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(Di lavoro si muore)

La guerra del capitale e i morti sul lavoro e di lavoro.

(16 Marzo 2008)

Il 3 marzo 2008, un’altra strage di lavoratori si è compiuta a Molfetta (Ba). Cinque lavoratori dell’azienda “Truck Center” hanno perso la vita mentre stavano lavando un’autocisterna che aveva trasportato zolfo per un’azienda chimica della zona.
Il primo operaio, entrato nell’autoarticolato per pulirlo si è sentito male per le esalazioni, a soccorrerlo è subito un altro lavoratore che si è sentito male anch’esso. Poi, a catena, sono intervenuti altri 4 lavoratori che a loro volta sono stati male. Il risultato di questa giornata di sangue è di 5 persone morte, Guglielmo Mangano di 44 anni, Biagio Sciancalepore di 24 anni, Luigi Farinola di 37 anni, Michele Tasca 20 anni non ancora compiuti e il titolare dell’azienda Vincenzo Altomare, mentre un sesto operaio è stato ricoverato in condizioni non gravi all’ospedale.
Nella stessa giornata anche un operaio macedone di 34 anni, dipendente di un’impresa di pulizia e rimozione degli intralci alle linee elettriche, è morto folgorato a Bracciano, località a nord di Roma, facendo arrivare a sei il macabro conteggio dei morti.
I cinque di Molfetta non hanno esitato ad accorrere senza protezioni per aiutare i loro compagni di sventura in una gara di solidarietà umana e questa volta tra le vittime c’è anche il padrone della piccola azienda che è anch’egli corso in aiuto lasciandoci la vita. L’unico sopravvissuto - Stefano Ventrella di 57 anni, ricoverato all’ospedale di Bisceglie - alla notizia della morte dei suoi compagni, intervistato da un quotidiano, ha affermato: “ Dovevo morire anche io. Perché io sto qua?! non ha alcun senso. Dovevo e volevo morire anche io, insieme con i miei amici, i miei colleghi, durante il mio lavoro che era tutto quello che avevo. Ora tutto il tempo che mi resta lo passerò con la loro immagine, accatastati là in fondo alla cisterna. Uno sopra l’altro, tutti morti”.
Anche l’anziana zia di Luigi Farinola commentando a caldo la disgrazia, ha fatto un’amara riflessione: “Che vita è lavorare come somari e morire come cani?”.

Questa ennesima mattanza di operai ha unificato le posizioni fra maggioranza e opposizione, accelerando l’emanazione del decreto legislativo sulla sicurezza nei luoghi di lavoro che il governo dimissionario di Prodi ha attuato con il consenso di tutte le forze politiche, nonostante l’ opposizione delle 15 organizzazioni di categoria degli industriali (confindustria, artigiani, commercianti, cooperative ecc) che hanno goduto finora dell’impunità piena che non vogliono perdere .
Ma cosa prevede in sostanza il testo unico?
Per gli imprenditori che non fanno la valutazione del rischio in aziende con elevati rischi chimici, cancerogeni, esplosivi e nelle imprese edili, è previsto l’arresto da 6 a 18 mesi. Però il datore di lavoro che si mette in regola evita l’arresto, sostituito con una sanzione da 8mila a 24mila euro. Tradotto in altre parole significa che il padrone colpevole potrà scambiare il carcere con una ammenda, purchè si metta in regola.
Per gli omicidi colposi, in caso di colpa, in un incidente con morti o feriti, si applicano ai responsabili dell’azienda sanzioni fino a 1.500.000 euro.

Un vecchio detto popolare recita: fatta la legge, trovato l’inganno.
In realtà in una società come la nostra, dove la proprietà privata dei mezzi di produzione e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo è normale e legalizzato da leggi e contratti, gli infortuni ed i morti sul lavoro e di lavoro sono considerati dal sistema un costo improduttivo - da ridurre al massimo - ma necessario nella ricerca del massimo profitto.
La legge sul Testo unico anche se mette dei paletti importanti non può risolvere da sola il problema perché i padroni, per liberarsi da certe “incombenze”, stanno già attivandosi per scaricare le responsabilità sui loro preposti e, in ultima istanza, sui lavoratori.

La causa principale degli infortuni e dei morti sui posti di lavoro deriva dal peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro degli operai. Con l’aumento degli straordinari, l’aumento dei ritmi, della produttività, il cottimo e l’abbassamento dei salari reali, la Confindustria e suoi governi (sia di centro-destra che di centro-sinistra), insieme ai tirapiedi dei sindacati concertativi di CGIL-CISL-UIL, accettano come normale e in silenzio che 4 operai al giorno continuino a morire. E’ dagli anni ‘70 che il sindacato nelle piattaforme non rivendica cambiamenti sull’ambiente di lavoro, sulla nocività e sull’organizzazione di lavoro. E’ inutile e falso piangere i morti se si accetta poi di delegare all’impresa il problema della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro. Lacrime di coccodrillo.
Ora con il Testo Unico sulla sicurezza questi signori si mettono a posto la coscienza e senza intervenire per cambiare in meglio l’organizzazione. le condizioni e l’ambiente di lavoro, costringono gli operai a continuare il lavoro nelle stesse pessime condizioni di prima lasciando ancora una volta alla discrezionalità, al portafoglio e al “buon cuore” dei padroni il tema della sicurezza.

