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A Lisbona il via alla Nato globale. Pacifisti stranieri respinti alla frontiera

(19 Novembre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

A Lisbona il via alla Nato globale. Pacifisti stranieri respinti alla frontiera

foto: www.radiocittaperta.it

Redazione Radio Città Aperta

19-11-2010/13:04 --- Stavano andando in Portogallo per partecipare alle proteste organizzate in occasione del vertice Nato che si è aperto questa mattina nella capitale portoghese e che durerà fino a domenica. Ma sono stati bloccati al confine. Lo hanno denunciato i portavoce del Coordinamento Internazionale anti-Nato (Icc), che precisano che fra i trattenuti alla frontiera c'è il giurista tedesco Lucas Wirl, uno degli organizzatori del controvertice, poi costretto a ripartire per Berlino. Stessa sorte è toccata a 39 pacifisti finlandesi bloccati in autobus fra Spagna e Portogallo e un appartenente al movimento per l’obiezione di coscienza ‘Moc’. La deroga al trattato di Schengen è stata disposta da martedì scorso da parte dalle autorità portoghesi. Ma le misure repressive non fermano la protesta che si annuncia di massa: i movimenti pacifisti, antimilitaristi e di sinistra hanno annunciato una partecipazione di oltre centomila persone alla grande manifestazione che sfilerà domani per le vie di Lisbona.

A Lisbona il via alla Nato globale

Tommaso Di Francesco Manlio Dinucci (Il Manifesto)

Oggi e domani si tiene a Lisbona il summit dei capi di stato e di governo della Nato, cui partecipano per l’Italia Berlusconi, La Russa e Frattini. Uno dei vertici più importanti di quella che il segretario generale Anders Rasmussen definisce «l’alleanza che ha avuto il maggior successo nella storia». Un «successo» che costituisce la nuova narrazione atlantica, una rinnovata filosofia dell’uso della guerra, per un organismo giustificato all’origine per contenere il Patto di Varsavia. Questa nuova «storia di sé» è l’introduzione necessaria, daparte dei leader occidentali, per motivare ora la sua necessità e attualità. Così Anders Rasmuss spiega che finora la Nato ha attraversato due fasi, quella della guerra fredda e quella del dopo-guerra fredda, ed in entrambe «ha funzionato molto bene». Come negarlo?

La terza fase atlantica
Terminate la prima e seconda fase, annuncia il segretario Rasmussen, è arrivato il momento della Nato-versione 3.0, una alleanza più moderna, più efficiente e più capace di lavorare con i nostri partner a livello globale. Essa ha «una potenza militare che nessun avversario può eguagliare», basata anche sulle armi nucleari che «la Nato deve mantenere finché vi saranno nel mondo tali armi». La minaccia di un attacco militare su larga scala contro il territorio dell’Alleanza è basso, afferma Rasmussen, ma vi è il rischio di attacchi terroristici e missilistici. Oltre 30 paesi stanno infatti acquisendo la capacità di costruire missili balistici. Viene così annunciato che il summit varerà ufficialmente il progetto dello «scudo» anti-missili, che gli Stati uniti vogliono estendere all’Europa. Progetto cui la Russia si oppone, considerandolo una minaccia nei propri confronti, e che la Nato cerca di far digerire a Mosca: a tal fine ha invitato il presidente Medvedev al Consiglio Nato-Russia che si svolgerà a Lisbona subito dopo il Summit, il 20 novembre, per «approfondire la cooperazione politica e rafforzare la comune sicurezza».
Oggi, sottolinea Rasmussen, la difesa del territorio dell’Alleanza e dei suoi 900 milioni di cittadini non è circoscritta all’area delimitata dai confini. La globalizzazione ha reso le nostre economie sempre più dipendenti da forniture provenienti da tutto il mondo. Ciò significa che un attacco a queste linee di rifornimento può avere effetti drammatici sulla nostra sicurezza, nel caso ad esempio che le nostre petroliere non potessero più transitare dallo Stretto di Hormuz (all’imboccatura del Golfo Persico tra Iran e Oman). Occorre quindi investire meno nelle forze statiche, dislocate all’interno dei 28 paesi membri dell’Alleanza, e di più nelle forze mobili, in grado di essere proiettate rapidamente fuori del territorio della Nato.
La Nato è già oggi impegnata, sulla scia della strategia Usa, in diverse «missioni» militari fuori della sua area geografica: in Kosovo, dove opera per «costruire la stabilità e la pace»; nel Mediterraneo, dove conduce operazioni navali «contro le attività terroristiche»; in Sudan, dove aiuta l’Unione africana a «porre fine alla violenza e migliorare la situazione umanitaria»; nel Corno d’Africa, dove conduce «operazioni anti-pirateria» controllando le rotte marittime strategiche; in Iraq, dove contribuisce a «creare efficienti forze armate»; in Afghanistan, dove ha assunto con un colpo di mano nel 2003 la leadership dell’Isaf, impantandosi però in una guerra che ora la costringe a cercare una «exit strategy». Tanto che oggi è stato convocato a Lisbona il presidente afghano Hamid Karzai. La Nato non sembra però aver imparato nulla dalla lezione afghana: si prepara infatti a nuove «missioni» fuori area.

