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La protesta arriva a Tunisi, altri dieci morti. Il regime traballa, voci di golpe, retata contro i comunisti

(13 Gennaio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

La protesta arriva a Tunisi, altri dieci morti. Il regime traballa, voci di golpe, retata contro i comunisti

foto: www.radiocittaperta.it

12-01-2011/21:26 --- Resta altissima la tensione in Tunisia malgrado la decisione del regime di Ben Alì di liberare i manifestanti – tranne quelli accusati dei reati più gravi - arrestati durante gli scontri delle ultime settimane, di rimuovere il ministro degli Interni, Rafik Belhaj Kacem, e di creare "una commissione d'inchiesta sulla corruzione". Il regime cerca di usare la classica carta del ‘bastone e della carota’, annunciando lo stanziamento di fondi per il varo di un sussidio ai giovani diplomati disoccupati ma schierando nelle strade della capitale e delle altre principali città i corpi scelti dell’esercito che presidiano le sedi istituzionali e le principali vie di comunicazioni armi alla mano. Molti i blindati e addirittura i carri armati schierati dal dittatore che vede per la prima volta traballare seriamente il proprio potere ininterrotto che dura da ormai 23 anni, sostenuto dai governi di Francia e Italia.

Voci di colpo di stato, Frattini conferma sostegno a Ben Alì
A proposito dell’esercito nelle ultime ore si fanno sempre più insistenti le notizie su un possibile colpo di stato militare contro Ben Alì, a causa della sua decisione di rimuovere il capo di stato maggiore dell'esercito, il generale Rashid Bin Ammar, scelto dal Presidente come capro espiatorio. "Ovunque vadano le unità dell'esercito - afferma il giornalista tunisino Zied el-Heni - vengono accolte calorosamente e con gioia dai manifestanti". Circolano nei blog tunisini video e foto di manifestanti che a Sfax e in altre località marciano e discutono con i soldati. Che si tratti di voci infondate, di un avvertimento più o meno indiretto a Ben Alì o di notizie attendibili, è ormai evidente che il dittatore viene dato ormai per perso dai poteri forti alla ricerca quindi di un’alternativa che blocchi una rivolta popolare e giovanile senza precedenti e lasci però intatto un sistema corrotto e oligarchico che esclude dal benessere e dalla partecipazione politica il 95% della popolazione del paese.
Mentre l’esecutivo di Parigi sembra in parte abbandonare il satrapo caduto in disgrazia, il governo Berlusconi continua imperterrito a sostenerlo. Di poche ore fa l’ennesima dichiarazione del ‘moderato’ ministro Frattini che se da una parte condanna l’eccessivo uso della forza contro i civili (solo oggi i manifestanti uccisi sarebbero stati una decina, 80 quelli dall’inizio della rivolta popolare lo scorso 17 dicembre) dall’altra difende Ben Alì e la stabilità nel paese. Una dichiarazione dietro la quale, evidentemente, si nascondono le preoccupazioni delle numerosissime e potenti imprese italiane operanti in Tunisia e da sempre puntello del regime.

La protesta arriva a Tunisi
E per la prima volta la protesta è arrivata oggi nella Medina (il centro) della capitale Tunisi dove si sono registrati violenti scontri tra manifestanti e forze di sicurezza. La polizia ha tentato l'irruzione nella sede del sindacato generale dei lavoratori di Tunisi. Secondo la tv satellitare 'al-Arabiya', i poliziotti hanno circondato l'edificio per arrestare le persone che si erano asserragliate all'interno. Il bilancio degli scontri é di almeno tre sindacalisti feriti. Nel pomeriggio è giunta la notizia che il principale sindacato del paese, costretto ad operare in una condizione di semiclandestinità, ha convocato per lo sciopero generale domani a Kasserine e dopodomani in numerose località tra le quali la capitale. Stamattina nel centro di Tunisi centinaia di giovani che gridavano slogan contro il regime sulla centralissima piazza della Porta di Francia hanno cercato di avanzare verso il viale Habib Bourguiba, ma le forze di sicurezza hanno sbarrato loro la strada lanciando lacrimogeni e picchiando duro. Poi le forze di polizia armate di armi automatiche hanno cominciato a sparare sulla folla e 5 manifestanti, tra i quali un professore universitario, sarebbero rimasti uccisi. Per cercare di impedire nuove manifestazioni il governo ha imposto il coprifuoco notturno nella capitale tunisina e nei centri abitati della provincia ma già al calar del sole in diversi quartieri i manifestanti sono scesi di nuovo in strada e colpi di arma da fuoco sono stati uditi in numerosi punti della città.

