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L'osservatore romano

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(19 Gennaio 2011) Enzo Apicella
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La trappola de La Sapienza

(17 Gennaio 2008)

Fra lo sdegno unanime per la rinuncia della presenza papale all’inaugurazione dell’anno accademico de ‘‘La Sapienza’’ di Roma e i balli festosi di sparuti gruppi di studenti che s’opponevano alla sua visita resta l’ingombro d’una polemica viziata che ben poco ha a che vedere con la libertà d’espressione. Indubbiamente opporsi a ospiti sgraditi come hanno fatto i sessanta e più docenti antipapisti è sintomo di chiusura e scarsa tolleranza, che non rientra nella tradizione di confronto, dialogo, comprensione propri di quell’enclave di libertà del pensiero che sono gli atenei. Un’apertura che tali luoghi dovrebbero avere e conservare. I docenti iperlaici dicono che per invitare un così illustre ospite il Magnifico Rettore Guarini avrebbe potuto scegliere una data meno simbolica per un’Università dello Stato Italiano. Simbolo o meno i timori di contestazione hanno fatto recedere la Santa Sede dalla visita prevista.

Da lì s’è scatenata la velenosa polemica che pare orchestrata ad arte da integralisti vecchi – Buttiglione - e neo cooptati - Giuliano Ferrara – che già da settimane s’agitano e agitano ben altri obiettivi. Reintrodurre nella vita d’ogni giorno quel pensiero unico modellato su un cattolicesimo conservatore che l’Italia ha conosciuto fino alla metà dei Settanta e che ora ricompare con una specie di desiderio di rivincita. Come non considerare tale la tonitruante campagna con cui Benedetto XVI, il cardinal Ruini e altre eminenze paraconfessionali di Santa Romana Chiesa invade il terreno delle leggi dello Stato Italiano scavalcando gli stessi politici – del grande Centro, della Destra o della Sinistra – che ne rappresentano nel Parlamento gli interessi? Sembra che la Chiesa voglia mostrare in prima persona qual è la via da seguire e come riassestare costumi, comportamenti e anche normative delle nazioni cattoliche. Le assillanti critiche al governo spagnolo di Zapatero vanno in questa direzione.

La scomparsa della Dc, il mercantilismo personalistico che caratterizza partiti di riferimento come Forza Italia, Udc, An, il timore che nel neonato Pd la componente cattolica resti subalterna - nonostante le Binetti e le Bindi - alla matrice laica degli ex Ds porta anche il Vaticano alla fatidica ‘discesa in campo’. Ne scaturisce un’aria d’altri tempi più da Pio XII che da Concilio Vaticano II. Nessun altro papa, neppure il carismatico Wojtyla che tante sterzate conservatrici aveva offerto – insieme ad altrettante aperture -, ha mostrato in maniera così smaccatamente temporalista ingerenze verso lo Stato Italiano e le sue leggi. L’attacco alle unioni civili, l’affermazione che l’unica coppia possibile, naturale e sacra sia quella fra uomo e donna uniti in matrimonio, e ultima la sedicente moratoria contro l’obbligo all’aborto col chiarissimo intento di cancellare leggi come la nostra 194 che il dramma dell’aborto hanno affrontato e limitato, rappresentano gli assalti d’un cattolicesimo oscurantista a una società pluralista, multireligiosa e multietnica.

Non è un caso che paladini di queste posizioni siano politici che fanno della faziosità e della provocazione gli unici strumenti di rapporto con gli altri e ricevono di conseguenza quelle chiusure stonate di anticlericalismi giovanili o dottorali che lasciano il tempo che trovano. Inquietante è, invece, come tanta politica che si professa laica – pensiamo ad associazioni, movimenti, partiti della stessa sinistra dal Pd a Rifondazione – perdano senno e rotta e anziché guardare la luna e l’eclissi che sta subendo sotto la voglia d’uno Stato confessionale di ritorno, s’incantino a guardare il dito puntato su La Sapienza, la visita del pontefice, l’ipotetica contestazione – Buttiglione vaneggiando ha parlato di minacce, di chi? per cosa? –. Anziché parlare concretamente di reciprocità e distinti terreni, riprendere magari la cavouriana ‘‘libera Chiesa in libero Stato’’, difendere la laicità della nazione si ritrovano a cincischiare su presunti complotti antipapali e soprattutto a non chiarire che cosa dovranno diventare l’Italia e le sue Istituzioni. E questa potrà diventare la vera notte della nostra Repubblica.

16 gennaio 2008

Enrico Campofreda

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