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Fiat voluntas Usa

Fiat voluntas Usa

(24 Settembre 2012) Enzo Apicella
Nel suo discorso all'Unione Industriale di Torino Marchionne addossa le colpe della crisi Fiat all'Italia che non si libera dalle zavorre.

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Marchionne, pappagalli e burattini

(2 Luglio 2010)

In un’osteria della Liguria, ci raccontavano i nostri vecchi, c’era un pappagallo che, quando un avventore usciva, gli chiedeva, ovviamente in vernacolo: “Hai pagato?”. Quel simpatico animale non sapeva di essere la voce del padrone.

Oggi quel pappagallo non c’è più, ma c’è chi è disposto a svolgere lo stesso compito, in piena coscienza di quello che sta facendo. Per esempio, può capitarci di leggere: “Per anni, si è giustamente rimproverato alla Fiat di inseguire logiche di pressoché esclusiva tutela dei propri interessi: cassa integrazione, incentivi, spostamento all'estero di produzioni, e così via. Ora che finalmente, a partire dalla vicenda Pomigliano, si può aprire una pagina diversa (produzioni che tornano in Italia, lavoro per tanti dipendenti, rilancio di aree territoriali che ne hanno un gran bisogno), tutte le organizzazioni sindacali (meno una) mostrano senso di responsabilità, spirito di modernizzazione, e attenzione vera alla salvaguardia dei posti di lavoro (Adnkronos, 25 Giugno 2010 ,Capezzone). “E' grave che Bersani dia ancora una volta copertura e sostegno alla Cgil”. “Questo Pd e questa Cgil rappresentano una linea politica inimmaginabile in un serio paese dell'Occidente avanzato: l'effetto delle loro ricette sarebbe quello di portarci dritti verso un esito 'greco', tra perdite massicce di posti di lavoro nel privato, assunzioni insostenibili nel pubblico, e il mix tasse alte - spesa alta - debito alto". (Sciopero Cgil: Capezzone (Pdl), vogliono deriva greca - Rassegna.it, 25 giugno 2010).

Perché Capezzone ha un’aria così seria, e non sorride mai? Essendo ben cosciente di ciò che dice, il sorriso potrebbe trasformarsi in uno scoppio di ilarità, e sarebbe la fine della sua funzione di portavoce.

Capezzone, come quasi tutti gli esponenti (di centro destra o di centrosinistra, sindacalisti in testa) finge di credere che Marchionne sposti la produzione della Panda dalla Polonia, dove i salari sono molti più bassi, accollandosi in più pesanti spese di riconversione. Lo potrebbe fare solo se lo stato si accollasse le spese. Tra l’altro, le accuse al Pd e alla direzione della CGIL di essere contro la FIAT sono pura fantapolitica. In realtà, Bersani chiede di “predisporsi tutti ad un dialogo che metta in condizione, con calma, ragionando seriamente, di creare più condivisione, cercando nell'applicazione ed evoluzione dell'accordo la possibilità di creare più consenso; questa è l'unica strada”. Applicare con calma l’accordo? Gli potrebbero dare la tessera della UIL ad honorem. Ed Epifani, il chiaroveggente, che aveva previsto un solo risultato, la vittoria dei sì? Se questa è l’opposizione alle pretese della Fiat, c’è da stare allegri.

Addirittura adorante in ginocchio Giuseppe Farina, segretario generale della Fim Cisl. In un comunicato stampa intitolato “Accordo FIAT Pomigliano: per fortuna che c’è!” (della serie: meno male che Silvio c’è!):

“Senza l’accordo, oggi staremmo tutti in fila - lavoratori, anche quelli iscritti alla Fiom, sindacalisti, politici, governo e amministratori locali - a rincorrere e implorare la Fiat e Marchionne perché ci ripensino e non abbandonino il Progetto Panda a Pomigliano. L’accordo era quindi inevitabile e senza alternative.” (Roma, 21.6.2010 Ufficio Stampa Fim-Cisl).

Forse il valente sindacalista ha scambiato l’amministratore delegato per la madonna, ed è un esempio inequivocabile della servile soggezione di sindacalisti, politici, governo, ecc. al capitale.

