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La colpa non è degli altri

(16 Aprile 2008)

Le elezioni politiche 2008 hanno celebrato il loro rito cartaceo ed i risultati, come sempre, sono oggetto di analisi, discussioni, confronti: non disponiamo ancora di sufficienti elementi per stabilire come si sono indirizzati i diversi flussi di voto tra le forze politiche e, di conseguenza, i nostri giudizi risultano ancora limitati da una certa sommarietà.

Purtuttavia è già possibile intervenire con una certa capacità di giudizio sul punto davvero più “eclatante” emerso dal dato delle urne: la scomparsa, a livello parlamentare, della cosiddetta “sinistra radicale” o meglio della “sinistra governista”, collocandosi – giustamente – il PD al centro.

Naturalmente non va dimenticato il quadro complessivo di riallineamento del sistema politico, la torsione “bipartitista” realizzata attraverso un sistema elettorale utilizzato, questa volta, in maniera ben diversa rispetto al 2006 (è bastata la rinuncia alle larghe coalizioni perché il “Porcellum”, da un certo punto di vista, funzionasse), la scelta “selettiva” fatta dal PD e posta prioritariamente rispetto alla prospettiva di contrastare l'avversario, nei riguardi del quale ci si è limitati ad invocare il cosiddetto “voto utile” in funzione di eliminazione dei concorrenti più piccoli e più scomodi perché evocatori, comunque, di antiche identità “forti” che i dirigenti del loft di Piazza Sant'Anastasia desideravano comunque togliere di mezzo.

Un calcolo miope, a nostro giudizio, perché gli 8-9 punti di scarto non sono rimediabili nel medio periodo anche modificando la legge elettorale e puntando ad un mutamento della forma di governo in senso compiutamente presidenziale: ma, intanto, il risultato di una certa semplificazione è stato realizzato e l'assenza di soggetti presenti nel Parlamento a sinistra renderà meno difficile la situazione paradossale di un partito nato per il “centro” che prende voti a sinistra e ne cede, invece, proprio verso chi rivendica l'eredità del vecchio “centrismo”.

Torniamo, comunque, al punto centrale del nostro discorso: la disfatta della “sinistra arcobaleno”. Ebbene, dato e non concesso il “drenaggio” realizzato dal PD ritengo che i dirigenti della scombicchierata compagnia non dovrebbero azzardarsi a scaricare su altri le colpe del loro insuccesso, prima di tutto perché è mancata completamente una riflessione sulla fallimentare esperienza di governo: una esperienza che ha azzerato le capacità di presenza sul territorio, di promozione di quadri non legati al carrierismo, di effettiva possibilità di valorizzazione della rappresentanza delle insorgenze sociali (evito accuratamente di usare il termine “movimenti” come si vede). Esperienza di governo la cui valutazione non andava limitata al “centro”, ma anche alla periferia, al partito degli assessori, dei funzionari, delle coalizioni forzate per spartire il potere anche nelle situazioni più incredibili, da questo punto di vista.

In secondo luogo è mancata completamente una proposta politica adeguata, essendosi riservato tutto il “focus” della lista arcobaleno al politicismo più puro, senza mai uscire dal generico degli slogan sbandierati e senza legare una idea di progetto di trasformazione ad una ipotesi politica di nuova e diversa aggregazione politica.

Terzo ed ultimo punto, almeno per ora, il particolare non secondario che il tutto è avvenuto “a freddo”, senza dibattito (clamoroso il caso del rinvio del congresso di Rifondazione, in presenza di una scelta di questo genere), rinunciando ad una proposizione di identità che sarebbe risultata, alla fine, indispensabile.

Ecco: questo sono soltanto alcune, prime, valutazioni sul dato del 13-14 Aprile.

Non affronto il tema del dove ripartire salvo che per una affermazione di principio che ritengo, però, propedeutica al dibattito che dovrà essere avviato con urgenza: non si pensi, anche dal punto di vista di chi si è opposto in varie forme a questa deriva, al movimentismo puro e semplice o alla conservazione di “identità separate”.

Senza la rimessa in campo di un processo e di un progetto politico, che comprenda anche l'idea di una “lunga marcia” fuori dal Parlamento ma senza rinunciare alla proiezione istituzionale nel senso della piena rappresentatività politica, non ci potrà essere alcuna – sia pure timida- forma di ripresa.

Savona, li 15 Aprile 2008

Franco Astengo

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