">
Posizione: Home > Archivio notizie > Capitale e lavoro (Visualizza la Mappa del sito )
(18 Gennaio 2006)
Almeno ventimila metalmeccanici sfilano per Milano e accerchiano Assolombarda: «Chiediamo rispetto». In piazza le fabbriche storiche e le aziende elettroniche e informatiche. Oggi sindacati di nuovo al tavolo, per strappare il contratto dopo 11 mesi di vertenza
Milano [nostro corrispondente] - Contratto! Lo hanno gridato migliaia di volte i 20mila metalmeccanici di Milano, con rabbia e un'idea fissa in testa: "La dignità del lavoro non ha prezzo". Qualunque lavoratrice o operaio in corteo per il centro di Milano, ieri pensava questo. Perché oltre alla voglia di chiudere, c'è la ferita di dover scioperare 60 ore e urlare per qualcosa di giusto, dovuto e pure misurato. Basta chiedere e tutti rispondono la stessa cosa: rispetto, dignità, altro che 130 euro. Ormai la lotta è per non farsi piegare, per non diventare pongo a disposizione del padrone, su orari e flessibilità, a mille euro al mese. "Se molliamo adesso siamo finiti"; non molleranno.
Il bollettino lombardo della protesta è impressionante. Cortei a Bergamo, Mantova e Lecco, a Brescia in tremila hanno paralizzato la tangenziale e bloccato la Milano-Venezia nei due sensi di marcia per un'ora. A Desenzano altri 800 lavoratori bloccavano il casello autostradale e la tangenziale di Mantova, mentre in 400 a Manerbio improvvisavano blocchi sulla A21 Torino-Piacenza-Brescia in prossimità di Pontevico. Ferma anche la statale 11 verso Milano, mentre in Brianza i lavoratori occupavano la stazione di Monza. A Varese, 2mila lavoratori hanno presidiato l'Associazione degli industriali di Gallarate. Anche qui blocchi volanti, per circa un'ora, sull'Autostrada dei Laghi fra Busto Arsizio e Castellanza. Ma è a Milano che si concentra la più grande manifestazione. Da Piazza San Babila alla sede degli industriali, passando da Piazza Cinque giornate e dalla Camera del Lavoro, i lavoratori allungano il passo. Le ultime centinaia di metri che li separano dalle finestre di Assolombarda, sono gridate: "Stiamo arrivando, padroni, stiamo arrivando" (e un più calcistico "ci avete rotto É"). C'è pure uno, da solo, bandiera Fiom al collo che urla: "Viva l'ottimismo".
A trenta metri dal portone sbarrato di Assolombarda, la polizia blocca il corteo con una fila di transenne. Tempo due minuti e i lavoratori cominciano a spostarle, a spingere. I poliziotti sono pochi e nervosi, gli arrivano dozzine di uova sulle visiere dei caschi, sui cappotti dei funzionari in borghese. Si accendono diversi parapiglia e quando i metalmeccanici stanno per sfondare, qualche poliziotto perde la testa e da solo comincia a manganellare chi capita a tiro. Pochi istanti, poi tutto viene travolto, la polizia sbanda, arretra e si ricompone davanti al portone degli industriali; i lavoratori invadono la via e cominciano il tiro alle vetrate: uova, arance, pomodori. Vola anche qualche bullone (due poliziotti contusi) ma per fortuna "gli imbecilli" come li chiamerà il segretario generale della Fiom milanese, Maurizio Zipponi, sono pochi e vengono isolati. Rabbia e gioia si mescolano in maniera strana, hanno conquistato la piazza, ma il loro contratto è dentro quel palazzo che deve passare. Una manifestazione così non si vedeva dalle ristrutturazioni della grande industria alla fine degli anni '90. Nemmeno i funzionari di lungo corso, se l'aspettavano.
Quattro ore di sciopero ieri per la città e otto per la provincia, altre quattro nei prossimi giorni, quattro ore giovedì scorso, dopo 50 ore di astensione dal lavoro dall'inizio della trattativa a febbraio 2005 (al prezzo di circa 500 euro per il loro salario) e anni di ristrutturazioni, chiusure, mobilità. Una storia infinita, nelle aziende dove la Fiom è presente (circa 80mila addetti) le procedure di mobilità riguardano ancora oggi 18mila lavoratori. Ci vuole proprio un coraggio e una determinazione da classe operaia per continuare uniti. E 20mila a Milano, con un'aria da neve, tra metropolitane, pullman e rientro al lavoro sono tantissimi.
Insieme agli striscioni storici delle fabbriche del milanese: Abb, Aifo-Iveco, Ansaldo, Alfa di Arese, Pompe Gabbioneta, Kone, Italtel, Insee presse, Franco Tosi, Magneti Marelli, sfilano decine di aziende d'elettronica e informatica (Alstom, Siae-Microelettronica, Sgs Thompson, Siemens di Cassina de Pecchi e Siemens Mobile), ci sono la Ponteggi Dalmine, la Metalli preziosi e altre meno conosciute (D'Andrea, Elnagh, Cannon, Alupieve, Novalis, Gruppo Aturia); ci sono gli impiegati di Banksiel e i lavoratori di due delle ultime aziende rimaste dentro il cuore della città, la KennaMetal (200 addetti all'utensileria da taglio industriale) e la Cinemeccanica (apparecchiature cinematografiche dal 1920).
Dopo aver sfondato i cordoni della polizia e aver conquistato il portone di Assolombarda, i metalmeccanici non vorrebbero andarsene: "Fino a stasera, restiamo fino a stasera", urlano. Credono che dentro sia in corso la giunta di Federmeccanica, che invece si riunirà nel pomeriggio in un albergo non reso noto. Non sanno nemmeno che la trattativa è stata già riaperta e i sindacati sono convocati per oggi. Vogliono solo il contratto. Per calmare gli animi, Maurizio Zipponi, improvvisa un comizio: «Non siamo qui contro la polizia, ma contro i provocatori nelle file di Finmeccanica che impediscono la chiusura nella trattativa. Il contratto più semplice da firmare per le sue richieste è diventato il più difficile per la profondissima crisi di Confindustria, ma i problemi delle aziende non sono il salario dei lavoratori, più basso perfino di quello della Corea. Non siamo noi i nemici». E se domani il contratto non c'è continueranno, in tutta la Lombardia, con ancora più forza: «La gente che tutte le mattine si alza alle 5 per andare a lavorare - conclude Zipponi - vuole rispetto, non ci sarà più un'ora di straordinario, né un momento di tregua nei luoghi di lavoro".
Dopo mezz'ora, a fine mattinata, un gruppetto di irriducibili non se ne vuole andare. Vogliono restare davanti ad Assolombarda, a oltranza. Così sarà e gli altri a casa, con l'orecchio teso per capire se oggi sarà la giornata finale di un incubo durato 13 mesi e costato più di 60 ore di sciopero. O se gli toccherà ancora manifestare, occupare, gridare, da soli, come sempre.
Claudio Jampaglia (Liberazione 18 Gennaio 2006)
5602