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(5 Settembre 2011) Enzo Apicella
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Voci da una piazza che si batte contro la soppressione degli Enti di ricerca.

(28 Maggio 2010)

Tra le conseguenze della Manovra anticrisi targata Tremonti, oltre ad un ulteriore aumento della sperequazione sociale in questo paese, vi è la soppressione di non pochi Enti Pubblici di Ricerca. Oggi, a partire dalle 10.30, i lavoratori di questi istituti hanno manifestato a Roma, davanti al Parlamento. Diverse erano le bandiere delle 3 grandi confederazioni (Cgil, Cisl e Uil), ma quel che più colpiva era la presenza di cartelli senza sigle sindacali, fatti a mano e “indossati” dai ricercatori e dai collaboratori precari dei vari Enti. In sostanza, l’iconografia della piazza ha rispecchiato la realtà interna ai posti di lavoro: in genere in essi vi sono degli organismi di lotta che godono del sostegno esterno dei sindacati. Per esempio, all’Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori) la lotta, nei giorni scorsi, è stata portata avanti da una assemblea permanente appoggiata da diverse formazioni sindacali, di base (Usi Rdb) e confederali (Cgil e Uil). Sennonché, per chi lavora all’Isfol la giornata di ieri sembra essere stata foriera di buone notizie: a differenza di altri, l’ente non verrà soppresso ed in esso confluirà lo IAS (Istituto per gli Affari Sociali).
In piazza abbiamo avuto l’occasione di intervistare lavoratori sia dell’Ente non soppresso, che tuttavia non ritengono di dover “cantare vittoria”, sia di quello IAS che presenta una storia davvero peculiare.
E’ interessante registrare che diverse sono le opinioni circa i motivi dell’attacco agli Enti Pubblici di Ricerca. Si segnala quella di Simone Casadei (ricercatore dell’Isfol), che farà sicuramente discutere: “Il fatto che vengano eliminati enti importanti come ad esempio l’ISPESL (Istituto Superiore Prevenzione e Sicurezza sul Lavoro) rimanda ad un disegno preciso. Si vuole colpire chi produce delle evidenze scientifiche che possono smentire le scelte del governo. Io lo dico in ogni assemblea: c’è un problema di controllo della intera filiera della conoscenza. Oggi si parla, non a torto, di attacco all’informazione in Italia. Ma considerare i provvedimenti che restringono ciò che i giornali possono pubblicare come un fatto a sé stante è un errore. Occorre invece restituire il nesso tra quanto accade nel mondo dell’informazione e quanto si verifica in quello della ricerca”.

Intervista ad Andrea Ricci, ricercatore dell’Isfol.

D. Intanto, ci puoi sinteticamente descrivere qual è la attività del tuo ente?
R. L’Isfol si occupa in particolare di analizzare il mercato del lavoro e di eseguire degli studi sulle necessità della formazione professionale dei lavoratori. In generale, il nostro campo di ricerca è l’analisi sociale. Siamo sotto la vigilanza del Ministro del Welfare, che è anche il nostro principale committente e abbiamo convenzioni con numerose università. In questi giorni di mobilitazione, abbiamo distribuito gratuitamente alcuni dei materiali prodotti negli ultimi anni, per far capire che l’Isfol non è un ente parassitario: tra questi, vorrei citare “La Valutazione degli interventi del Fondo Sociale Europeo 2000-2006 a sostegno dell’occupazione”:

D. Sui giornali, ieri, si è letto che il proposito di sopprimere l’Isfol è rientrato e che invece ad esso verrà accorpato lo IAS. Dunque, potete tirare un sospiro di sollievo…
R. Vi premetto che il problema non è solo l’Isfol ed il suo futuro. In una situazione di grave crisi economica, come l’attuale, la Manovra del governo va a colpire degli istituti che, in ultima analisi, potrebbero contribuire a far riemergere questo paese. Per noi il pericolo più grave sembra scongiurato, ma il solo fatto che si sia pensato di sopprimere l’ente è di per sé grave. E’ inaudito, poi, che sia ancora attuale la prospettiva dello smantellamento di enti come l’ISAE (Istituto di studi e analisi economica). Dunque, la circostanza per cui ci siamo “salvati” non ci toglie le preoccupazioni, anche in quanto cittadini. Inoltre, nello specifico i termini in cui si darà l’accorpamento non sono chiari. Non sono chiari per un ente come il nostro, il cui personale è per la metà o quasi a tempo determinato (si parla di 270 persone) e soprattutto non sono chiari per lo IAS. L’unica cosa che risulta evidente è che il governo è mosso dalla necessità di ridurre i costi: nelle sue decisioni pesano le sole emergenze contabili ed esso non sembra avere alcuna seria idea sulla ricerca. Noi non contestiamo l’urgenza della riduzione degli sprechi: il venire meno degli sprechi può contribuire ad un miglior futuro per la ricerca, soprattutto se si colloca un quadro in cui vi sia un minimo di progettualità. Invece ci troviamo in una situazione in cui lavoratori qualificati, che hanno un curriculum di livello europeo, ad intervalli regolari vengono sottoposti a prospettive che vanno dalla soppressione dell’ente per cui fanno ricerca ad una sua riorganizzazione legata esclusivamente alla necessità di comprimere i costi. Siamo lontani anni luce dalla stabilità…ma il ricercatore non è un capitano di ventura, bensì uno che deve avere la possibilità di sviluppare un lavoro di analisi a medio-lungo termine. Creargli una situazione di perenne incertezza, vuol dire tarpare le ali alla ricerca.

