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(4 Novembre 2009) Enzo Apicella
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L’indifferenza alla guerra

(1 Maggio 2006)

Ci chiediamo se sia da definirsi come dato acquisito come normale il concetto di “guerra”. La guerra che, inevitabilmente, richiama lutti, dolori, brutalità, sofferenze, pianti, disperazione, e di tutti questi fatti sia la sola generatrice.

Pare proprio di si.

Ce ne rendiamo conto quando arrivano notizie che fanno la cronaca di mortali agguati contro le truppe italiane di pace. Un po’ un controsenso, definire missione di pace, persone esperte e professionisti di conflitti che si presentano armati di tutto punto e tecnologicamente attrezzati per annichilire il ‘nemico’ che poi, guarda un po’, magari è anche il padrone di casa.

Una casa che non ci appartiene e che non appartiene ad alcuno fuorché al legittimo proprietario, a meno che, non ci siano armi di distruzione di massa che si intenda resettare con chirurgiche azioni preventive. Se poi queste armi non si trovano proprio pazienza, tanto resta il petrolio come vero scopo di una spartizione di potere fantoccio.

Ma si da il caso che non tutti vogliano sottostare a questa fantasmagorica protezione di una libertà (sic!) acquisita e che si ribelli, con mezzi e modi propri, a quelle truppe di ‘pace’ che inviano militari che hanno un senso di ‘dovere’, ‘patria’, ‘onore’ che riporta alla mente squadracce in orbace delle quali anche l’Italia fece la sua conoscenza.

Per tornare al discorso principale e, cioè, l’indifferenza alla guerra, crediamo che sia un’abitudine sentire svogliatamente i tg e sfogliare i quotidiani, prestando la minima attenzione possibile quando si parla di morti ammazzati. A meno che, questi morti non siano eccellenti, cioè soldati italiani o guardie armate al soldo di qualche oscura multinazionale di security.

Allora rientra prepotentemente il senso civico di noi ‘italiani’ che ci sentiamo offesi e feriti nel nostro orgoglio nazionale come quando perdemmo i mondiali di calcio ai rigori.

Questo senso di appartenenza, dura poco. Giusto il tempo di un paio o tre di trasmissioni speciali in tv, qualche notizia spiluccata dentro la vita dei caduti, il rimpatrio delle salme e le esequie di Stato con diretta televisiva.

Poi, rientriamo nel nostro guscio fatto di partite in pay per view, calciomercato, veline e politica da bar.

Almeno fino al prossimo morto italiano.

In Italia, non interessa a nessuno che in Iraq o in Afghanistan, le popolazioni siano vessate e vivano all’ombra di un terrore coatto imposto dagli USA. Non ci importa se questo vale anche per qualche altra nazione sulla faccia della terra che ha guerre dimenticate delle quali nessuno ne parla perché non fa audience. Non ci interessa se in Sudan, in Zaire, nel corno d’Africa si muoia di fame come se nulla fosse. Non ci occupiamo dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo causato sempre da ingiustizie riconducibili a chi controlla il potere da generazioni.

Pensiamo a come comprarci l’Ipod magari o a cambiarci l’auto approfittando di una nuova produzione che, a 99 euro rata mese, ci offre l’auto di grido con cambialone da pagare dopo 36 piccoli versamenti. E cosa ci vuole? In tre anni magari possiamo anche vincere al superenalotto e, per i più ottimisti, vige la regola ‘quanto non accaduto fino ad oggi potrebbe accadere domani!”, per eliminare anche l’ultima barriera che separa il raziocinio al consumismo di spot televisivi sempre più invadenti e che, ormai, troviamo nelle mails quotidiane ma anche sul cellulare dell’ultima generazione.

Vittime sacrificali di un mondo capitalista e consumista ormai ridotto a raschiare il barile, siamo assuefatti alle guerre, alle morti, alle ingiustizie e scuotiamo la testa solo per dire che ‘ai nostri tempi’ era tutt’altra cosa.

Pensiamo che tutti i tempi siano uguali e che non sia giusto rinunciare a lottare per un mondo che sia differente. Non lo cambieremo, non ce lo faranno cambiare ma almeno saremo coerenti con la nostra coscienza.

Sempre se ne abbiamo una.

Editoriale SiPorCuba

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