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(14 Maggio 2012) Enzo Apicella

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Il grande crack

Ipotesi e scongiuri per uno scenario apocalittico

(14 Ottobre 2008)

Lo tsunami, gigantesco, che sta investendo la finanza non sarà privo di conseguenze per noi lavoratori. Il lungo ciclo di ripresa dei profitti del settore bancario in Italia, partito con il grande accordo sindacale del 1998/99, che ha dato via al rilancio, tramite taglio massiccio del costo del lavoro, ha sfruttato anche condizioni di mercato irripetibili. Il crollo delle borse del 2001/2002 è stato seguito, infatti, da un periodo di 4/5 anni di denaro a bassissimo costo, che ha favorito un massiccio indebitamento della società nel suo complesso. La crescita dei mutui c’è stata anche da noi, e scopriamo adesso che sono stati fatti in prevalenza a tasso variabile. Anche il risparmio gestito ha continuato a crescere, nonostante le batoste seguite alla sbornia tecnologica, perché tassi bassi facevano fare bella figura persino ai fondi obbligazionari e incoraggiavano a rientrare sui fondi azionari o bilanciati. Le banche hanno cominciato a martellare con le obbligazioni strutturate, uno strumento che ha forti commissioni immediate, ma mina la redditività successiva, un primo importante elemento di debolezza di questo sviluppo apparente.

Nel biennio 2006/2007 le cose hanno cominciato a cambiare: il rialzo dei tassi ha fatto emergere le prime crepe, con famiglie in difficoltà a pagare i mutui ed il risparmio gestito in affanno a difendere prestazioni poco convincenti. Il 2008 è arrivato come un ciclone che spazza via ogni illusione residua.

Le banche europee ed italiane non hanno alcun motivo per vedere la crisi delle banche americane come qualcosa di lontano e specifico: il crollo dei prezzi di molte banche europee (le più globalizzate) dimostra che i pericoli sono molto seri. Pericoli in ogni senso: rischio economico, rischio sistemico, rischio di fallimento. Vedremo qualche grosso fallimento bancario anche in Europa? E’ presto per dirlo, ma nessuno può automaticamente considerarsi esente.

Crediamo che le banche italiane abbiano una solidità patrimoniale apparente, che può essere rapidamente minata da una concatenazione di eventi sfavorevoli che le possono mettere al tappeto.

Se andiamo a vedere come vengono costruiti i loro utili, possiamo capire anche su quali basi fragili poggino i piedi. Il calo dei profitti di circa il 50% tra 2007 e 2008 segnala già una direzione di marcia ben precisa, una tendenza che può ulteriormente aggravarsi.

Gli utili delle banche sono fatti essenzialmente in quattro modi:
- commissioni di gestione sul risparmio dei clienti;
- margine di intermediazione tra raccolta e impieghi;
- negoziazione di titoli per conto proprio;
- commissioni di collocamento su prodotti finanziari e negoziazione titoli.

Ci sembra di poter dire che ognuno di questi quattro comparti va incontro ad un periodo di forte compressione.

La crisi del risparmio gestito sta portando, nell’arco di un biennio, ad un deflusso di circa 200 miliardi di euro (tra riscatti e svalutazioni), circa un terzo dell’intera massa gestita. L’andamento dei mercati, l’impatto della Mifid e la scarsa qualità della gestione stanno distruggendo il gestito italiano, facendo venire meno una delle principali voci di ricavo ricorrente dei bilanci bancari.

Il margine di intermediazione sfrutta, è vero, il rialzo dei tassi, ma la concorrenza sempre più spietata sulla raccolta, i criteri creditizi rigorosi previsti da Basilea 2, la rarefazione della liquidità interbancaria per la diffidenza verso ogni controparte, faranno abbassare il contributo del comparto, senza tenere conto del forte incremento dei default e delle sofferenze che si verificheranno in un’economia sull’orlo della recessione e del credit crunch.

La negoziazione titoli per conto proprio non sembra attraversare un bel momento, la situazione è talmente caotica che solo speculatori spregiudicati possono pensare di trarre profitto da un contesto simile, puntando tutto sul ribasso delle borse e sulla vendita allo scoperto, prassi che (speriamo) non rientri nella strategia gestionale di grandi banche.

Le commissioni di collocamento su prodotti finanziari potrebbero crescere solo con un costante incremento della ricchezza dei privati, ma abbiamo in portafoglio clienti imbalsamati da scadenze lunghissime, titoli molto sotto la pari, strutture rigide e soprattutto uno stock complessivo in costante riduzione, per le successioni, i cali di mercato, le porcherie che abbiamo venduto in passato. Con mercati in calo, anche la negoziazione titoli si inchioda.

