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Democrazia bipolare o parlamentare?

(17 Luglio 2006)

La domanda è di delicatissima valutazione costituzionale.

Essa è di attualità e si impone a fronte delle conseguenze sul governo per le decisioni di voto delle forze politiche, o di singoli parlamentari, sul rifinanziamento della missione militare italiana in Afganistan.

Una parte notevole della Casa della Libertà, dopo ripetute dichiarazioni di “rifiuto di soccorso” al Governo Prodi, se questo non riuscisse a raccogliere in pieno il consenso della sua maggioranza nel voto per quel rifinanziamento, prendendo atto che i parlamentari dell’UDC avrebbero invece votato a favore, ora ritorna sui suoi passi e preannuncia il voto favorevole di tutta la Casa della Libertà. Non essendo riuscito a convincere Casini ad adottare il suo gran rifiuto, Silvio Berlusconi si allinea ora nel voto favorevole, ma avverte che questo voto non avrebbe alcun valore di consenso per il Governo, e avverte che se tutti i parlamentari della maggioranza, in maniera autosufficiente non lo voteranno, il Governo dovrebbe andarsene.

Tale conclusione sarebbe doverosa, secondo Berlusconi, in base al principio, secondo lui ormai accettato, in base al quale su qualunque proposta del Governo, legata o meno ad una richiesta di verifica di fiducia, si dovrebbe manifestare sempre a favore la maggioranza degli eletti, in maniera autosufficiente, in corrispondenza con i risultati elettorali, sulla base dei quali il Governo è stato costituito.

Detta in altre parole secondo Berlusconi la nostra democrazia non sarebbe più di tipo parlamentare, ove contano maggioranze che si formano in Parlamento su singoli problemi, ma una democrazia bipolare, dove il Parlamento viene messo da parte e contano, una volta per tutte, solo le maggioranze di voti espressi in sede elettorale.

E’ doveroso segnalare che questo principio trova qualche eco anche nelle file della maggioranza, in rapporto alla preoccupazione per possibili disimpegni fra di esse. Sostenere questo principio anche in qualche fila della sinistra, equivale ad un richiamo permanente e solenne alla disciplina di schieramento, con garanzia conseguente di maggiore peso di convincimento da parte del Governo a favore delle proprie proposte.

Ad una prima vista tutto ciò sembrerebbe rispettoso di uno svolgimento regolare della democrazia, che è infatti fondata sulla contrapposizione e sulla alternanza, ma a ben vedere una troppo semplicistica applicazione di quel principio può avere come conseguenza la messa in mora del Parlamento, che della democrazia resta l’espressione e il più solido baluardo.

Se il Parlamento viene ridotto ad organo di sola verifica a ripetizione del congelamento dei poli e della conferma permanente della composizione della maggioranza a disposizione di tutte le decisioni del Governo, viene meno la sua iniziativa e funzione di potere autonomo.

Costringere gli eventuali dissenzienti interni ai contrapposti poli su singoli provvedimenti, a votare SI se membri della maggioranza, e contemporaneamente a votare NO se membri della minoranza, equivale a concludere che il Parlamento non ha più niente da fare, non è più un potere costituzionale. Il potere legislativo autonomo non esiste più.

Non per niente infatti si è sempre levata in difesa del potere parlamentare la protesta contro l’abuso del voto di fiducia, considerato come un espediente dei governi per limitare, o addirittura impedire il formarsi di volontà diverse dalle loro, da parte del Parlamento.

Proprio in queste stesse ore la minoranza berlusconiana al Senato, ha condotto una vivace battaglia contro la richiesta di voto di fiducia da parte dal Governo Prodi, sullo scorporo dei ministeri. In queste stesse ore essa ha sostenuto che col voto di fiducia si è voluto impedire al Parlamento di dire la sua.

Ma se è giusto che qualche volta il Parlamento possa dire la sua svincolato dagli obblighi di rapporto dei suoi membri col Governo, in pro o contro, perché poi si pretende che sempre, a sostegno del Governo, debba registrarsi la presenza favorevole di tutta la sua maggioranza, pena la sua decadenza? Tutto ciò non è una palese contraddizione?
La comune intelligenza è sufficiente o no per capire che questa ultima pretesa, avanzata da Berlusconi, di dimostrazione di permanente presenza di tutta la maggioranza a favore del Governo corrisponde ad una applicazione permanente del voto di fiducia?
Dove va a finire allora la funzione autonoma del Parlamento?
Impegnato sempre ad escogitare sotterfugi, a Silvio Berlusaconi non importa un bel niente di offrire dimostrazioni della propria coerenza e tanto meno a lui importa la sorte del Parlamento. Lui gode soltanto ad immaginare le difficoltà che riesce a procurare ai suoi avversari, con le sue trovate da arruffapopoli.

Ma per la Sinistra le cose debbono essere diverse.

Per la Sinistra la Costituzione deve essere sacrosanta. Essa prevede la nostra democrazia di tipo parlamentare e prevede perciò che nel suo contesto debba essere esaltato il ruolo autonomo del Parlamento.

E’ certo che rientra in questo ruolo anche la verifica della esistenza di una maggioranza parlamentare a sostegno del Governo, ma non come unico ruolo. Quando se ne presenti la necessità tale ruolo di verifica può essere esercitato col ricorso al voto di fiducia, promuovibile anche dall’opposizione, ma in maniera misurata tale da non impedire al Parlamento di esercitare tutto il potere che gli è proprio, a cominciare da quello legislativo, su iniziativa propria oppure su quella governativa.

Come si vede sul dibattito in atto per il rifinanziamento delle missioni militari all’estero, si stanno toccando tasti delicati che attengono a tutto l’impianto della nostra Costituzione, e prudenza vuole che tutte le prese di posizione siano rapportate al processo dei suoi aggiornamenti, tenendo ben presente il fatto che da qualche parte non la si voglia aggiornare, ma invece stravolgere.

Questo articolo apparirà sul n° 187 di "GIUSTIZIA e LIBERTA'"

Alessandro Menchinelli

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