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La nazione stitica

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(17 Gennaio 2011) Enzo Apicella
Il governo Berlusconi ancora in crisi

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L’anomalia italiana riproduce se stessa

Sfumature a tinte forti

(15 Dicembre 2009)

Anticipiamo l'articolo di fondo del nuovo numero di Contropiano di prossima uscita

L’Italia del berlusconismo e dell’antiberlusconismo tenta di riprodurre un bipolarismo politico e culturale funzionale alla stabilità e ai poteri forti. I tentativi di spezzare questa gabbia fanno i conti con agenti diversi e progetti articolati che – nel tentativo di normalizzare con tutti i mezzi l’anomalia italiana – ottengono invece l’effetto di aumentare l’instabilità. Per la sinistra anticapitalista sarebbe un’occasione ghiotta, ma prevale ancora la coazione a ripetere e a rimettere i piedi dove sono stati messi fino ad oggi. Cosa possiamo fare per non morire moderati?

Abbiamo scritto nelle settimane scorse che l’antiberlusconismo rischia di essere deleterio come il berlusconismo. Non che siano la stessa cosa, al contrario, essi divaricano sempre più in tantissimi punti dell’agenda politica e morale del paese. Il problema, semmai, è che in molti di questi punti si nutrono uno dell’altro, impedendo l’emersione di qualsiasi ipotesi politica alternativa che spezzi questa contrapposizione ma soprattutto la gabbia bipolarista in cui i poteri forti del capitalismo europeo e nostrano vorrebbero chiudere la vita e lo scontro politico/sociale in Italia.

Un osservatore disincantato vedrebbe nello scenario politico italiano tutte le caratteristiche di una potenziale guerra civile: una fortissima polarizzazione politica, scontri aperti tra e dentro gli apparati dello stato, le conseguenze sociali della crisi economica che si fanno sentire in modo assai diffuso, una crisi morale che colpisce la credibilità di tutti gli schieramenti. Vista così la situazione italiana somiglia molto alle scene finali del film “Il Caimano”, il problema semmai sarebbe quello di intersecare quel finale con le scene di un altro film -“Il Divo” - che ricostruisce il retroterra politico, morale e materiale su cui Berlusconi ha potuto innescare la sua ingombrante incursione nell’anomalia italiana. Se l’humus del Divo era quello che non ha esitato a ricorrere alla strategia delle stragi per condizionare la situazione, quello del Cavaliere sembra aver imparato e rinverdito la lezione dei suoi predecessori, ragione per cui non mollerà la presa senza tentare ogni strada, anche le peggiori.

In un paese come il nostro, abituato a maneggiare meglio Machiavelli che Gramsci e a creare uomini della provvidenza piuttosto che istanze collettive, le sfumature e i dettagli aiutano a capire meglio quello che alcuni filosofi definiscono come “l’apparente oggettivo” e un bravo sociologo definisce come “società astratta”. La realtà è dunque diversa dalla percezione che se ne ricava sia attraverso il sistema delle comunicazioni di massa (in cui è dominante il berlusconismo) sia attraverso il conformismo della alterità (dove domina l’antiberlusconismo).

Chi fa meglio il lavoro sporco?

Che Berlusconi crei più problemi di governabilità di quelli che risolve ormai lo hanno compreso tutti i poteri forti (dal Financial Times all’amministrazione USA, dalla Confindustria alla Commissione Europea). Il problema è che la spasmodica ricerca della vendetta di classe del blocco sociale berlusconiano contro lavoratori, sindacati, sinistra, cultura etc. si è integrata con settori assai più ampi di quelli meramente berlusconiani. Il Corriere della Sera o la Confindustria ad esempio, sono sempre stati contenti quando i governi Berlusconi hanno fatto il “lavoro sporco” per loro. Il problema, semmai, è la tendenza del Cavaliere a strafare. Per questo in Italia vorrebbero introdurre il “bipolarismo perfetto” tra due poli che hanno a cuore le stesse priorità ma che possono interscambiarsi tra loro senza modificare di un millimetro gli equilibri sociali interni e le scelte strategiche del capitalismo. In sostanza serve un polo che faccia “il lavoro sporco” contro i lavoratori e contro i sindacati e l’intellettualità progressista ed un altro polo che faccia il “lavoro sporco” contro i lavoratori ma insieme ai sindacati e all’intellettualità progressista.

