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    SUL PARTITO COMUNISTA COME STRUMENTO DI PREPARAZIONE DELLE MASSE ALLA FASE RIVOLUZIONARIA.

    (30 Aprile 2008)

    SUL PARTITO COMUNISTA COME STRUMENTO DI PREPARAZIONE DELLE MASSE ALLA FASE RIVOLUZIONARIA.

    Sono state mosse obiezioni circa l’opportunità di partecipare alla fondazione di un nuovo Partito Comunista di massa, nato dagli spezzoni di sinistra degli ormai moribondi partiti comunisti della sinistra borghese.
    Si è sollevata la questione della dicotomia fra il “partito di lotta e di governo” ed il “partito rivoluzionario”. Dell’entrismo e del movimentismo.
    Tali obiezioni mi sono sembrate ineccepibili sul piano teorico, costruzioni articolate e coerenti, ma al contempo fuorvianti in termini di prassi. Lo stesso riferimento al tradimento di Togliatti muove coerentemente nella direzione di una critica corretta nella sua costruzione interna, ma sradicata dalla realtà. Mi pare sia stato commesso l’errore di formulare una analisi politica limitata solo alla correttezza del ragionamento che porta alle conclusioni, ma non anche dei termini dialettici su cui si fonda il ragionamento stesso.

    In primis bisogna a mio avviso aver colto il seguente assunto: il Partito Comunista di massa non è e non vuole essere il Partito Comunista rivoluzionario. Non possono essere la stessa cosa né dal punto di vista della strategia né della tattica, né tanto più possono coincidere sul piano organizzativo. Hanno obbiettivi differenti e strumenti per raggiungerli altrettanto diversificati. Questo perchè le due fenomenologie del Partito Comunista non sono temporalmente sovrapponibili, ma sono una susseguente all’altra, una conseguenza del raggiungimento degli obbiettivi dell’altra. Appartengono a due fasi differenti del processo rivoluzionario, ed è proprio il fine ultimo della rivoluzione il loro tratto comune. Per questo non possono mai porsi in antitesi l’una con l’altra, per questo non sono incompatibili ma strumentali, e dunque entrambe necessarie per il raggiungimento del fine rivoluzionario.
    Partendo da ciò posso ora spiegare per quale ragione ritengo che si debba procedere in questo momento storico alla costruzione di un Partito Comunista di massa, e perchè ritengo che la questione dell’entrismo e del movimentismo sia tutto sommato marginale, e di conseguenza perchè l’analisi politica alla base della critica si debba considerare inesatta.

    Lenin analizzando il processo rivoluzionario divideva fra condizioni oggettive cioè determinate dall’insanabilità delle contraddizioni interne alla produzione capitalista, e condizioni soggettive, determinate dal livello di preparazione e di consapevolezza delle masse popolari in vista dell’obbiettivo di sopprimere lo stato borghese.

    Allo stato attuale dello sviluppo della produzione capitalista appaiono realizzate sul piano oggettivo gran parte delle sue contraddizioni, tali da farci ritenere che il capitalismo si trovi in un momento di profonda decadenza, da collocarsi temporalmente quasi a ridosso della fase di guerra imperialistica. La crisi da sovrapproduzione di capitale ha costretto i grandi gruppi economici occidentali, l’avanguardia del capitalismo mondiale, a delocalizzare la produzione spostando capitale in paesi lontani (Cina, India, Romania, Filippine, Viet Nam) facendo leva sull’arretrato grado di sviluppo delle zone stesse, ritenendo favorevole da una parte la grande crescita dei consumi propria di queste zone, dall’altra il basso costo della sua mano d’opera. Contemporaneamente alla delocalizzazione della produzione sono stati ampliati gli spazi di impiego del capitale in esubero anche nei paesi dell’occidente capitalista, compresa l’Italia, attraverso la deregolamentazione, fenomeno atto a demolire le ultime barriere protettive allo sfruttamento del lavoro erette in seguito alle vittorie sindacali del ‘900.
    Ma tuttavia ciò è sembrato non bastare, da una parte perchè l’autonomia dei nuovi mercati si sta dimostrando meno consistente delle previsioni (la Banca Centrale cinese ha comunicato che per il 2008 è previsto un incremento della produzione del solo 7% a fronte delle previsioni che lo davano al 11%) , dall’altra perchè la compressione in termini di rapporti di produzione del lavoro in favore del capitale sta raggiungendo limiti pericolosamente invalicabili.
    La conseguenza è stata quella di spingere i paesi avanguardia dello sfruttamento capitalista ad unirsi per integrare l’imperialismo economico con quello militare, adoperando la guerra quale strumento di impiego del capitale sovraprodotto in primis attraverso il suo finanziamento, e in secundis attraverso il finanziamento della ricostruzione.
    Ma ciononostante la crisi in atto non ha raggiunto ancora il livello di guerra imperialista totale, ed è per questo che ritengo che ci si trovi a ridosso ma non ancora dentro, e questo perchè gli strumenti adottati per contrastare la crisi (imperialismo economico ed imperialismo militare locale), sono ancora sufficienti ad attutirne gli effetti. Ma non ancora per molto, vista la sua progressività, conseguenza della ciclicità propria del capitalismo.

