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Afghanistan: l’Italia manda altri 150 militari per sostituire i soldati Nato falcidiati dagli attacchi talebani. I dati smentiscono Karzai: le elezioni una farsa e un fallimento

(21 Settembre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

21-09-2010/12:59 --- Falco Accame, presidente dell'Anavaf - un'associazione che tutela i familiari delle vittime arruolate nelle Forze armate – ha chiesto ieri di chiamare guerra quella in cui sono impegnati i militari italiani in Afghanistan, rimuovendo una ipocrisia che impedisce che i familiari dei ‘caduti’ italiani percepiscano una adeguata compensazione come previsto dal codice militare di guerra. Una richiesta che rimarrà inascoltata, visto che la Costituzione italiana ‘ripudia la guerra’ e che per ora le forze politiche che hanno sostenute le missioni militari all’estero non hanno ancora avuto modo di cambiare l’articolo 11. Per di più, chinando la testa di fronte alle richieste di una Alleanza Atlantica sempre più in difficoltà dal punto di vista militare, il ‘ministro della guerra’ Ignazio La Russa ha annunciato l’invio nel paese occupato di altri 150 militari, per la precisione Carabinieri. La scusa per aumentare l’impegno bellico italiano è che i nuovi arrivati saranno destinati all’addestramento dei soldati afghani. E a dimostrare quanto siano in difficoltà le forze occupanti di fronte all’avanzata della guerriglia talebana (e non solo) la notizia di oggi di nove soldati stranieri morti nel sud del paese a causa della caduta di un elicottero. "Non abbiamo alcuna informazione di fuoco nemico in zona, indaghiamo sulle cause dell'incidente" temporeggia la Nato in un comunicato. Ma immediata è giunta la rivendicazione dei talebani che hanno affermato di aver abbattuto il velivolo nel distretto di Daychopan. Salgono così a 529 le vittime tra i militari stranieri dall’inizio di gennaio, facendo del 2010 l'anno più cruento da quando, nove anni fa, è cominciata la missione Enduring Freedom con i bombardamenti e l’occupazione del paese.
Intanto si è già spenta l’artificiale euforia per il ‘successo’ delle elezioni parlamentari di pochi giorni fa. A poco è servita la campagna stampa orchestrata da alcuni media internazionali che mostravano inesistenti file ai seggi e parlavano di una tornata elettorale che riportava finalmente il paese alla normalità. Sono bastate poche ore per dare una foto realistica di quanto avveniva nel paese, dove la maggior parte degli elettori hanno disertato le urne – per paura, per disinteresse, per opposizione e sfiducia nei confronti dei nuovi padroni, poco importa – e dove migliaia di seggi non hanno affatto aperto i battenti o sono stati chiusi poco dopo l’inizio delle operazioni di voto vista l’impossibilità di andare avanti. Secondo la propaganda ufficiale della Nato e del governo Karzai, diligentemente ripresa dai mass media occidentali, le elezioni parlamentari afgane di sabato avevano visto un’affluenza del 40%, cioè il 10% in più rispetto alle presidenziali del 2009. Ma i conti non tornano: secondo gli stessi dati ufficiali, fa notare Enrico Piovesana di Peacereporter, i voti espressi, sulla carta, sarebbero stati quattro milioni: quasi un milione in meno rispetto all'anno scorso, quando l'affluenza sfiorò appena il 30 per cento. Com'è possibile? Semplice: la Commissione elettorale afgana 'indipendente' - solo di nome - ha stabilito il numero degli aventi diritto al voto a circa 11 milioni e mezzo, mentre nel 2009 erano 17 milioni. Nei fatti quindi oltre cinque milioni di potenziali elettori afgani sono stati cancellati con un colpo di bacchetta magica. Tenendo conto di questa maxifrode a monte, quindi, sulla carta l’affluenza è stata solo del 24%. Ma, fa notare sempre Piovesana, anche questo già pessimo risultato è in realtà enormemente gonfiato.
Stando alle testimonianze dei giornalisti e degli osservatori elettorali, in moltissimi seggi sono andate a votare poche decine di persone, ma poi a fine giornata le urne si erano miracolosamente riempite di centinaia di voti.
“A Desht-e-Top, in provincia di Wardak, non lontano dalla capitale, il seggio ha chiuso dopo sole quattro ore, dopo che si erano fatti vivi solo una ventina di votanti. Alcuni uomini, pagati da un candidato locale, Hajji Wahedullah Kalimzai, hanno poi riempito le urne con centinaia di voti a suo favore, impedendo l'accesso agli osservatori. Nei distretti di Chak e Saydabad, nella stessa regione, le urne si sono riempite di voti ancora prima dell'apertura dei seggi: gli agenti della polizia locale, che la notte prima delle elezioni erano di guardia ai seggi, hanno avuto tutto il tempo per riempire le scatole di schede votate a favore di Hajji Akhtaro, il ras della zona. Nel villaggio di Nasajee, vicino a Kandahar, le donne non escono mai di casa, ma sabato avrebbero votato addirittura 900 elettrici: tutte per lo stesso candidato, Amir Lalai, uomo di Wali Karzai, il fratello del presidente che domina la regione. Nessuno le ha viste recarsi al seggio, allestito abusivamente in una casa privata”. Sono solo alcuni degli esempi riportati dal sito vicino ad Emergency e provenienti da un rapporto stilato dai settemila osservatori elettorali afgani della Free and Fair Election Foundation of Afghanistan.
Secondo l'inviato di Al Jazeerà, uno dei pochi ad aver monitorato veramente la situazione di Kandahar, nel seggio più importante dell'ex capitale talebana erano registrati 1.080 elettori (in maggioranza uomini) ma solo 200 si sono poi recati effettivamente alle urne. Per non parlare delle aree più remote sotto controllo talebano dove, assai probabilmente, nessuno è uscito di casa. Ma il vero problema di un'ennesima tornata elettorale farsa è rappresentata dalle frodi, dalle schede truccate o già votate stampate in Pakistan a centinaia di migliaia, e da un diffuso fenomeno di compravendita di voti o di clientelismo. Se è vero quanto riferito ad Al Jazeera da un membro della commissione elettorale, e cioè che in alcune zone le frodi hanno superato il 50%, quelle appena tenute sarebbero le elezioni più falsate della storia dell’Afghanistan ‘liberato’. Commenta Emanuela Giordana di Lettera 22: “In realtà si tratta di quello che queste elezioni sembravano sin dall'inizio: un buco nell'acqua in gran parte annunciato. Sia perché gran parte del paese vive nell'insicurezza e nella paura, sia perché la considerazione che la società ha del palazzo, dunque la fiducia nelle istituzioni post talebane, non è molto elevata e dunque una certa parte deve averla giocata la disillusione per le promessa mai mantenute di una democrazia che si è rivelata più forma che sostanza. Dare una valutazione serena resta comunque praticamente impossibile in un paese in guerra dove andare a votare significa anche rischiare la vita”.

Marco Santopadre, Radio Città Aperta

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