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(12 Agosto 2010) Enzo Apicella
Dopo numerosi rinvii, sembra che gli Stati Uniti rispetteranno i tempi previsti per il ritiro delle truppe dall’Iraq

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(Iraq occupato)

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Signor Presidente, il ministro Frattini con la sua relazione ha cercato di rubare il mestiere alle organizzazioni umanitarie; ha cercato di far credere all'opinione pubblica del nostro paese che gli Stati Uniti e i paesi volenterosi loro alleati - i cosiddetti willing State - hanno a cuore salute, sicurezza, diritti del popolo iracheno sconquassato dalla guerra.

Il ministro vuol mandare un contingente di forze militari in Iraq, mentre la guerra dura e si moltiplicano le contraddizioni e i problemi in quel territorio. A Nassiriya migliaia e migliaia di sciiti protestano contro la riunione - programmata per la giornata odierna - dei principali gruppi di opposizione al regime di Saddam; tale riunione è stata patrocinata dagli Stati Uniti e i gruppi sono tutti amici di Bush. Le cose non saranno affatto facili nel cosiddetto dopoguerra e pare che non tutto il popolo iracheno sia intenzionato a festeggiare la liberazione imperiale.

Cari signori del Governo, ci troviamo in un dopoguerra di guerra, irto di questioni irrisolte e legate strutturalmente al Medio Oriente che possono esplodere da un momento all'altro: basti pensare ai curdi del nord Iraq e alle tensioni con la Turchia. Tali questioni - compresa quella palestinese - si trascinano nella tragedia quotidiana, a vergogna di tutti gli occidenti.

La guerra preventiva dell'Amministrazione Bush non si ferma affatto: siamo già all'attacco - per il momento solo verbale e sanzionatorio, ma già inquietante - contro la Siria, uno dei tanti paesi facenti parte dell'elenco dei rogue State stilato dalla Casa Bianca. Le accuse sono le stesse - ripeto, le stesse - che hanno portato all'invasione dell'Iraq: complicità con i nemici degli Stati Uniti, connivenza con il terrorismo, produzione di armi di distruzione di massa. Gli stessi sono anche i metodi: disprezzo delle regole internazionali, arroganza unilateralista, presunzione ideologica di muoversi nel solco della giustizia infinita, quella di Dio. «Giustizia infinita», così venne chiamata in un primo momento la guerra all'Afghanistan, antefatto istruttivo di ciò che poi ad essa sarebbe seguito, ma nessuno ormai vuole istruirsi a partire dai fatti.

Contro la Siria i falchi e le colombe di Washington insieme sparano bordate di massima grandezza e minacciano sanzioni e ritorsioni di ogni tipo, forti di trovarsi ormai là - come lucidamente ha spiegato Powell -, a ridosso della Siria e padroni dell'Iraq.

Persino il Primo ministro britannico, cobelligerante d'eccellenza, riesce a dire in queste ore qualcosa di diverso per smarcarsi di qualche millimetro dall'onnivoro cannibalismo bellico di Bush.

Invece, il ministro Frattini e, a maggior ragione, Berlusconi, non riescono a dire nulla, a differenziarsi in nulla dal grande alleato; riescono soltanto a precipitarsi in Parlamento per far partecipare il Governo al banchetto di guerra. Siamo in guerra, signori del Governo, la guerra globale, preventiva, infinita ed indefinita degli Stati Uniti d'America e la richiesta del Governo di inviare forze militari italiane in Iraq non è soltanto un atto servile verso l'America, ma una richiesta di coinvolgimento politico del nostro paese nella guerra. Un altro attacco all'articolo 11 ed alla carta delle Nazioni unite.

La missione italiana serve a sancire, anche sul piano politico e diplomatico, la vittoria statunitense sul terreno militare, a depotenziare la grande protesta civile dell'opinione pubblica pacifista, a dire ed a far dire che era giusto fare la guerra.

In questo contesto noi siamo contrari - è stato già affermato dalla collega De Simone - nel modo più assoluto all'invio, in qualsiasi forma e per qualsiasi scopo, di personale italiano militare e civile in Iraq. Noi chiediamo, invece, che il Governo italiano, in tutte le sedi, si faccia carico di chiedere il ritiro immediato e senza condizioni delle truppe angloamericane e l'avvio di un processo di pacificazione e di riassetto politico istituzionale dell'Iraq, affidato esclusivamente all'ONU, con un ruolo di primo piano della parte araba delle Nazione unite. Solo così sarà possibile che il più rapidamente possibile l'Iraq diventi padrona del proprio destino e si blocchino le dinamiche di destabilizzazione dell'area che la guerra ha pericolosamente innescato.