La nascita speculare del PD e del PDL è indubbiamente servita a cercare di costruire questo equilibrio bipolare. I dati elettorali sembrano tra l’altro dare ragione a questo schema (vedi i risultati del recente sondaggio Ipsos/Sole 24 Ore). Il problema è che il blocco sociale berlusconiano ancora non è in via di sgretolamento come sarebbe necessario. La Lega gli assicura il sostegno e la maggioranza parlamentare. Gli “strappi” di Fini producono opinione ma non aggregazione. I possibili effetti sociali della crisi economica possono contare sul depotenziamento dei conflitti assicurato da Cgil-Cisl-Uil e dal Partito Democratico, i quali confermano di voler dimostrare di essere i garanti della governabilità e ad ogni occasione offrono ciambelle di salvataggio all’esecutivo sul terreno delle controriforme. Siamo ancora – dunque – a quella instabile stabilità di cui accennavamo su Contropiano due numeri fa.

Le sfumature del viola
Il No Berlusconi Day, ha fatto venire allo scoperto l’antiberlusconismo radicale, quello che - difficile dargli torto - vorrebbe vedere spazzato via e in galera il Cavaliere e le sue camarille. Dopo le esperienze dei girotondi (che ebbero l’ambizione di definirsi come “I ceti medi riflessivi”), le soggettività che hanno animato la manifestazione del 5 dicembre rivelano molti punti di contatto sia con il mondo dei “grillini” che con quello in crescita dell’IdV di Di Pietro, ma – a differenza del passato – sembrano avere maggiore dimestichezza con la politica di quanto ne avessero i fenomeni “antipolitici” prosperati durante il governo Prodi.

Questa nuova soggettività trasversale per un verso tira le pietre e per l’altro tira la giacca al PD (senza il quale non paiono possibili modifiche dei rapporti di forza), riconosce a Di Pietro la leadership politica e a Fini quella morale dell’antiberlusconismo, si alimenta degli editoriali e degli “eroi civili” costruiti come moderni guru da quotidiani come La Repubblica e Il Fatto (vedi Saviano o Travaglio).

La manifestazione del 5 dicembre è stata indubbiamente la più grande manifestazione di opposizione al governo Berlusconi di questo ultimo anno ma le sfumature che vanno colte nel colore viola scelto come simbolo sono più di una.

Le modalità infatti somigliano molto, troppo, a quelle delle rivoluzioni colorate che la rete di George Soros e la NED statunitense hanno organizzato in Ucraina, Georgia, Libano, Iran per estromettere leadership a loro sgradite. La nascita della manifestazione su Internet e tra i blogger, il colore per caratterizzarsi, la piattaforma democratica e anticorruzione, l’esplicita richiesta di dimissioni del primo ministro, l’ampia copertura mediatica e la dimensione internazionale dell’iniziativa, possono essere indicatori di efficacia di una iniziativa politica ma anche indicatori di una eterodirezione dell’evento che – come direbbe Mao - afferma nove cose giuste e una sbagliata: quella fondamentale. Buttare giù Berlusconi infatti è sacrosanto e condivisibile, ma qual è la soluzione che viene indicata come alternativa? E’ forse “il governo dei migliori” teorizzato (e guidato) da Luca Cordero di Montezemolo?

E’ dal 1993 che i teorici e i templari del meno peggio ci perseguitano indicandoci continuamente soluzioni diverse al governo centrale o ai governi locali berlusconiani. Eppure ogni volta la scelta del meno peggio ha trascinato ulteriormente una tacca più un basso la credibilità e il radicamento sociale delle forze della sinistra, le quali non sono mai riuscite a sottrarsi al ricatto dell’antiberlusconismo con una propria ipotesi politica indipendente dal bipolarismo e fondata non sulla rappresentazione ma sulla organizzazione e direzione del conflitto di classe nel paese e dei settori popolari. Questo continua ad essere il problema, anche nella nascente Federazione della Sinistra con la quale abbiamo inteso e intendiamo mantenere aperto il confronto.

Ogni volta che ci si è incamminati su un percorso che poteva finalmente liberare questa sorta di “Prometeo incatenato”, è sempre arrivata una manifestazione irrinunciabile contro Berlusconi e qualche “uomo della provvidenza” (ieri Cofferati, oggi Di Pietro) pronto a ipotecare (con l’aiutino di molte mani) e impedire qualsiasi rottura significativa del quadro politico. E’ a questa rottura che occorrerebbe dedicare energie umane e politiche, soprattutto dentro una crisi sistemica del capitalismo come quella dentro cui siamo coinvolti.

Contropiano

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