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Uccidevano per divertirsi

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(28 Settembre 2010) Enzo Apicella
Soldati usa in Afghanistan

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Afghanistan. La macabra partita di morte

(20 Settembre 2010)

Quanti dei cinquantamila afghani schiacciati dalle bombe della Nato siano Taliban non è dato sapere. A quasi cento e otto mesi dall’avvio dell’Enduring Freedom l’Occidente continua ad aggiornare la tragica lista delle proprie vittime che oggi sfiora le 2000 unità e purtroppo - come per le etnìe pashtun, tajika, hazara, uzbeca - è in continuo aumento. Nella macabra partita della morte il soldato Rayan paga il tributo maggiore con 1.200 bare riportate a casa. Seguono 332 britannici, 151 canadesi, 49 francesi, 47 tedeschi e ora anche noi, come gli spagnoli, segnamo 30 croci. Non tutti crepano per i proiettili talebani: il 23 giugno il caporal maggiore Francesco Saverio Positano si spegneva per un trauma cranico ricevuto cadendo da un blindato. Il 25 luglio c’è stato il trapasso d’un altro militare italiano che si sarebbe suicidato con un colpo di pistola nel presidio operativo di Kabul.

L’ultimo lutto ha il nome di Alessandro Romani, l’incursore ucciso a Farah durante uno scontro con ribelli che minavano il terreno. Alle sue esequie ieri nella capitale hanno partecipato le massime autorità dello Stato. Romani, come altri duecento militi della Task Force 45 (parà del Col Moschin e della Rao, marò del Comsubin, Ranger del 4° Alpini, Carabinieri del Gis) pare non fosse neppure conteggiato fra i 3.500 nostri soldati cui governi e Parlamento rinnovano dal 2003 presenza e finanziamenti per la missione Isaf. Questo gruppo, operativo dal 2006 e considerato l’élite nazionale più consistente inviata negli ultimi anni in aree di crisi, aveva iniziato a collaborare col Delta Force statunitense e le Sas britanniche dai tempi dell’operazione Sarissa. E’ noto come i militi addetti a tali strutture godano di flessibilità, autonomia e copertura individuale rispetto ai normali commilitoni e agli stessi comandi generali. Le loro operazioni di “lotta ai terroristi” si sono rivolte anche contro quella popolazione civile che vede nei “terroristi” – d’orientamento talebano o meno – i resistenti a un esercito occupante.

E’ questo uno dei motivi che creano osmosi e reclutamento fra guerriglia e gente di Kabul costretta a vivere con neppure mezzo dollaro al giorno e quella delle campagne che racimola anche meno. Attorno a simili nodi i droni Predator, gli elicotteri Sh-3d e tutta la tecnologia di cui le truppe d’assalto, anche le nostre, si dotano servono a poco e non frenano la macelleria afghana. Anzi la incentivano. E i giovani come i Reza o gli Alen incontrati nella buca dell’Ostiense e di cui abbiamo narrato le storie, fuggono anche dall’orrore di finire vittime del fuoco della democrazia occidentale o d’essere costretti a combatterla, reclutati dai Taliban e dai Signori della guerra. I primi nemici di Obama, gli altri attuali alleati che assistono all’odierna mattanza pronti a far risuonare i kalashnikov appena i 150mila yankee in divisa voleranno via. Tutto ciò forse non sfugge neppure agli incursori nostrani vittime sacrificali d’una “missione di pace” nata senza futuro e oggi avvinghiata a una ragione di Stato né italiana né europea.

20 settembre 2010

Enrico Campofreda

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