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Assalto al palazzo d'inverno

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(17 Novembre 2009) Enzo Apicella

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Tra Partito Democratico e Cantiere della sinistra unita

Una sinistra senza popolo?

(12 Giugno 2007)

Mettiamo in circolazione l'articolo di fondo dell'ultimo numero di Contropiano, uscito venerdi 8 giugno alla vigilia della straordinaria manifestazione di sabato. Ci sembra un contributo utile alla discussione di queste settimane.

Nel dibattito che in questi mesi sta ridisegnando lo scenario politico con l’avvio del Partito Democratico e la speculare discussione sull’unificazione nel cantiere della “sinistra” esterna al PD, ci sono diversi convitati di pietra che continuano ad essere rimossi. Il primo sono sicuramente i contenuti, rispetto ai quali sembra prevalere ed appassionare di più la discussione sul contenitore. Il secondo ma non certo per importanza, è il rapporto tra ipotesi politiche in campo e gli interessi del blocco sociale antagonista che esse dovrebbero in qualche modo intercettare e rappresentare sul piano politico.

Se negli ultimi trenta anni è stata scarsissima l’analisi sul rapporto tra classe (o anche classi) e politica, negli ultimi venti anni possiamo affermare con tranquillità che l’autonomia del politico è schizzata verso l’alto con un processo assai più pesante di quanto venga percepito concretamente.
La divaricazione tra ceto politico e società non solo si è allargata ma ha costruito su questa divaricazione un’idea della politica stessa come mezzo e come fine in sé. Emblematiche in tal senso– ma decisamente disperanti – sono le ripetute dichiarazioni di Bertinotti sull’esclusione dalla comunità politica o sul carattere antipolitico dei movimenti o dei soggetti che hanno respinto e contrastato il patto di ferro tra sinistra antagonista e governo Prodi.

Ma questa divaricazione tra politica e classe– per molti aspetti vissuta come elemento di autonomia che rasenta lo snobismo – appare prevalente nel dibattito sulla costruzione di un nuovo soggetto unitario della sinistra che metta insieme PRC, fuoriusciti dai DS, PdCI etc. Ciò significa che un nuovo soggetto politico della sinistra rischia già di nascere con una riflessione totalmente avulsa da una analisi della realtà di classe del paese e del contesto in cui si candida ad agire politicamente. I danni di tale omissione già si vedono nel crollo di credibilità dei partiti della sinistra nei settori popolari (dai fischi degli operai di Mirafiori alla rabbia delle borgate romane) e nella maggiore agilità con cui la destra egemonizza e orienta gli spiriti animali prodotti da questa rabbia sorda dentro la società.

Il vento liberista è arrivato in Italia con dieci anni di ritardo rispetto ai modelli virtuosi anglosassoni. La grande ristrutturazione degli anni ’90 operata soprattutto dai governi di centro-sinistra o con l’appoggio della sinistra (Amato, Ciampi, Dini, Prodi 1 etc.), hanno introdotto anche in Italia quel modello liberista e liberale egemone a livello mondiale per almeno un ventennio
( interrotto solo dalll’urlo di Seattle nel’99 e dalla controtendenza dell’America Latina in questi anni).

La polarizzazione ha reso inutile il compromesso sociale
Gli effetti sociali di questa ristrutturazione sono stati pesanti. Non solo il peso del lavoro rispetto a quello di profitti e rendite nella distribuzione della ricchezza è retrocesso fino a livelli ottocenteschi, ma anche l’intera struttura sociale che aveva retto le dinamiche politiche ed economiche del dopoguerra ne è uscita stravolta. Vediamone schematicamente alcuni aspetti:

1 La crisi dei ceti medi esplosa negli anni Novanta, è dovuta alla brusca polarizzazione sociale prodotta dalle misure economico-sociali introdotte dal 1992 in poi. Dopo quindici anni di cure da cavallo (privatizzazioni, precarietà, riduzione degli standard sociali, nuove imposte, riduzione del potere d’acquisto) sono saltati concretamente i parametri del compromesso sociale del dopoguerra (il c.d. welfare state) sui quali si reggeva l’ipotesi socialdemocratica. In tal senso, fa una certa impressione e non può che lasciare sgomenti vedere la sinistra unita o europea convertirsi alla socialdemocrazia in un contesto sociale svuotato dai parametri strutturali di riferimento.