Valga come esempio la vicenda amianto.
Nonostante fosse nota la sua pericolosità addirittura dagli inizi del ‘900, i padroni ed i dirigenti che tutto sapevano, nella vorace e continua ricerca del massimo profitto, nulla hanno fatto per evitare le morti annunciate di migliaia e migliaia di lavoratori (e di cittadini che mai erano entrati in una fabbrica).
Ci sono voluti quasi 100 anni per metterlo fuori legge, almeno sulla carta.
Ogni anno le denuncie di malattia professionale sono circa 26.000, molte di queste (patologie tumorali, silicosi, asbestosi ecc, ) sono causa di morte o comunque di riduzione della durata di vita attesa. L’Inail non fornisce mai con chiarezza i dati, anno per anno, dei casi di morte nei quali la malattia professionale è causa diretta e unica o come concausa.
Sempre prendendo ad esempio l’amianto, i mesoteliomi (tipici tumori provocati dall’amianto e sempre fatali) registrati dal registro nazionale, ancora incompleto perché alcune regioni non lo hanno ancora costituito, sono più di 1.000 l’anno. Di questi solo la metà sono riconosciuti dall’ Inail, mentre sono circa 5.000 l’anno i lavoratori che perdono la vita a causa degli altri tumori derivanti dall’amianto.

Nel 2007 sono stati 1.302 i lavoratori assassinati sui posti di lavoro (l’Inail ad oggi non ha ancora ultimato i conteggi) e da gennaio a marzo 2008 sono già oltre 200.
Queste statistiche non tengono conto del lavoro nero, che vede impegnati 3.500.000 lavoratori, quindi in realtà non è azzardato ritenere che i morti sul lavoro e da lavoro siano più del doppio di quanto dichiarato dalle statistiche: non 4, ma 8 e forse più al giorno.
La maggioranza degli operai e dei lavoratori sono concentrati in piccole fabbriche ed unità produttive, senza organizzazione, in balia dei padroni. Certo è difficile, per chi è sottoposto al ricatto della perdita del posto di lavoro, riuscire a difendersi individualmente rifiutandosi di lavorare se non sono garantite le misure di sicurezza, se non ci si organizza nei reparti, nelle fabbriche nei cantieri e in tutti i posti di lavoro.
Ma le leggi sulla sicurezza del lavoro sono importanti e possono aiutare solo se i lavoratori sono organizzati e hanno la forza di farle rispettare. Il tema della sicurezza non può essere solo il problema dei delegati RLS.

E’ lo sfruttamento la causa principale degli infortuni e dei morti.
Bisogna rimettere all’ordine del giorno la parola d’ordine “la salute non si paga, la nocività si elimina”, per aprire discussioni con i propri compagni di lavoro sulla pericolosità di certe lavorazioni, sulla brutalità delle condizioni di fabbrica, del cantiere e sul complesso sfruttamento a cui è sottoposto l’operaio.
I lavoratori devono rompere con la delega ad “altri” (governo – sindacati – istituzioni - RLS, ecc). la difesa della loro salute. L’imbarbarimento della condizione operaia non ha come conseguenza solo un salario insufficiente alla necessità della vita, ma morti e feriti sul lavoro e di lavoro.
Anche l’ambiente di lavoro e sociale malsano è causato dello sfruttamento, come sfruttamento è il prolungamento della giornata lavorativa, la mancanza di una casa o una casa inadeguata insieme agli strangolamenti dei mutui.

Solo autoorganizzandosi, i proletari possono opporsi nei luoghi di lavoro ai capi reparti, ai dirigenti e ai padroni che considerano gli operai bruta forza-lavoro, imponendo la dignità, il rispetto e la sicurezza per la vita umana dei lavoratori.
Gli operai - che producono la ricchezza di cui si appropriano i loro padroni e la società, rimanendone esclusi - resi finora “invisibili” conquistano la notorietà solo quando muoiono in gruppo.
E’ arrivato il momento di ritornare organizzati sulla scena politica-sindacale, affermando con forza gli interessi di classe fuori dalle compatibilità aziendali o nazionali.
Solo mettendo in discussione con le lotte la condizione di moderni schiavi salariati è possibile per i proletari difendere le proprie condizioni di vita e di lavoro, fino a diventare punto di riferimento nella società.

articolo pubblicato su "Nuova Unità" - marzo 2008

Michele Michelino

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