In realtà, il vero elemento attivo della produzione è l’operaio, e se solo cessasse il lavoro i costosissimi impianti farebbero la fine di quegli edifici, costruiti a centinaia con soldi pubblici, che vengono abbandonati, e che “Striscia la notizia” va a scovare frequentemente. Il lavoro, non solo produce plusvalore, che va a riempire le tasche degli azionisti, ma conserva anche il valore degli impianti, che altrimenti, anche se perfettamente conservati, diventerebbero ben presto obsoleti.

Il rapporto alienato che c’è nelle società di classe fa apparire lo sfruttatore capitalista come un benefattore, uno che dà il lavoro (datore di lavoro), e chi effettivamente produce, in città o in campagna, viene sempre più schiacciato da una piramide sociale, che dovrà essere ribaltata, se non si vuole che tutti i benefici dello sviluppo, della tecnica e della scienza vadano perduti per la stragrande maggioranza dell’umanità.

Veltroni è in apparenza più sobrio: intervistato da Maria Teresa Melfi (Corriere della Sera), afferma: “Questo accordo mi sembra inevitabile: è molto duro, però non avviene sotto un ricatto, bensì a causa di una condizione obiettiva che è figlia della nostra globalizzazione diseguale. Come sempre, bisogna mettere sul piatto della bilancia le due alternative: o si rinuncia come Paese a 700 milioni di investimenti e a 15 mila posti di lavoro nel Mezzogiorno, oppure ci si confronta con una sfida, sicuramente difficile dal punto di vista delle relazioni sindacali, e si cerca di trovare il punto più alto di equilibrio tra le esigenze dell' azienda e i diritti dei lavoratori, il primo dei quali è il diritto di sciopero.”

Il ricatto, di carattere oggettivo, è nei fatti. Il monopolio dei mezzi di produzione da parte dei capitalisti pone l’operaio di fronte a una scelta, che è “libero” di fare: o accettare le condizioni del capitale o la fame. Anche gli inquisitori medievali, quando estorcevano una confessione di eresia a un poveraccio torturato col fuoco, dicevano che la coazione non annullava il libero arbitrio (coactus voluit, sed voluit). Sono le condizioni di lavoro che dettano legge ai salariati, anche se il singolo capitalista ci può aggiungere del suo. Marchionne, perciò, è soltanto un funzionario del capitale, e ogni esaltazione fa parte del solito culto della personalità, che ha la precisa funzione di celare i rapporti sociali reali dietro miti.

“...voglio ricordare - continua Veltroni - che la Fiat qualche anno fa sembrava sull'orlo del collasso, ora è un azienda che ha comprato Chrysler, è un azienda in sviluppo che ha investito in Italia molti milioni di euro, è uno dei pochi pezzi d'Italia che invece di essere acquistata, acquista e vuole passare, in cinque anni, da 700.000 a 1.600.000 auto prodotte nel nostro Paese”.

La Fiat si è ripresa anche per le abbondanti iniezioni di soldi pubblici, per esempio le frequenti rottamazioni che, a dir loro, avrebbero motivazioni ecologiche. Dietro l’affare con la Chrysler, poi, c’è Obama. Per ora ci sono due direzioni, una a Torino e un’altra a Detroit, ma siamo sicuri che Obama pensi di lasciar prevalere la prima? Marchionne è nato in Italia, ma si è formato in Canada, e non avrebbe problemi a trasferirsi negli USA. Oggi l’industria automobilistica in Europa e in America ha capacità produttive troppo grandi per il mercato locale, e Cina e India non hanno nessuna intenzione di farsi colonizzare. Perciò la sopravvivenza è possibile con l’aiuto statale. Gli Stati Uniti hanno molti più capitali dell’Italia, quindi Detroit comanderà e Torino dovrà obbedire.

Abbiamo già parlato dell’improbabilità del trasferimento della Panda, ma ancora più incredibile è l’idea di una produzione che da 600.000 vetture passi a 1.600.000. Non che la cosa sia tecnicamente impossibile, l’Italia nel 1970 era il quinto produttore mondiale di autovetture, ne produceva più di 1.700.000. Poi il monopolio FIAT ha ingoiato le altre imprese concorrenti, private e statali, con l’aiuto di Prodi, si è consolidato a furia di contributi statali, che sono serviti a spostare la produzione in altri paesi, riducendola a meno della metà in Italia. Fautori della decrescita, la FIAT è l’impresa che realizza i vostri sogni!

