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(1 Marzo 2011) Enzo Apicella
Un altro soldato italiano ucciso in Afghanistan. I soliti discorsi ipocriti

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Summit Nato: l’impossibile exit strategy dall’Afghanistan

(19 Novembre 2010)

soldati USA

Un punto nodale che gli uomini di Washington presentano agli alleati Nato nel vertice di Lisbona, assieme al riassetto strategico in Europa e al rapporto con la Russia, è l’exit strategy delle truppe Isaf dal territorio afghano. Ma per loro ammissione esso è un obiettivo non una certezza. L’annunciato ritiro di taluni reparti sin dal luglio prossimo potrebbe essere un’idea già accantonata perché la nazione statunitense non sembra mostrarsi unanimente concorde. La divisione non è fra i generali alla Petraeus che guardano al 2014 come graduale data del disimpegno e certi colleghi che lì resterebbero ad libitum. E neppure fra i politici, visto che un sostegno interventista avvicina trasversalmente conservatori ringalluzziti dalle elezioni di medio termine e taluni democratici votati a recuperare gli sbandamenti pacifisti obamiani bollati come un cedimento al terrorismo. E’ che dalle sabbie mobili di questo conflitto l’America rischia di non poterne uscire perché quella zona continuerà a essere un nodo imprescindibile della politica estera mondiale che l’Enduring Freedom ha paradossalmente reso ancora più instabile. L’affanno palese con cui Washington si muove è agli occhi di molti osservatori una conseguenza sia dell’inefficacia delle sua tattica militare, sia dell’inconsistenza di una strategia politica nell’area dove s’affacciano i due colossi del mondo in divenire: India e Cina.

Mentre tali potenze auspicano a scopo di business una pacificazione, le forze regionali pakistana e iraniana possono soffiare sul fuoco o smorzare gli incendi secondo i vantaggi che ne riceveranno. I rapporti della Casa Bianca con Islamabad e Teheran risentono di continui alti e bassi, come dimostrano il recente viaggio filo indiano di Obama che ha fatto oscurare il volto a Zardari e la proposta di scudo missilistico europeo antiraniano lanciato dagli Usa proprio nel summit lusitano. La maretta con l’alleato Karzai, che ha stimmatizzato addirittura sul Washington Post la ripresa dei bombardamenti nella fase in cui sono in corso consultazioni col nemico, conferma che il gigante yankee naviga a vista provandole tutte o peggio che in totale schizofrenia strategica usa contemporaneamente dialogo e guerra spietata. Attorno all’ennesima apertura ai Taliban, una componente di analisti internazionali sostiene come la mossa della mediazione di cui è investito il presidente pashtun serve solo alla propaganda statunitense per controbilanciare le proprie lacune militari. Reclamizzare la sottomissione ai colloqui dei convitati (ipotizzati perché la certezza della notizia è labile) mullah Baradar e Abdul Kabir, combattenti ora moderati della Shura di Quetta che sarebbero stati trasportati da elicotteri Nato a Kabul, farebbe comodo solo al faticoso procedere di Obama.

La continuazione degli scontri armati, a volte offensivi altri difensivi, in varie zone del Paese fa pensare che parecchie componenti Taliban, aderenti al fronte intransigente di Haqqadi o autonome, non si riconoscono affatto in simili trattative, non accreditano più quei leader, residenti o detenuti in Pakistan, di alcuna rappresentatività. Né abbandoneranno kalashnikov e Ied. In tal senso risultano agli antipodi i trionfali rapporti militari di Petraeus e i dati offerti da diverse Ong presenti in Afghanistan che testimoniano un “aumento del 59% dell’offensiva talebana, con tecniche di reclutamento al nord mentre le contro-insurrezioni lanciate dall’Isaf a Kandhar ed Helmand non riducono la capacità di combattere dell’Emirato Internazionale Afghano (denominazione usata dai guerriglieri, ndr)”. Per tacere il fatto che nel 2010 vittime e feriti occidentali sono saliti vertiginosamente stabilendo tristi primati di morte. Tutti i piani annunciati di formare esercito e polizia locali, coi grandi numeri di 240mila soldati e 160mila agenti che fra il 2014 e il 2016 subentrerebbero alle truppe Nato, incontrano da mesi gli intoppi della defezione di uomini che smettono la divisa a favore delle rodate milizie mercenarie dei Signori della Guerra. Questi hanno dalla loro denaro, radicamento locale e vincoli etnico-tribali con cui attirare l’afghano medio.

Un esempio di ciò che si organizza lo offre l’Alto Consiglio di Pace con cui Karzai prova a rendere realistico un futuro che potrebbe essere un’àncora di salvezza esclusivamente per se stesso e per un’élite di comando. La struttura risulta ancora più articolata del Parlamento per i soliti noti, vi compiono volti e nomi della recente storia afghana: capi mercenari, leader tribali, talebani della prima ora, antitalebani e funzionari corrotti, tutti uniti dall’interesse per il potere e gli affari. Tutti tranne chi pensa alla sorte della gente comune. Perciò l’orizzonte afghano con cui Usa e Nato sono chiamati a fare i conti continuerà a essere un variegato panorama interno disponibile alle ingerenze esterne. Con una concorrenza che s’allarga a medie e grandi nazioni e una conflittualità destinata ad ampliarsi.

Enrico Campofreda

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