2 La polarizzazione sociale dei ceti medi (dentro i quali va ricordato che c’erano pezzi importanti di lavoratori salariati) ha spinto settori consistenti verso il basso operando una fortissima disgregazione. Ma i ceti medi proletarizzati o in via di proletarizzazione, non possono che essere “rabbiosi” in quanto hanno visto concretamente retrocedere il loro status sociale, la loro sicurezza e i loro standard di vita. In questa condizione, agiscono allora gli “spiriti animali” che vengono intercettati assai meglio dalla destra piuttosto che dalla sinistra. Si badi bene, non è solo un problema di inesistenza di piattaforme sociali adeguate che restituiscano a questi settori sociali un progetto di emancipazione o di tutela, è anche un problema di mancanza di identità politica e sociale che la sinistra oggi non è affatto in grado di offrire al di là di un sempre meno convincente modello di politically correct che riesce sempre meno comprensibile anche al popolo della sinistra (1)
3 In questa condizione, il conflitto sociale è stato privato sia degli elementi di identità che di unità di classe e si manifesta in modo corporativo e localistico. I lavoratori riscoprono la vertenzialità specifica di categoria o di settore professionale dentro le stesse categorie, mentre nel territorio si riafferma una logica comunitaria molto legata alla dimensione territoriale specifica. Si affacciano così forme di resistenza sociale identitarie che possono avere spunti interessanti (vedi i movimenti ambientalisti con caratteristiche sociali) ma che possono ostacolare consapevolmente o inconsapevolmente ogni ipotesi di riunificazione di un blocco sociale antagonista

4 Se questi sono i problemi che un ‘eventuale sinistra unita dovrebbe mettersi a discutere seriamente diversi sono invece i parametri su cui la stessa questione viene affrontata nel dibattito sulla costituzione del Partito Democratico.Per i sostenitori del PD infatti, gli interlocutori non sono i lavoratori, i ceti medi proletarizzati o i destinatari del welfare dei miserabili. Al contrario, i loro interlocutori privilegiati sono i poteri forti dell’economia, dell’editoria e dell’establishment internazionale. Si badi bene che non si tratta solo o tanto di un tradimento di classe, anzi, al contrario si tratta della continuità di una ipotesi politica (craxiana prima e blairiana poi) che vede nei poteri forti i motori della “modernizzazione del sistema”. In sostanza la modernizzazione capitalistica nei paesi del vecchio modello sociale renano, deve essere gestita dai settori più rampanti della borghesia.
Ciò spiega il feeling di D’Alema con la finanza (vedi il sostegno alla fusione tra Unicredit e Capitalia e la relazione speciale con Profumo), le liberalizzazioni di Bersani, le misure su federalismo e servizi pubblici locali avanzate da Lanzillotta, Bassanini etc.

La democrazia non serve più, arriva la “governance”
Con una politica che si fonda (o sbatte la testa) con i parametri sociali sopraindicati, è ovvio che la democrazia rappresentativa così come l’abbiamo conosciuta dal 1946 a oggi non serve più, anzi, diventa un arnese inutile ostativo della governabilità del sistema.
In tal senso, la variante della governance è l’unica concessione “progressista” al dogma della governabilità come fine ultimo da assicurare anche con metodi securitari o autoritari.
Nel discorso di Walter Veltroni al congresso della Margherita (insieme a quello dei DS una sorta di anteprima del congresso del Partito Democratico), questa variante è stata illustrata assai bene.
Nelle parole di Veltroni (e nella sua esperienza di gestione della metropoli romana) la prima priorità infatti è quella di espellere il conflitto dalle relazioni sociali. Gli interessi prevalenti, diventati interessi generali, verranno amministrati da un nuovo demiurgo rappresentato dal buon governo che ha il senso degli interessi generali e disinnesca il conflitto come metodo di risoluzione dei problemi.
Occorre poi tenere conto che questa ipotesi strategica di gestione del governo e di modernizzazione del sistema, è strettamente connessa alla dimensione europea assunta dai poteri forti del capitale e dalla competizione globale tra Europa e Stati Uniti. La sfida è ormai a tutto campo e le leadership dei singoli paesi europei devono dimostrarsi all’altezza della situazione sul piano delle scelte economiche, militari e decisionali. Il problema è il ceto politico esistente ha dimostrato di non essere la classe dirigente adeguata a tale sfida. Questa classe dirigente (o meglio, dominante) sente forte il richiamo del bonapartismo e di una autonomizzazione della borghesia dal ceto politico esistente. Il Partito Democratico e la sua interlocuzioni neocentrista con l’UDC cercano disperatamente di diventare tutto questo. Che ci riescano o meno non è scontato, ma questo ha dichiarato con ruvidezza Montezemolo all’assemblea di Confindustria, questo sostengono i supporters del “governo dei migliori”

A fronte di questo scenario, il progetto della Sinistra unita - o come si chiamerà - rischia concretamente di essere un progetto senza identità e senza popolo (il blocco sociale di riferimento) e dunque corre il rischio di fondarsi e affidarsi solo alla fedeltà, all’ampiezza e alla pervasività dei suoi apparati (parlamentari, consiglieri, portaborse, assessori, funzionari, consulenti etc.) (2)
A oggi l’operazione si presenta come tutta interna a quell’autonomia del politico che sta producendo devastazioni nelle relazioni con i movimenti, con la società e con i settori popolari. Se non avrà consapevolezza di quale calce e quale cemento utilizzare, il “cantiere della sinistra” rischia di venire giù prima del previsto.

(1) vedi la famosa lettera del sig. Poverini a La Repubblica. Una lettera strumentale e strumentalizzata ai fini della campagne securitarie ma per molti aspetti emblematica
(2) Su questo vedi “Immersi nella M….maionese” sul nr. 3 di Contropiano 2007

la redazione di Contropiano
http://www.contropiano.org

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