La produzione capitalistica non è vincolata ai bisogni reali, lesina prodotti indispensabili, ne produce a dismisura altri socialmente inutili e dannosi. Difficile prevedere quanto sarà la richiesta del prodotto, assurdo farlo in un momento di crisi. Queste cifre date da Marchionne hanno valore puramente propagandistico.

Veltroni cerca un punto di equilibrio tra impresa e lavoratori, tra capitale e lavoro. Ma il capitale è in permanente squilibrio col mercato – le crisi hanno alla radice la sovrapproduzione, anche se le loro manifestazioni esteriori partono dalla finanza. Non solo: espropriando le classi medie, i contadini, e anche settori della borghesia vera e propria, il capitale crea sempre nuovi proletari, ben oltre le esigenze della produzione, che sono soggiogati dal capitale stesso, anche quando non riescono a trovare lavoro. Infatti, con lo sviluppo economico, il capitale iniziale per un’attività in proprio cresce sempre più, e non rimane altra alternativa che offrire la propria forza lavoro in cambio di un salario. E persino essere salariato di fatto, ma doversi dichiarare “libero professionista”, per esentare il padrone dal pagamento dei contributi.

Veltroni per un attimo sembra scendere sul terreno classista, e parla di operai “che stanno alla catena di montaggio, che si vedono ridotto di dieci minuti il tempo di pausa, di persone di cui viene misurato lo spostamento del bacino per valutarne la produttività”. Effettivamente, lo sviluppo delle forze produttive costringe l’operaio a compiere maggior lavoro nello stesso tempo, ad un impegno che mette in pericolo la stabilità dei suoi nervi, le pause vengono sempre più ridotte, i pori del tempo di lavoro sono riempiti. Si è fatto il paragone con “Tempi moderni” di Charlot, ma in quella situazione l’operaio almeno si muoveva, mentre ora, dalla vita in giù, diventa una statua, dalla vita in su, un robot.

Veltroni, però, non si sofferma troppo sulla condizione degli operai, se ne dimentica subito e dice che occorre occuparsi delle questioni più delicate, cioè il diritto di sciopero (e va bene) e le misure di contrasto dell’assenteismo. Eppure, negli ultimi anni, l’assenteismo di Pomigliano non è stato superiore alla media. Forse Marchionne è ventriloquo, e, a un certo punto del discorso, la sua voce sostituisce a quella di Veltroni. Almeno la Pizia, quando parlava, era ispirata da Apollo, mentre questi notabili sono casse di risonanza del capitale.

E, a conferma, Veltroni chiede il patto tra i produttori. Gli imprenditori – dice – sono lavoratori, e fa l’esempio di “un imprenditore che magari è un ex operaio che ha messo su una piccola impresa e che sbatte la testa tra una giustizia che ci mette anni a decidere, un sistema infrastrutturale inadeguato e una pressione fiscale esagerata non può essere considerato, e non è considerato, dai suoi lavoratori un nemico o un avversario: il destino dell'uno è legato al destino degli altri e viceversa. Se il centrosinistra vuole cambiare radicalmente il Paese deve proporre questo patto”.

A parte il fatto che, nella stragrande maggioranza dei casi, l’operaio che diventa padrone si comporta esattamente come gli altri imprenditori, queste vecchissime storielle interclassiste servono solo a coprire l’alleanza, anzi la subordinazione ai grandi capitalisti, a cominciare da Marchionne. L’interclassismo è sempre stato il mascheramento della politica borghese, ma la DC lo sapeva fare, il PD fallisce anche in questo.

Tra i plaudenti non dimentichiamo il ministro Sacconi, che esprime “fiducia nella nota determinazione di un manager come Marchionne che saprà certamente rispettare il patto che ha siglato con i sindacati che hanno avuto il coraggio di decidere”. E aggiunge:

“Pomigliano fa scuola nella disponibilità delle parti sociali a trovare sempre più specifiche soluzioni nelle condizioni aziendali”, altrimenti “succede che solo lo sciocco guardi il dito e non la luna”.- Italia-News.it, 23/06/2010

Il progetto Marchionne non significa soltanto completo assoggettamento dei lavoratori, ma anche miliardi da parte dello stato. Sacconi cita un detto orientale, ma ne capovolge il senso: invita a guardare la luna perché non si guardi il dito, o meglio la mano della FIAT, che ha preso, prende e prenderà soldi dallo stato.

1 luglio 2010

Michele Basso

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