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I fatti di Sassuolo : fra repressione ed emarginazione

(27 Marzo 2006)

I fatti di Sassuolo ci offrono, per l’ ennesima volta, la dimostrazione del livello di ( ben studiata) idiozia raggiunto da mass media e politica istituzionale. La realtà , in fin dei conti , è che un presunto delinquente ha subito un pestaggio feroce e si trova in carcere, mentre tre sicuri torturatori (esistono i filmati delle loro imprese ) se ne stanno tranquillamente in libertà acclamati da un’ opinione pubblica modellata secondo le esigenze del potere.

Questi eventi avrebbero dovuto suggerire alcune domande riguardo alla violenza istituzionale: se questo è quello che accade nelle strade per un controllo, cosa succede a chi si trova a dover varcare l’ingresso di una caserma, di un cellulare della polizia, di un carcere o di un CPT? Non è così difficile immaginarlo: punizioni corporali e violenze psicologiche non hanno mai smesso di essere all’ordine del giorno ai margini della pace democratica. L’estensione legislativa di misure quali l’isolamento (una forma incruenta ma non per questo meno violenta di tortura) non fa che dimostrarci che è in atto un pericoloso innalzamento dei livelli repressivi, che avviene non a caso in un momento in cui sono ben visibili i segni di un malessere sociale diffuso.

Chi oggi invoca con superficialità una mano ancora più pesante dovrà poi assumersi la responsabilità di un inevitabile innalzamento della conflittualità. E proprio l’innalzamento di un genere di conflittualità che non scalfisca sfruttamento e gerarchia sociali sembra essere l’obiettivo del potere (regola che vale a Sassuolo come a Baghdad).

Sassuolo rappresenta una realtà archetipica della provincia industrializzata: qui un manipolo di potenti avvelena la città con le sue fabbriche, specula selvaggiamente su un mercato immobiliare che è totalmente sotto il suo controllo, e rinchiude i suoi schiavi in ghetti dove tutto è permesso, compreso sgomberare dei proprietari di casa con un blitz militare in grande stile. Qui si scaricano tutte le contraddizioni di una società che produce profitti e miseria, progresso e alienazione, piastrelle ed eroina, ville e tuguri. Qui, perché i lussi di pochi non ne siano scalfiti, una classe lavoratrice in gran parte composta da migranti sperimenta gli effetti della “crisi”, che da queste parti prende le vesti di una intensificazione di precarietà, esclusione, clandestinità.

Non è nostra intenzione prendere le parti dello spaccio di eroina o della delinquenza in genere. Sappiamo però che questi fenomeni non avvengono nei quartieri bene della città, ma riguardano solo quella parte che si vuole controllare e reprimere. E sappiamo che alle loro origini vi è l’emarginazione pianificata di coloro che il padronato reputa inutili e quindi estranei a una comunità che non esiste, perché non esistono né patria né Europa, né regolari né clandestini, ma solo sfruttati e sfruttatori. Ed è indubbio l’uso strumentale che viene fatto di una delinquenza gestita dall’alto. Come scrive Foucault: “la messa in opera di una delinquenza che costituisca una sorta di legalismo chiuso presenta in effetti un certo numero di vantaggi. Prima di tutto è possibile controllarla. E’ possibile inoltre indirizzare questa delinquenza ripiegata su sé stessa verso forme meno pericolose di legalismo. Mantenuta dalla pressione dei controlli al limite della società, ridotta a condizioni di esistenza precarie, senza legami con una popolazione che avrebbe potuto sostenerla (come accadeva un tempo per i contrabbandieri e per alcune forme di banditismo), la delinquenza ripiega fatalmente su una criminalità localizzata, senza potere di attrazione politicamente priva di pericolo. Ora, questo illegalismo concentrato, controllato, disarmato è direttamente utile, votato ad una criminalità violenta di cui le classi povere sono spesso le prime vittime. La delinquenza, illegalismo signoreggiato, è un agente per l’illegalismo dei gruppi dominanti”. Inutile rimarcare come spaccio e delinquenza siano stati il veicolo ideologico dello sgombero del palazzo verde lo scorso anno e lo saranno degli sgomberi già annunciati, tutti finalizzati a evidenti speculazioni edilizie. E’ ovvio che tutto questo non serve ad altro che a giustificare maggiore controllo sociale e a limitare il conflitto alla lotta tra proletariato e marginalità o tra italiani e stranieri. E al di sopra di tutto la sovranità poliziesca esibita con atti sopraffattori come quelli visti in tv.

A nostro avviso, è meglio guardarsi dalla logica del pogrom e individuare con attenzione i veri nemici delle masse: la borghesia e i suoi apparati repressivi.

Collettivo Autogestito Modenese

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