Sarebbe veramente grottesca, se non avesse a che fare con un problema così drammatico come la guerra, l'ossessione del Governo Berlusconi di mettersi in pole position per arrivare primo al tavolo dei vincitori. Perché volete essere tra i primi, anzi i primi? Per guadagnare altre entrature presso la grande potenza amica, come si addice ad un Governo subalterno fino al ridicolo come il vostro o perché fiutate aria di affari, l'immondo mercato delle commesse post belliche e volete sedervi in tempo per guadagnare qualche briciola della torta, alla faccia di qualsiasi dignità nazionale?

La vostra fretta si manifesta oltre ogni decenza, mentre nelle città irachene si moltiplicano le code velenose di una velenosissima guerra, mentre l'Europa continua ad essere divisa e l'ONU è messa ripetutamente nell'angolo dall'arroganza dell'amministrazione Bush (che vuole definitivamente toglierla di mezzo, riducendola a ruolo di agenzia degli aiuti umanitari, dopo aver cercato di ridurla esclusivamente a fungere da sistematico appaltatore di guerre e da forzato distributore di legittimità bellica) e mentre ancora l'orizzonte internazionale si oscura di nuove minacce di guerra preventiva, questa volta contro la Siria, come abbiamo visto, poi si vedrà.

Lunga è la lista degli Stati canaglia.

La guerra ad invasione ed occupazione neocoloniale dell'Iraq, per i modi come è stata preparata, veicolata mediaticamente e agita militarmente sul campo, segna davvero un punto di non ritorno, una cesura storica che rischia di essere radicale ed irreversibile rispetto al quadro istituzionale, giuridico e diplomatico che il mondo aveva faticosamente costruito nel secondo dopoguerra. I neoconservatori che sostengono l'amministrazione Bush e che hanno guadagnato posti di prestigio e di primo piano nella stessa amministrazione dichiarano, ad ogni pie' sospinto - loro lo dichiarano - che siamo entrati nella IV guerra mondiale (la terza è stata la guerra fredda) e che sarà una guerra di lunga durata, globale, preventiva ed indefinita, come ha detto, ossessionandoci, Bush, per stabilire un nuovo ordine mondiale all'insegna delle bandiere americane.

Il National security strategy - il documento degli Stati Uniti d'America reso noto il 17 settembre 2002 - è un documento che dovrebbe essere discusso a fondo prima di blaterare sul ruolo liberatore degli Stati Uniti d'America in Iraq getta una luce, ed è una luce assai sinistra, su questa prospettiva bellica di lungo periodo, che si profila radicalmente eversiva non solo della carta delle Nazioni Unite, ma dell'intero diritto internazionale generale, così come esso si è consolidato nei secoli della modernità, ristabilendo, la nuova dottrina militare americana, il principio barbarico del diritto del più forte ad imporre la legge ed unendo le due prerogative nelle mani dello stesso soggetto, come si addice ad un capo barbaro. Punire chi si sottrae alla legge del più forte fa parte di questa nuova strategia difensiva degli Stati Uniti d'America insieme all'idea di esercitare ogni forma di pressione e di condizionamento possibili sulla comunità internazionale per indurla ad accettare le proprie richieste e veicolare l'idea che soltanto quello che fanno gli Stati Uniti d'America è giusto, legittimo e degno di futuro.

Fa parte di questa stessa strategia la pretesa degli Stati Uniti d'America della controproliferazione, cioè del diretto intervento militare per disarmare i potenziali avversari in possesso o sospettati di possedere armi nucleari. Nello stesso tempo, tuttavia, questa dottrina si accompagna alla cancellazione di ogni impegno da parte degli Stati Uniti d'America a ridurre il proprio arsenale militare, come stabiliva il trattato di non proliferazione a cui gli Stati Uniti si sono sottratti. Al contrario, essi dichiarano il proposito di aumentare e stabilizzare il loro assoluto primato anche in termini di armamenti nucleari.

Noi non vogliamo affatto che la vittoria militare degli Stati Uniti d'America si trasformi anche in una loro vittoria politica ed in una legittimazione di questa orrenda strategia di morte e di distruzione. Il nostro «no» all'invio dei militari italiani è un «no» a tutto ciò che legittima e promuove questa prospettiva

ELETTRA DEIANA

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