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La disparità scolastica

(6 Ottobre 2002)

Ho inviato nelle settimane scorse questo articolo alla stampa veneta, ma -con grande attenzione all'equilibrio dell'informazione sul referendum- nessuno l'ha pubblicato. Lo invio quindi solo ora attraverso la mail, sperando che possa essere ancora utile per qualcuno o qualcosa. Grazie per l'attenzione (e per tutti i voti che riusciremo ad ottenere nonostante il silenzio e il boicottaggio).

Il prossimo 6 ottobre i cittadini veneti saranno chiamati, per la prima volta in un referendum regionale, a esprimere direttamente il proprio parere sulla legge che, con l’attribuzione di buoni-scuola, avrebbe dovuto sostenere le famiglie per le spese connesse all’istruzione dei figli. Questa legge, ammettendo come spesa rimborsabile la retta d'iscrizione con una franchigia di £. 300.000 ma escludendo scuola materna, corsi di formazione professionale, corsi per adulti, mense, trasporti, libri di testo, si è rivelata (come era d'altronde nella volontà della maggioranza che ci governa e nella logica stessa del regolamento attuativo) fortemente ingiusta e lesiva di un reale diritto allo studio.

Nel 2001, primo anno di attuazione, il finanziamento complessivo di poco più di nove milioni di euro è stato assegnato a oltre quindicimila studenti: un ottimo intervento per il diritto allo studio, a prima vista.

Ma proprio i dati ufficiali diffusi della Regione Veneto ci chiariscono che

il 98% di questi fondi sono andati a studenti delle scuole private: i 25.000 iscritti hanno ottenuto complessivamente 17,5 miliardi (una media di 700.000 lire ciascuno) con ben 15.108 buoni scuola assegnati;

il 2% è andato a chi ha scelto scuole pubbliche: i 500.000 iscritti hanno ottenuto 180 milioni (una media di 360 lire a studente!) con solo 253 buoni assegnati a iscritti ad educandati o istituti alberghieri pubblici con tassa di iscrizione alta.

Una sproporzione inaccettabile, con l’aggravante che i limiti di reddito previsti (fino a 90 milioni annui netti, più 10 milioni per ogni familiare a carico e 2,5 milioni se la casa è in affitto) hanno fatto sì che questa "legge truffa" abbia finanziato con il denaro pubblico in prevalenza famiglie benestanti: circa il 45% dei buoni sono andati a famiglie con redditi netti da 40 (+ 10) a 100 (+10) milioni l’anno. Insomma, è proprio il caso di dirlo: piove sul bagnato! Un ulteriore privilegio a favore dei redditi medio-alti, con palese discriminazione di chi sceglie l’istruzione pubblica, anche se appartenente a famiglie con reddito più basso, che pure spendono centinaia di migliaia di lire per i libri di testo.

Davanti ai concreti effetti perversi di questa legge decine di migliaia di cittadini veneti, indignati per la ‘truffa’, l’ingiustizia, il ‘broglio’ compiuto solo per proteggere e incentivare l’istruzione privata, non hanno avuto alcuna difficoltà a firmare per il referendum abrogativo, al di là dell’appartenenza sociale o politica (alcuni hanno espressamente dichiarato di avere i figli alle scuole private o di essere elettori del centro destra). Cos’altro era possibile fare, di fronte alla protervia della maggioranza che si è rifiutata a qualunque cambiamento e qualsiasi aggiustamento del regolamento, se non chiederne l’abrogazione? Una scelta di semplice buon senso che ora rischia, però, di fallire di fronte alla mancanza di informazione.

Il comitato promotore (Comitato Scuola e Costituzione, Rifondazione Comunista, Democratici di Sinistra, Verdi, Comunisti Italiani, Socialisti Democratici, Genitori Democratici, Comitato per la scuola della Repubblica, COBAS, RDB-CUB, Area programmatica CGIL) non ha certo i mezzi per informare tutti i cittadini veneti della scadenza, e le istituzioni preposte non hanno attuato alcun tipo di informazione per mettere al corrente i cittadini del diritto/dovere di esprimere il proprio parere in merito.

