre più incalzante nei confronti dei diritti delle donne e, tra gli altri, al diritto di aborto.

E’ come se alcune forze cercassero di portare indietro le lancette della storia per respingere le donne - e quindi l’intera società - indietro di decenni, all’epoca degli aborti clandestini praticati in condizioni igienico-sanitarie e psicologiche estremamente pericolose.

Sì, perché quello che non si dice mai abbastanza, è che una eventuale eliminazione della legge che permette l’interruzione volontaria della gravidanza (in Italia è la n.194 del 1978) avrebbe come effetto solo quello di rendere illegale, ma non di eliminare, l’aborto che continuerebbe (e tornerebbe) ad esistere come pratica clandestina (con tutto quello che questo comporterebbe per la salute fisica e per la serenità psicologica delle donne).

Il segreto di Vera Drake, del regista Mick Leigh, ci riporta, appunto, agli anni dell’aborto clandestino nella Londra degli anni ‘50 e lo fa mostrandoci una visione tutto sommato non traumatica, collocata in un contesto che potremmo definire di solidarietà.

Il film

“…racconta una storia ambientata nella Londra del dopoguerra. Vera Drake è una domestica apprezzata ed amata da tutti. Ha un marito, Stan, due figli adulti Ethel e Sid. Non sono ricchi ma sono felici ed uniti. Vera è una persona positiva e molto attiva. Aiuta le persone bisognose del suo quartiere, assiste la madre malata ed è sempre disponibile verso il prossimo. Svolge però un’altra attività che tiene segreta a tutti, anche all’amato marito. Vera aiuta giovani donne ad abortire, senza chiedere alcun compenso solo con l’intento di evitare loro le gravi conseguenze di una gravidanza indesiderata. Un giorno però, uno di questi interventi non ha successo e la ragazza viene ricoverata in ospedale dove, inevitabilmente, l’attività segreta di Vera viene alla luce”[1].

Il registra mette a contrasto l’aria serena e dolce della protagonista - che si muove con naturalezza nella sua dimensione di donna che aiuta altre donne, canticchiando e offrendo tè – con la portata di una scelta che supera la questione della “legalità” e, ancora di più, quella della “legittimità”, dell’aborto.

Il fatto che Vera non riceva denaro per i suoi “aiuti” fa crescere la simpatia e la solidarietà dello spettatore nei confronti della protagonista e, per riflesso, nei confronti delle sue scelte (come quella di praticare interruzioni di gravidanze attraverso metodi artigianali e potenzialmente a rischio).

Quello che interessa al regista, evidentemente, non è tanto il perorare la causa del diritto d’aborto – logica conseguenza dell’impostazione di cui abbiamo appena detto – quanto piuttosto di sottoporre alcuni elementi di riflessione.

Il film, ad esempio, non nasconde che la clandestinità - come in genere tutti i proibizionismi e le illegalizzazioni di pratiche di massa - producono il fiorire di mercati neri e sfruttamenti vari. E lo fa attraverso la figura della donna che si fa pagare (Lily), cinica.

In questa contrapposizione ideale tra Vera e Lily si evidenzia la scelta di mostrare il personaggio positivo di Vera (che aiuta senza compenso le donne quando “sono in difficoltà”) contro il personaggio negativo della donna (che invece chiede denaro nello stesso modo in cui porta avanti i suoi piccoli traffici).

Il film propone una serie di “messaggi” il più importante dei quali è senza dubbio quello che mostra come la differenza economica che sussiste tra donne di diverse classi sociali si riproduca poi nelle condizioni in cui queste donne affrontano il momento dell’aborto.

La ragazza di famiglia ricca che viene violentata e decide di abortire vive la propria esperienza in modo totalmente differente - aldilà del suo personale dramma – rispetto alle altre donne: maggiore cura psicologica e maggiore sicurezza innanzitutto.

Questo passaggio del film non propone un punto di vista del ma registra piuttosto quella che è stata una esperienza vissuta da migliaia di donne che, a causa della clandestinità, si sono trovate a rischiare la vita.

Ma ci sono anche altri passaggi che possono essere ricondotti al tema della differenza sociale. La cognata che agogna la maternità viene contrapposta idealmente alla donna povera che non vuole altri figli.

Ed anche la “comprensione istintiva” espressa da Ridge, fidanzato della figlia, quando dice

Non mi sembra giusto. Prendi mia madre: stavamo in sei in due sole stanze. Va tutto bene se sei ricco, ma se non riesci a sfamarli non riesci neanche ad amarli.

vuole essere una constatazione di come la maternità possa essere percepita in modo completamente diverso da donne diverse in situazioni diverse e, quindi, di come essa non sempre possa essere accolta come un “lieto evento”.

Proprio nel mostrare l’estrema varietà di situazioni personali e di approcci psicologici alla scelta dell’aborto il film ci offre di esso una visione non stereotipata e non legata all’idea del dramma (come sistematicamente ci viene proposto). L’aborto non è sempre dramma e anche quando lo è (perché scelto a seguito di violenze o situazioni comunque insostenibili) non deve essere caricato di valenze esasperate

“Ora avrete senz’altro sentito dire (senz’altro, perché la guardate troppo quella televisione): «l’aborto è comunque una tragedia». Balle. Lo è soltanto se lo si sovraccarica psicologicamente. E datemi retta: drammatizzano perché vi vogliono male, vogliono farvela pagare, vogliono che vi sentiate in colpa, che soffriate. Non gliela date vinta: è propaganda, credete a me. Dunque sdrammatizziamo”[2].

La seconda parte del film è interamente dedicata all’impatto che l’arresto di Vera ha sulla propria famiglia, allo scontro con il figlio che all’inizio non comprende la scelta della madre (scelta che si capisce ha invece origini lontane, nell’infanzia della protagonista).

note:
[1] http://filmup.leonardo.it/ilsegretodiveradrake.htm
[2] Maria Turchetto, Lettera di una vecchiaccia cattiva alle brave ragazze

Fonte

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