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L'AUTO-TRADIMENTO DI GRILLO

(22 Marzo 2013)

21/03/2013

Il tradimento non ha nulla di strano; anzi, in politica come in ogni altra relazione umana, rientra tra gli eventi a più alto tasso di probabilità. Ciò che invece risulta strano, è che il "tradito" si adoperi per fornire alibi e giustificazioni ai traditori. Già in campagna elettorale, Beppe Grillo aveva affermato di mettere in conto un 10-15% di defezioni fra gli eletti del Movimento 5 Stelle. Si trattava di una dichiarazione realistica, che gli avrebbe fatto onore, se oggi non si dovessero riscontrare a riguardo le ambiguità dello stesso Grillo.
Le critiche nei confronti di Grillo si sono sinora centrate soprattutto sulle carenze di democrazia interna del M5S, sulla sua gestione dispotica, "leninista", e sul soffocamento dei dissensi. Ma un movimento che nasca su base carismatica, e che abbia un uomo-immagine che si ponga come garante nei confronti della pubblica opinione, non può certo basarsi su quel sistema di guerra per bande che va sotto il nome di "democrazia interna", e che caratterizza partiti come il PD. Ciò che invece a suo tempo rese incongruente e ridicola la sortita del Buffone di Arcore contro Gianfranco Fini, consistette nel fatto che non si appuntava contro un seguace qualsiasi, bensì contro colui che era assurto a cofondatore del nuovo partito PdL, smentendo così tutta l'operazione politica e propagandistica che era stata costruita in precedenza.
A rendere inattendibile l'irrigidimento di Grillo nei confronti di Bersani, è stata invece la pretesa di far passare una sorta di identità antropologica tra il PD ed il PdL, come se si trattasse di fenomeni del tutto assimilabili. Ma non si può mettere un padre di famiglia e procuratore d'affari della Lega delle Cooperative sullo stesso piano di un Sardanapalo che ha costruito le sue fortune sul riciclaggio del denaro mafioso. Non era proponibile e non era credibile; e sembrava fatto apposta per dare fiato a quell'atteggiamento "menopeggista" che alla fine è uscito fuori nel M5S durante l'elezione del presidente del Senato. Tanto più che il rifiuto di incontrare Bersani si accompagna oggi alla decisione dei 5 Stelle di accettare l'invito ad incontrare l'attuale ambasciatore USA, David Thorne; la cui minacciosa blandizie avrebbe meritato, quanto meno, una presa di distanze.
Grillo avrebbe avuto invece facile gioco a demolire l'immagine di un Bersani come "meno peggio", se lo avesse sfidato ad una trattativa sui temi concreti, a cominciare dal buco nella montagna (e nella spesa pubblica) che si sta allestendo in Val di Susa; proseguendo magari sul mega-radar super-inquinante e super-aggressivo che gli USA stanno costruendo a Sigonella. Invece Grillo lo ha sfidato sulla questione dei costi della politica, rispetto ai quali Bersani non ha avuto eccessiva difficoltà a venirgli incontro. Il dimissionario governo Monti ha aumentato le tasse, tagliato la spesa pubblica, ma, nel contempo, ha portato il debito pubblico ad un livello record. In tal modo Monti ha smentito se stesso e tutta la politica basata sull'emergenza-debito. Perché allora non chiedere a Bersani un'inchiesta parlamentare sull'operato del governo Monti?
Ancora sino a qualche mese fa Grillo si lanciava in elogi nei confronti della presidente argentina Kirchner per la sua politica anti-FMI. Ma ancora nel gennaio scorso gli ispettori del Fondo Monetario Internazionale sono arrivati in Italia non soltanto a stilare pagelle e voti nei confronti del nostro Paese, ma anche a dettare l'agenda a cui il prossimo governo, quale che esso sia, si dovrà attenere.
Negli anni '80 è diventato di moda lo slogan della "complessità"- tuttora in voga -, che costituisce un espediente retorico di provata efficacia confusionale, poiché non vi corrisponde alcun allargamento dei dati da considerare, bensì soltanto un rifiuto aprioristico di confrontarsi con i fatti più evidenti. Nella vicenda imperialistica degli ultimi sessanta anni, il FMI rappresenta una di quelle costanti di più scandalosa evidenza, come si è potuto riscontrare ad ogni passo anche nell'attuale crisi europea, compreso il recentissimo caso della crisi finanziaria di Cipro.
L'anno scorso era stata diffusa la fiaba di un FMI pentito a proposito delle politiche di austerità, e il tutto si era basato su qualche generica dichiarazione di Christine Lagarde. A leggere i punti che oggi il FMI ripropone, in Italia come a Cipro, ci si rende conto che la strada maestra indicata per la crescita del famoso PIL rimane sempre quella di tagliare-privatizzare-impoverire. Un'altra formula magica che poi viene nuovamente spacciata dal FMI come "misura per la crescita", è la "liberalizzazione delle professioni". Confindustria ha fatto immediatamente propri i punti programmatici del FMI; ma da tempo Confindustria agisce più come una lobby della finanza che come un'associazione industriale.
Perché allora Grillo non ha chiesto a Bersani di imitare la Kirchner e di cacciare il FMI dall'Italia? Al contrario, Grillo si è lanciato in dichiarazioni che riecheggiano quelle del FMI, scagliandosi di recente contro il parassitismo della pletora degli avvocati; ma ciò appare come scegliersi bersagli un po' troppo facili, dato che a tutti è capitato di prendere bidoni dagli avvocati. D'altra parte urta contro il buon senso voler far credere che il parassitismo delle categorie professionali costituisca oggi uno dei principali ostacoli all'economia. Sembra più il pretesto per sostituire alcuni parassiti con altri più voraci.
A proposito, da quanto tempo Grillo non nomina più il FMI? Forse da quando è iniziato il suo feeling con la stampa estera.
Si ha l'impressione che il Grillo attuale abbia ormai poco a che vedere con quello di dieci anni fa; e che non persegua propri obiettivi, ma si barcameni in un circuito occulto di lusinghe, pressioni e ricatti.

Comidad

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