D. A tuo avviso, perché il Governo attacca proprio gli Enti Pubblici di Ricerca?
R. Le motivazioni sono due. La prima è che il governo ha una possibilità di intervento diretto sulla Pubblica Amministrazione, a cui enti come il mio si legano. Dispone, per meglio dire, delle leve giuridiche per poter immediatamente comprimere i costi legati al personale ecc. Vi è poi un motivo politico: istituti come il mio evidentemente non sono ritenuti un significativo bacino di consenso per i partiti, non portano voti, insomma.

D. Nonostante per voi si parli di uno scampato pericolo, siete in piazza. Come vi muoverete in futuro, anche rispetto ai più sfortunati colleghi dello IAS?
R. La nostra situazione è in evoluzione, per cui non vi posso anticipare quelle che saranno le nostre prossime iniziative. Ad ogni modo, a manifestazioni come quella di oggi continueremo a partecipare e non mancherà la nostra solidarietà nei confronti di chi lavora nell’istituto che viene accorpato al nostro. Ciò, perché partiamo da una precisa posizione di principio: la ricerca pubblica va assolutamente difesa.

Dialogo con un gruppo di precari “storici” dello IAS.

D. Sui giornali di ieri, si parlava di una confluenza dell’Istituto Affari Sociali nell’Isfol. Come giudicate questa operazione, che è stata dichiarata necessaria perché il vostro sarebbe un ente piccolo e dalla scarsa attività?
R. Ci pare che la Manovra anticrisi, rispetto al nostro ente come ad altri, si muova solo nell’ottica di una riduzione dei costi, senza un ragionamento concreto sul terreno della ricerca. Ed è un peccato, perché il nostro ente non è quello che è stato sommariamente descritto, non è un ente “senza storia”. Esso invece viene da lontano, perché in realtà nasce nel 1922, con la denominazione di Istituto Italiano di Medicina Sociale (IIMS). La sua “mission” – se vogliamo usare questa parola che non ci piace – comincia a mutare nel periodo in cui Paolo Ferrero era Ministro della Solidarietà Sociale. Nel novembre del 2007, un Decreto della Presidenza del Consiglio, cambia anche la denominazione dell’ente, che da allora inizia ad avere un profilo meno chiaro. Ma con Ferrero, a dire il vero, vi era ancora un minimo di progettualità ed anche, almeno sulla carta, l’idea che i precari dovessero essere stabilizzati. Con Sacconi siamo approdati ad una situazione più critica. Peraltro, questo ministro ha pensato di legare il nostro ente alle politiche sociali territoriali, nella discutibile ottica federalista che è propria dell’esecutivo attuale.
Ipoteticamente, oggi ci dovremmo occupare di immigrazione e disabilità, ma sulla base di progetti alquanto vaghi. In sostanza, negli ultimi anni c’è stato un problema di sottoutilizzazione e di mancata valorizzazione di tante competenze storiche, di tante persone di grande professionalità e preparazione.

D. Voi siete un gruppo di co.co.co…L’ente utilizza parecchio le forme contrattuali atipiche e le collaborazioni esterne?
R. Sì, negli ultimi anni molte attività sono state svolte dagli esterni. A parte noi, 15 “contrattisti storici”, lo IAS (che ha solo 34 dipendenti) utilizza spesso lo strumento delle collaborazioni.

D. Come sono i rapporti tra voi e i dipendenti dell’ente?
R. A dire il vero, ci hanno sempre sostenuto. La nostra istanza di stabilizzazione, all’interno dello IAS, ha sempre trovato udienza. Il punto è che, nel quadro attuale, mancano gli interlocutori politici perché essa si traduca in realtà. Comunque, in un momento in cui si decidono le sorti dell’ente, di sicuro continueremo la interlocuzione e la iniziativa comune con i ricercatori.

A cura de Il Pane e le rose - Collettivo redazionale di Roma.

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