La mutazione genetica
Per capire il passaggio sancito dal summit di Lisbona, occorre ricordare quali sono state le prime due fasi della storia della Nato.
Attraverso di essa, durante la guerra fredda, gli Stati uniti mantengono il loro dominio sugli alleati europei, usando l’Europa come prima linea nel confronto, anche nucleare, col Patto di Varsavia (fondato nel 1955, sei anni dopo la Nato). Lo scenario cambia radicalmente quando, nel 1991, si dissolve il Patto di Varsavia, quindi la stessa Unione sovietica.
Ne approfittano subito gli Stati uniti, che riorientano la propria strategia con la prima guerra del Golfo. Premendo sulla Nato, perché faccia altrettanto: vi è infatti il pericolo che gli alleati europei effettuino scelte divergenti o ritengano perfino inutile la Nato nella nuova situazione geopolitica. Il 7 novembre 1991 il Consiglio atlantico, riunito a Roma, vara la prima versione del «nuovo concetto strategico», in cui si stabilisce che la «sicurezza» dell'Alleanza non è circoscritta all’area nord-atlantica.
Poco tempo dopo esso viene messo in pratica nei Balcani. In Bosnia, dopo il voluto fallimento dell’Onu, la Nato interviene nel 1994 con la prima azione di guerra dalla fondazione dell’Alleanza. Segue la guerra contro la Iugoslavia, nel 1999. Gli Stati uniti riescono così a far scoppiare una guerra (che avrebbe potuto essere evitata) nel cuore dell’Europa, rafforzando la loro influenza in questa regione nel momento critico in cui se ne ridisegnano gli assetti politici, economici e militari. Mentre è in corso la guerra, il vertice Nato convocato a Washington impegna i paesi membri a «condurre operazioni di risposta alle crisi non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza».
Inizia così l’espansione della Nato nel territorio dell’ex-Patto di Varsavia e dell’ex-Urss. Nel 1999 essa ingloba Polonia, Repubblica ceca e Ungheria; nel 2004 Estonia, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Romania, Slovacchia, Slovenia; nel 2009 Albania e Croazia. Viene inoltre preparato l’ingresso nell’Alleanza di Macedonia, Ucraina, Georgia e Montenegro. Emblematica la pressione Nato sul Caucaso, con il conflitto lanciato dalla Georgia a riconquista dell’Abkhazia e la guerra che ne segue con la Russia nell’estate 2008. Cresce in tal modo l’influenza Usa in Europa, poiché i governi dei paesi dell’ex-Patto di Varsavia e dell’ex-Urss, entrati prima nella Nato e quindi quasi tutti nella Ue, sono legati più a Washington che a Bruxelles.
Ora, spiega Rasmussen, si apre la terza fase. Quella di una alleanza che, sotto l’indiscussa leadership statunitense, si propone di estendere il suo dominio su scala globale. Crescerà di conseguenza la spesa militare dei paesi della Nato, che oggi ammonta a circa 1000 miliardi di dollari annui, equivalenti ai due terzi della spesa militare mondiale.

Radio Città Aperta - Roma

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