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(6 Ottobre 2017)
Il problema fondamentale per noi comunisti non è mantenere l'unità dello stato spagnolo, e neppure favorire la secessione catalana, ma lavorare per l'unità dei lavoratori spagnoli e catalani. La prima parola d'ordine, la più urgente, è la lotta contro la repressione condotta dall'erede del franchismo Rajoy e dal Borbone. Se Rajoy vince, ci sarà lo stato d'assedio di lunga durata, formale e reale in Catalogna, e di fatto, anche se non proclamato formalmente, nel resto del paese. A questo mirava Rajoy, ad avere un potere forte, per realizzare le pseudoriforme richieste dalle multinazionali, fatte proprie dalla UE. Se questa politica passa, non è esclusa la guerra civile.
Se invece i lavoratori riescono a dare una dura lezione al governo, a cacciarlo, ci sarà spazio per un confronto non cruento. Probabilmente, solo la caduta della monarchia potrebbe convincere i catalani a restare. Una repubblica federale sarebbe ciò che vuole il piccolo borghese, per i comunisti sarebbe solo un primo passettino: i comunisti "devono spingere all'estremo le misure proposte dai democratici, che ad ogni modo non si presenteranno come rivoluzionari, ma solo come riformatori, e trasformarle in attacchi diretti alla proprietà privata", scrivevano Marx ed Engels nell'Indirizzo del Comitato centrale della Lega dei comunisti, e questo vale ancor più oggi di allora, perché l'economia è matura per il socialismo.
Per molti compagni, tra monarchia e repubblica non c'è differenza, perché, secondo loro, tutti i regimi borghesi sono uguali. Pochi hanno presente la rabbia che provocarono in Engels gli articoli del lassalliano Hasenclever, che in seguito al tentativo di colpo di stato di Mac Mahon, commentava che era indifferente per i lavoratori lottare nell'ambito di una repubblica o di una monarchia.Tra l'altro, la monarchia spagnola è stata riesumata da Franco, e fortissimi residui della prassi franchista rimangono, soprattutto nell'esercito e nella burocrazia. L'impiego dell'esercito contro la folla è il primo passo verso il colpo di stato.
La frattura interna alla borghesia può avere conseguenze diverse: se il proletariato si fa influenzare dai nazionalisti, la sciagura è inevitabile, ma se approfitta dei contrasti interborghesi, può rafforzarsi politicamente e cominciare a costruire il partito di classe, in tal caso le prospettive non sono così sfavorevoli.
All'interno dei secessionisti catalani, bisogna distinguere: la borghesia vuole uscire dalla Spagna, ma non dalla UE. La UE è una galera di popoli, è come se un detenuto, invece di cercare di liberarsi, chiedesse di lasciare una cella in coabitazione per ottenere una cella separata. In queste condizioni, il nuovo stato rischia di diventare politicamente un puro strumento degli USA, o della Germania, o di entrambi, economicamente una succursale delle multinazionali. La piccola borghesia, e quei lavoratori che sono sulle posizioni piccolo borghesi, vogliono la fine del peso della burocrazia, un sistema sanitario efficiente, una scuola che non sia un posteggio per giovani disadattati, un'amministrazione che non rubi. Illusioni, sotto il regime della borghesia. Un neo- lassalliano direbbe che inevitabilmente la piccola borghesia segue la grande borghesia, perché è tutta una massa reazionaria. Se fosse sempre così, non ci sarebbero mai rivoluzioni. I comunisti non devono mai rinunciare a conquistare i proletari arretrati su posizioni piccolo borghesi e persino la parte più avanzata della piccola borghesia. Conquistare non vuol dire adeguarsi, e non c'è nessuno che si adegua di più del settario che rinuncia a ogni azione perché "tanto sono piccoli borghesi!"
Un grande stato ha molti vantaggi, se non è eccessivamente burocratico e non reprime le minoranze. La secessione non è un dramma se avviene in forma non cruenta e non scava fossati invalicabili tra i popoli.E soprattutto se un forte partito proletario impedisce alla borghesia di trasformare il paese in un paradiso fiscale o in un nuovo Kosovo. Perché, proclamazioni retoriche a parte, la politica delle borghesie dei piccoli paesi consiste nel vendere il proprio proletariato al miglior offerente.
Michele Basso
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