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(29 Aprile 2010) Enzo Apicella

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La guerra partigiana e Spike Lee

(4 Ottobre 2008)

Bacchettato dal Bocca giornalista che ricorda il Bocca partigiano e i partigiani che come lui combatterono per la libertà d’Italia Spike Lee replica sempre su ‘La Repubblica’ ospitato di spalla sul quotidiano di oggi. Esordisce con un “signor Bocca io non sono un suo nemico” che sa un po’ di excusatio non petita. Tocca poi rapidamente il fulcro della sua contraddittoria affermazione sui “partigiani che fuggivano sulle colline dopo gli attacchi ai tedeschi”, omette la restante dichiarazione con la quale lunedì scorso aveva sottolineato che i civili di quei luoghi sarebbero rimasti alla mercè della rappresaglia nazista “estrapolate – dice - da un contesto più generale”. Quindi ribadisce la tesi che i partigiani non fossero amati da tutti gl’italiani perché il Paese era diviso e in preda alla guerra civile. Asserendolo con un auto assolvente “conosco la storia” che scatena nel lettore ulteriori dubbi sull’effettiva padronanza della stessa, Lee ritorna sulla vicenda della fuga sui monti dei partigiani messa in relazione a simili tattiche guerrigliere usate da Fidel e Guevara a Cuba, dai vietcong e i Mau Mau nelle rispettive lotte di liberazione.

Se le dichiarate conoscenze della Storia e delle strategie della guerriglia da parte del regista sono tali ancor più stonato e improprio risulta il riferimento ch’è quasi un atto d’accusa (quello sì in funzione antipartigiana e tanto amato dal postfascismo revisionista) che i patrioti lasciassero la popolazione in balia delle rappresaglie. Se Lee e consulenti avessero davvero approfondito la storia della Resistenza italiana saprebbero che la strage di Stazzema non può essere messa in rapporto di causa-effetto con attacchi partigiani temporalmente vicini. Come molte stragi di civili dei venti mesi che vanno dall’8 settembre ’43 al 25 aprile ‘45 in Italia - ricordate negli ultimi anni dai meritori lavori di Giustolisi, Franzinelli e altri divulgatori e storici – esse accanto all’efferatezza non avevano una diretta correlazione con azioni di guerriglia precedentemente accadute. E seppure l’avessero avuta come nel caso della strage delle Ardeatine con cui Kappler intese pareggiare (pur nella sperequazione di dieci a una delle vittime) l’attentato gappista di via Rasella, l’operazione diventa la misera giustificazione d’un operato criminale visto che i patrioti attaccavano truppe d’occupazione in divisa mentre i nazisti trucidavano a freddo civili e prigionieri. Infamia vietata anche dal Trattato di Ginevra del 1929.

Né può valere la tesi, diffusa tempo dopo in funzione antiresistenziale, che la strage delle Ardeatine si sarebbe evitata se gli autori dell’attentato si fossero presentati alle forze naziste. Quell’appello non venne mai lanciato, fra la bomba di via Rasella e il massacro delle Cave Ardeatine trascorsero ventitre ore necessarie alla compilazione della lista dei condannati (stilata dall’odiato questore Caruso, da Kappler e Priebke aiutati dell’aguzzino Pietro Koch), il loro trasferimento avvenuto nottetempo, la sanguinosa mattanza dei corpi sui corpi e cadaveri, il brillare delle mine per celare lo scempio. Dal 23 al 24 marzo 1944. Riportiamo quest’esempio perché su di esso battè a lungo una mistificatoria propaganda rivolta alla denigrazione della lotta di liberazione cui dava fiato non solo l’anticomunismo postbellico della borghesia parafascista e reazionaria, dei filomonarchici e dei qualunquisti di Giannini ma anche l’antifascismo attendista e di maniera. Cosa fosse quest’ultimo, se al regista non è bastata la chiarissima descrizione offerta ieri da Bocca, potranno tornare utili un’amplissima bibliografia e un film, “Il terrorista” di De Bosio con un giovane e già straordinario Gianmaria Volontè. Gli suggeriamo di vederlo con l’accortezza di farsi tradurre i dialoghi impregnati d’un limpido canovaccio politico delle posizioni esistenti in seno al Cln.

Spike Lee sa (lo dice egli stesso) che i vietcong dopo azioni d’attacco e sabotaggio praticavano, come ogni guerriglia, ritirate tattiche e che i contadini dei villaggi erano in tanti casi solidali coi combattenti ispirati dal pensiero di Ho Chi Min pur dovendo subire sulla pelle i trattamenti chimici, il napalm, la furia devastatrice dei B52 dell’esercito a stelle e strisce. Parlare di fuga dei partigiani è improprio e strumentale, fuori dalla storia d’un certo tipo di lotta in qualsiasi latitudine ed epoca la si pratichi o si sia praticata. Quanto alla storia d’Italia e al suo film, che dal luttuoso episodio di Sant’Anna trae spunto, riteniamo non basti un annuncio in testa alla pellicola che ne dichiari la fiction soprattutto se l’autore appare così ambiguo nel narrare una vicenda non proprio secondaria. Quel che resta è un ingannevole spaesamento nello spettatore e pare anche nel regista se, a posteriori, continua ad affermare quel che ascoltiamo in queste ore.

2 ottobre 2008

Enrico Campofreda

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