A tutto questo, che prefigura un calo degli utili ricorrenti delle banche, occorre aggiungere un rischio di perdite patrimoniali devastanti. Le banche europee possiedono i due quinti degli assett backed security americani (le obbligazioni garantite da mutui). Hanno miliardi di euro inchiodati in obbligazioni di banche americane sull’orlo del baratro. Hanno strutture patrimoniali inadeguate a reggere urti di tale portata. Fortis, Dexia, Kbc erano in cima alle preoccupazioni anche prima dello scorso week-end, quando la crisi ha attraversato l’Atlantico ed è deflagrata anche in Europa. Fortis è stata salvata domenica notte dai governi del Benelux con 11,2 miliardi di euro, Dexia lunedì notte da Francia, Belgio e Lussemburgo con una sostanziale nazionalizzazione, da 6,4 miliardi di euro. Lehman Brothers aveva naturalmente forti ramificazioni in ogni nazione europea, gestiva patrimoni imponenti, ora bloccati dal Chapter 11. Oltre al rischio diretto, quello che preoccupa di più è il rischio indiretto. Solo in Italia, sono sessanta le polizze index linked con sottostante un’obbligazione Lehman. I clienti cercheranno di farsi restituire i soldi dalla rete che gliele ha rifilate ed i contratti lasciano ampi spazi in tal senso. Unicredit è la più esposta, avendo, tra l’altro, ereditato le polizze vendute a suo tempo da Roma Vita, compagnia della Banca di Roma. Sarà anche per questo che ha perso in due giorni il 25%, facendo sorgere preoccupanti interrogativi sulla sua tenuta? Per fare un altro esempio, Intesa San Paolo ha collocato parecchie obbligazioni strutturate emesse da Kbc, Dexia, Morgan Stanley. Se dovesse fallire l’emittente sottostante, sarebbero guai serissimi. A marzo 2008 Intesa Sanpaolo ha collocato un’obbligazione KBC da 6 miliardi di euro. Se fallisse entro 12 mesi dal collocamento, quasi sicuramente la principale banca italiana sarebbe chiamata a rimborsare integralmente i risparmiatori (nuova legge sul risparmio, legge 303/2006). E questa obbligazione è solo una tra le tante…

Non ci sono protezioni rispetto ad un effetto contagio che facesse crollare le banche con un effetto domino.

La crisi devastante della finanza americana sta facendo a pezzi i sistemi nervosi dei clienti, che usciranno da quest’esperienza con una propensione al rischio del tutto azzerata. Il patrimonio “reputazionale” sarà ulteriormente ridotto e ci troveremo ad intermediare soltanto più titoli ad alto rating e basso guadagno, con un drastico abbassamento dei margini di utile.

E’ tutto un sistema finanziario che va a morire, seppellendo le banche d’affari, le agenzie di rating, i modelli di valutazione del rischio, le tecniche di gestione utlizzate.

Inventare un nuovo modo di fare gli utili è un compito troppo sfidante per le modeste capacità dei nostri manager, quindi è presumibile che arrivi l’ordine di scuderia di sfruttare fino all’inverosimile il parco clienti esistenti, stante la rigidità dei budget commerciali e dei piani d’impresa. Visto che non si può cavare sangue da una rapa, è facile pensare che torneranno presto alla carica per risparmiare sui costi e quindi fare a pezzi quel poco di welfare aziendale che si poteva sperare di mantenere. Cercheranno di giustificare una nuova tornata di sacrifici e di imporci il modello Alitalia, che fa pagare ai lavoratori i costi della ristrutturazione: un esempio cui i padroni ricorrerebbero volentieri.

In questo contesto appare davvero patetico il volantino delle nove sigle, che si attribuiscono il merito di avere trattenuto le banche italiane dall’adottare modelli di business a rischio, attraverso l’accordo sul “Patto di sviluppo etico e sostenibile” del 2004. Ma questi sindacalisti sanno cosa hanno venduto i consulenti e i gestori che si arrogano il diritto di rappresentare? Sanno a quali pressioni sono stati sottoposti i venditori della rete? Sanno cosa hanno in pancia i risparmiatori, acquirenti ignari di vere bombe a tempo?

Se il piano Paulson non dovesse essere approvato in tempo, o se una volta approvato non funzionasse, potremmo trovarci davanti alla catastrofe. Se anche venisse approvato e decollasse subito, dovremmo comunque tenere le dita incrociate per un bel po’ di tempo, e non è assolutamente garantito che TUTTE le istituzioni bancarie verranno salvate: la presenza di una rete protettiva, paradossalmente, rende possibile il fallimento di singoli soggetti, anche di dimensioni rilevanti.

Comunque vada, nulla sarà più come prima. Dobbiamo attrezzarci per sopravvivere al nuovo contesto e dobbiamo farlo in fretta. E’ come essere entrati in una nuova dimensione spazio/temporale, ma nessuno sembra essersene reso conto e i direttori spingono ancora, come non mai, per raggiungere il premio incentivante, come se il problema fosse quello. Presto dovremo affrontare la realtà e scoprire che il risveglio sarà duro: nessuno pensi di farci digerire piatti indigesti.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Credito e Assicurazioni
http://www.sallcacub.org
sallca.cub@sallcacub.org

Fonte

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