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"Per continuare a non tacere": lettera di Roberto Sardelli e della scuola 725 a Walter Veltroni

(9 Settembre 2007)

Prima di parlare della lettera occorre fare un po’ di storia.
Nel lontano 1968 a Roma un giovane prete decise di andare a vivere nelle baracche vicine all’acquedotto Felice.
Il suo intento era quello di condividere profondamente un’esperienza umana di vita accanto alle fasce sociali più deboli della capitale.
Era quella la Roma amata da Pier Paolo Pasolini, fatta di gente umile ma dignitosa: manovali, operai, disoccupati, persone intente a sbarcare il lunario con i lavori più defatiganti, spesso ancora poco più che analfabeti, ma con molte speranze nel cuore e volontà di riscatto.

Oggi, lì, negli stessi luoghi, se non ci fossero palazzi, troveremmo probabilmente dei cittadini extracomunitari immigrati, ma, all’epoca, non era difficile trovare dei “romani de Roma” che sopravvivevano in abitazioni che erano, per l’appunto, praticamente poco più che baracche, quelle stesse baracche che, come si ricorderà, affollavano le borgate della periferia romana formando dei miseri e ghetti.

Da lì a poco, l’espansione dei quartieri dormitorio, veri e propri formicai umani alienanti, conseguenza della spregiudicata speculazione edilizia dei “palazzinari”, nonché l’inesorabile processo di omologazione della civiltà dei consumi, avrebbero sortito i loro devastanti effetti con la massificazione degli stili di vita e “delle menti”, spazzando via quel poco di patrimonio originale ancora esistente di ricchezza umana e spirituale che spesso contraddistingueva all’epoca i ceti sociali più umili ed emarginati.

Quel giovane sacerdote si chiamava Roberto Sardelli e con gli altri giovani del posto, trascinati dall’entusiasmo tipico dell’età, fondò la “scuola.725.”, in uno spazio 3x3 che la giovane Rita volle mettere a disposizione del gruppo.
Tutto iniziò da un libro: “Americani e vietcong”.
Quel libro spalancò loro una nuova finestra sul mondo, mostrando ai giovani che quel prete desiderava fortemente fare scuola in un modo nuovo e straordinario.

L’obiettivo di Roberto Sardelli, infatti, non era solo quello di contribuire a colmare le imperdonabili lacune ed i ritardi lasciati dalla scuola di Stato, ma il suo desiderio era di “andare oltre”, invitando i giovani a rivendicare con coraggio ed orgoglio le loro umili origini per affermare con forza la loro dignità.

In sostanza c’era l’esigenza di far nascere nei giovani una vera “coscienza di classe” nel senso più genuino della parola e, per far questo, i libri dovevano essere “armi” e non “decorazioni”. Si leggeva di tutto: dal Vangelo alla biografia di MalcomX, da Gandhi a Martin Luther King, fino ai libri di divulgazione scientifica; inoltre, nel corso di libere discussioni, si affrontavano i temi più disparati di attualità: dal divorzio all’aborto, e non si evitava affatto di scendere sul piano della politica.

Anzi, come sosteneva Don Roberto:“La scuola non può non essere politica, perché solo così essa diventa strumento di educazione per tutti. Non dobbiamo separare la scuola dalla vita di questi ragazzi, ma cercare tra di loro i nessi profondi che vi sono. Le parole nascono dall’esistenza e da questa assumono il loro significato che diventa chiaro nella misura in cui l’adesione della parola alla vita si fa piena. Le parole ci servono per lottare”.
Ed infatti don Roberto cercava di insegnare ai ragazzi proprio a lottare ed a “non tacere” per redimersi dalle loro condizioni.

Il messaggio fu presto recepito. Un bel giorno i ragazzi della scuola 725 tirarono fuori il loro coraggio e con determinazione scrissero una lettera aperta e chiara al sindaco di Roma per denunciare la grave situazione abitativa per la quale la loro comunità soffriva in prima persona da troppo tempo:“Noi mandiamo questa lettera al sindaco perché è il capo della città. Egli ha il diritto ed il dovere di sapere che migliaia di suoi cittadini vivono nei ghetti. Nella lettera abbiamo voluto dire una sola idea: la politica deve essere fatta dal popolo…”.

Roberto Sardelli divenne così un personaggio emblematico di quella stagione di lotte sociali che lo videro interprete fedele delle ragioni dei diseredati, un prete ribelle che suscitava preoccupazione negli ambienti ecclesiastici e politici.

Trascorsi quasi quaranta anni, i profondi mutamenti storici non hanno per nulla scalfito la memoria di quell’esperienza vissuta intensamente sul piano umano e politico.
Soprattutto grazie alla volontà degli ex allievi della scuola 725, si è voluto che quell’eredità e quel messaggio venissero preservati.
A tal fine è stato prodotto il documentario sulla scuola 725 del regista Fabio Grimaldi che sarà presentato al prossimo festival del cinema di Roma.