    Sul piano soggettivo invece siamo anni luce indietro.
    Questo sia nei paesi imperialisti, che nei paesi oppressi dall’imperialismo. Ed anche dunque in Italia.
    Le ragioni sono da ricercarsi sicuramente nella prima grande sconfitta del movimento comunista, subita in seguito alla prima crisi mondiale del capitalismo. E questo nonostante per un periodo relativamente lungo di tempo ben l’ottanta per cento del territorio mondiale avesse intrapreso la strada del socialismo.
    Senza interrogarci ulteriormente, in un gioco di scatole cinesi, sulle ragioni di questa sconfitta, bisogna aggiungere che l’arretramento della consapevolezza delle masse popolari è stata anche conseguenza della fortissima ondata controrivoluzionaria portata avanti dalla borghesia mediante il largo uso dei moderni strumenti di comunicazione, da una inadeguatezza delle rappresentanze sindacali sempre più imborghesite e collaborazioniste, ma sopratutto dalla frammentazione e totale mancanza di organizzazione dei comunisti.
    Ed è proprio per rispondere a questa arretratezza in termini di coscienza di classe che lo strumento del Partito Comunista di massa diventa indispensabile.
    Perchè le masse oggi obbiettivamente sono in uno stadio di autocoscienza talmente arretrato da non permetterci frammentazioni e ortodossismi. Le stesse parole d’ordine della cultura comunista sono alla maggioranza sconosciute o viste come un pittoresco fardello del passato. Questo perchè il bombardamento mediatico della borghesia ha raggiunto un livello di semi-controllo delle menti, di monopolio del pensiero.
    Non siamo dunque in una fase che ci permette scontri dialettici su questioni anche se vitali, meramente future.
    L’esigenza primaria in questa fase è propagandare l’alternatività del comunismo rispetto all’attuale ordine economico capitalista, l’attualità e sopratutto la necessità del comunismo come risposta agli effetti delle contraddizioni del capitalismo, che sono rivendicate, spesso disordinatamente, dal “proletariato inconscio” odierno.
    Bisogna rendere fruibile alle masse il patrimonio culturale del pensiero comunista tutto, per accumulare forze rivoluzionarie sempre più rilevanti sul piano della quantità, anche se a sacrificio della qualità. Bisogna accogliere e non escludere, perchè la crisi delle condizioni soggettive per la rivoluzione oggi si manifesta sopratutto nell’esistenza di tante avanguardie autoreferenziate ognuna per sé “ortodossa”, e della totale mancanza di seguito nelle masse. Tanti professori dinnanzi ad auditori completamente vuoti!
    L’unico limite, l’unico confine fra il tollerato ed il condannato, fra l’ortodosso e l’eterodosso, potrà essere solo il tratto comune che unisce il Partito Comunista di massa con il Partito Comunista rivoluzionario: il fine ultimo della soppressione dell’attuale ordine economico capitalista e della sua sovrastruttura borghese, per costruire uno stato socialista intermedio anello indispensabile per la futura edificazione del comunismo su scala mondiale.
    Qualunque altra questione, anche quella della partecipazione o meno ai governi borghesi, deve porsi come parametro di opportunità politica solo quello della propaganda, della facilità di recepimento, della diffusione delle parole d’ordine del comunismo dentro le masse.
    Qualunque dialettica spinta da ragioni diverse da questa è oggi necessariamente marginale.
    Solo in una fase successiva, laddove le masse abbiano raggiunto un livello di autocoscienza diffuso anche se impreciso, si lavorerà a smussare, arrotondare, indirizzare, e a rendere rigorose quelle basi politiche. Solo su di un terreno in questo modo fertile si potrà costruire il Partito rivoluzionario. Solo quando le parole d’ordine del comunismo saranno sulla bocca di tutti, quando avranno se non convinto perlomeno insinuato il dubbio nelle menti delle masse popolari, si potranno formare quelle avanguardie rivoluzionarie che ci condurranno alla rivoluzione.
    In pratica la fase odierna, quella del Partito Comunista di massa, sposa simultaneamente il movimentismo e l’entrismo, perchè sia la propaganda territoriale che quella parlamentare adempiono al comune fine di diffondere fra le masse il germe del comunismo.

    Tornando (e concludendo) alla critica mossa contro l’unità dei comunisti, l’errore nell’analisi politica è stato quello di aver sottovalutato il basso livello di preparazione delle masse popolari in questo momento storico, cioè l’aver ignorato la mancanza di condizioni soggettive per la costituzione di un Partito Comunista rivoluzionario. Anche il riferimento a Togliatti quasi sottolinea questa lontananza dalla realtà, in questo caso distante sessant’anni.

    Ma tuttavia in questo momento storico peculiare confido in un ripensamento, perché la lotta diventa sempre più dura e le masse sempre più lontane; senza unità non c’è futuro per il comunismo e, potrà sembrare retorico, neppure per l’umanità.

    Niccolò Zanotelli

    Niccolò Zanotelli

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