Anzi, il pesante silenzio disinformativo è ingigantito dagli appelli al non voto da parte del Presidente della Regione Veneto, dei partiti di maggioranza e da settori della gerarchia ecclesiastica con l'obiettivo di far saltare il quorum necessario per la validità della consultazione popolare. Addirittura, il Consiglio Regionale ha respinto la richiesta dei gruppi di opposizione (RC, DS, SDI e Margherita che, pur favorevole alla legge, ritiene ‘sperequato’ il risultato e sbagliato l'appello a non votare) di rivolgere un appello alle istituzioni e ai media regionali e nazionali perché informino i cittadini e agli elettori perché esercitino il loro diritto democratico recandosi alle urne.

In un referendum abrogativo, chi condivide la legge che si intende abrogare ha, ovviamente, il diritto di esprimere la propria posizione anche non andando a votare, ma la Regione ha il dovere istituzionale di informare, affinché ogni cittadino possa decidere con cognizione di causa se andare a votare o no, se votare sì o votare no. Il Presidente della Giunta Regionale, che come privato cittadino può comportarsi come meglio ritiene, rappresenta la Regione (il referendum è stato indetto con la sua firma) e tutti i cittadini del Veneto, anche quelli che la pensano diversamente da lui: è quindi assolutamente inammissibile che abbia invitato all’astensione usando le istituzioni democratiche come strumento di potere e disinformazione: molti cittadini nemmeno sanno che si tiene un referendum (quanti si sono stupiti nel vedere spuntare i tabelloni elettorali, senza sapere il perché!) e su che cosa.

Ancora una volta nella maggioranza di centro-destra che governa la nostra Regione prevale la logica di vincere con qualsiasi mezzo, anche utilizzando scorrettamente il proprio ruolo istituzionale; la maggioranza si è sottratta al confronto con l’opposizione sul merito (non siamo riusciti ad organizzare un solo dibattito di confronto con la parte avversa in tutta la campagna elettorale!), scegliendo la via meno impegnativa e politicamente rozza di ignorare il referendum affinché non se ne parli e fallisca.

Allo stesso modo lascia stupefatti e amareggiati l’atteggiamento del vescovo di Vicenza che, così come organi di informazione cattolici, e altri appartenenti alle gerarchie, "confida nell'astensionismo" per vanificare il referendum. E’ sempre preoccupante che la Chiesa cattolica ingerisca direttamente e pesantemente nelle competizioni elettorali di uno Stato laico e sovrano, ma questa volta addirittura un’istituzione religiosa che gode nel nostro Paese della massima libertà, autonomia e rispetto si permette di incitare i cittadini ad astenersi da quello che lo Statuto della Regione Veneto prevede come strumento massimo di democrazia e di partecipazione popolare. Il referendum del 6 ottobre, il primo nella storia della nostra regione, rappresenta, al di là del merito della legge che intende abrogare, un’espressione importante di partecipazione democratica che tutte le forze politiche e sociali, anche la Chiesa, dovrebbero sentire il dovere di sostenere (anche, ovviamente, invitando a respingere l’abrogazione della legge votando NO). Ma sostenere la disinformazione e il disimpegno per fini di parte, intralciando l’ordinato svolgimento degli istituti partecipativi volti a garantire la convivenza civile, è una posizione anomala che non può che preoccupare quanti credono nei valori e nella forme della vita democratica e nel rispetto dei diversi ambiti e prerogative.

Il fatto che chi detiene il potere civile e morale preferisca cittadini disinformati e irresponsabilmente si sottragga al confronto, anche aspro, sui contenuti del referendum è francamente un segnale ancora più preoccupante della legge-truffa sui buoni scuola: è un episodio gravissimo nella vita della nostra democrazia. Partecipare al voto il prossimo 6 ottobre, significa preoccuparsi anche di questo.

Verona 29 settembre 2002

Tiziana Valpiana, deputata

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