Ma oggi Roberto Sardelli, nonostante gli anni sulle spalle, percepisce chiaramente la gravità delle nuove emergenze che stanno gettando la metropoli in uno stato di degrado profondo dal quale sarà molto difficile riprendersi. In particolare la disaffezione dei cittadini nei confronti della politica, delle istituzioni e della democrazia, il decadimento della cultura a pura forma di immagine e spettacolo superficiale, il moltiplicarsi delle situazioni di estremo disagio, come dei senza casa, ma, soprattutto, il predominio incontrastato dei poteri forti dell’economia che di fatto condizionano le scelte della vita amministrativa e politica, riducendo qualsiasi cosa ad un mero calcolo di convenienza per gli investimenti monetari, generando una tale disillusione da dare il colpo definitivo di grazia agli ideali di giustizia sociale e di uguaglianza, valori che sembrano ormai persi nella memoria storica delle lotte collettive.

Tali questioni fondamentali hanno spinto Roberto Sardelli e gli ex-ragazzi della “scuola725” a tornare a parlare, rivolgendosi al sindaco di Roma Walter Veltroni con la lettera “per continuare a non tacere” come già fecero in gioventù.

Lo stile della lettera è decisamente chiaro e semplice, con sfumature persino poetiche nei racconti di storia umana.

Certamente la lettera è ricchissima di riflessioni acute e senza peli sulla lingua, capaci di mettere in crisi l’immagine attuale della politica e della democrazia. Ed è proprio sullo stato attuale della politica, della democrazia e, di riflesso, della cultura, che si concentrano gli strali della scuola 725.
Da marzo scorso si sono già succeduti diversi dibattiti nei quali il contenuto della lettera ha suscitato spunti di discussione specialmente nell’ambito del mondo politico di sinistra a Roma e non solo.

Proviamo a sottolineare alcuni tra i più significativi contributi di pensiero che si evincono dalla lettera.

Particolarmente penetrante appare quel passo che riassume la triste verità storica sulla sociologia del movimento della contestazione del ‘68:
“Così, nella vita quotidiana, dovemmo prendere atto che i poteri forti, presi in contropiede, prima tacquero, poi si impossessarono in modo strumentale di quelle speranze e dettero spazio al ’68 parolaio, guidato da privilegiati figli di papà, che nulla avevano a che fare con noi. Per molti di questi si spalancarono le porte del palazzo, dove aspiravano ad andare al posto dei loro padri e, come nuovi ed arroganti padroni, ne occuparono le poltrone. Noi, pur nella radicalità del nostro messaggio, rifiutammo ogni forma di violenza e di compromesso e rimanemmo propositivi”.

Come nella “lettera al sindaco” del 1970, si riafferma categoricamente la necessità che “la politica deve essere fatta dal popolo” e, sotto questo punto di vista, si direbbe proprio che abbia ragione nel constatare la mancanza di alcun vero progresso in tal senso, nonostante i quaranta anni trascorsi.
Invece si è costretti ad assistere ad un individualismo e corporativismo dilagante che mina le basi stesse della democrazia mentre il sistema partitico spesso non riesce ad essere rappresentativo:

“La convinzione che i partiti siano l’unico strumento della democrazia, non è più sufficiente a sostenere la democrazia stessa”
e ancora: “i meccanismi di selezione dei quadri politici privilegiano il conformismo e la fedeltà al capo, piuttosto che l’autonomia e l’originalità del pensiero” mentre: “nell’assenza del nuovo, intravediamo il trionfo dell’ideologia della non-ideologia. E’ come cadere dalla padella nella brace”

E’ importante rilevare come in questo processo di deterioramento generale culturale, politico e civile ne abbiano fatto le spese innanzitutto proprio quegli ideali di uguaglianza, partecipazione e giustizia sociale per i quali la scuola 725 si era tanto battuta.
Citando G.Orwell nella lettera si legge: “In ogni paese del mondo, un’enorme tribù di burocrati di partito e di leccati professorini si dà molto da fare per provare che l’idea di uguaglianza non significa niente”.

Si osserva come il vuoto di idee viene coperto con l’enfasi posta sull’effimero da parte di un imponente apparato mediatico ( vedi ad esempio la Notte Bianca) indulgendo ad uno sperpero insensato ed irresponsabile di risorse da parte dell’Amministrazione.

Ma don Roberto si scaglia anche contro il clericalismo che sta tornando ad essere onnipresente.

Riguardo al tema dell’immigrazione occorre osservare come: “i nostri politici, impegnati nella difesa dell’identità cristiana non riescono a capire cosa voglia dire “dacci il pane quotidiano” ”.
Si legge: “ la vicenda dei migranti ci fa rivivere la nostra storia di baraccati.
Per noi non esistono clandestini.
Per noi non esistono irregolari.
Per noi esistono persone.”
“….esiste una sola, unica questione, quella cruciale, sociale, economica dei poveri di tutto il mondo, che si lega”

Il messaggio lanciato è la richiesta urgente di una riforma radicale della politica che sappia restituire voce a chi non ce l’ha, secondo lo spirito della vecchia scuola 725, nella quale si insegnava a “non tacere”.

Sotto questo punto di vista si può dire che Don Roberto Sardelli sia stato ed è tuttora un vero rivoluzionario, senza se e senza ma.

P. S.:

La lettera: Per continuare a “non tacere” , contributo per un rinnovato governo della città si può scaricare dal sito: www.comitato1maggio.it/Scuola725.pdf o www.nontacere.it

Enrico Del Vescovo

Fonte

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