Retata contro i dirigenti comunisti
E a proposito di bastone e carota, è scattata oggi quella che sembra una vera e propria retata contro i dirigenti del Partito Comunista Operaio, la principale forza d’opposizione. Il leader del Partito Hamma Hammami, 59 anni, è stato arrestato dalla polizia. Si tratta del primo leader politico ad essere fermato dall'inizio delle sommosse che scuotono il Paese da un mese, anche se dai blog e da alcuni testimoni arrivano notizie sull’arresto di altri dirigenti del partito e in particolar modo della sua organizzazione giovanile, particolarmente attivi nelle manifestazioni e nelle proteste.. "Nonostante i morti – aveva detto prima di essere arrestato Hammami nel corso di una intervista rilasciata a Left - i giovani sono ancora in piazza. Il movimento é più forte del regime e può portare alla sua caduta. Non sappiamo quando, ma il percorso é tracciato". Secondo Hammami é stata proprio la repressione selvaggia messa in atto dal regime a imprimere un carattere "politico" alla protesta. "Sono state le decine di morti e le centinaia di feriti a esasperare la popolazione, a indirizzare la protesta contro il suo partito e il suo regime - ha spiegato -. A manifestare non sono più solo i disoccupati ma ci sono sindacalisti, lavoratori, studenti, avvocati, artisti, che chiedono la partenza di Ben Ali, la fine della dittatura e rivendicano un sistema democratico nel quale possano avere libertà e realizzare le loro aspirazioni economiche e sociali". "Non c'é alcuna forza straniera dietro queste proteste, e il movimento islamista é totalmente assente - ha spiegato ancora il dirigente comunista nell'intervista -. Questa é una sollevazione popolare, democratica, direi persino a carattere laico. Paventare interferenze, dire che ci sono terroristi o mani straniere é un modo di screditare il movimento e di legittimare la repressione". Il Pcot è di fatto illegale nel paese, così come altre formazioni della sinistra che non hanno mai accettato di riconoscere il sistema dittatoriale mascherato da democrazia presidenzialista inaugurato da Ben Alì 23 anni fa quando si impossessò del potere con un colpo di Stato che spazzò via le deboli e imperfette istituzioni democratiche dell’ex colonia francese. Hammami era già stato in carcere in passato, rientrato in Tunisia dopo un lungo esilio, aveva comunicato il suo ritorno alla polizia. La notizia del suo arresto é stata data dalla figlia Nadia, la maggiore dei suoi tre figli. La moglie, Radhia Nasraoui, é un avvocato, presidente dell'Associazione contro la tortura in Tunisia.

Cortei e scioperi ovunque
Gli scontri e i morti non si limitano alla capitale. La sede del tribunale di Tozeur, città turistica alle porte del deserto del Sahara, è stata data alle fiamme e le immagini dell’incendio sono state mostrate durante un'edizione straordinaria di Tunis7, la televisione di stato tunisina controllata dal regime. A Douz, nel sud della Tunisia, almeno cinque manifestanti sono stati uccisi dalla polizia che ha sparato sulla folla inferocita. Scontri anche a Sfax, uno dei principali centri economici del Paese, dove oggi era in corso uno "sciopero generale" che ha paralizzato le attività economiche mentre scuole e università erano chiuse, per il terzo giorno consecutivo, su ordine del governo. A Sfax sarebbero stati circa 40 mila i partecipanti al corteo e negli scontri a fine giornata sarebbe stato ucciso un dimostrante. Migliaia di manifestanti in piazza anche a Gasserine, un'altra località situata nella parte meridionale del Paese maghrebino, dove gli agenti in assetto anti-sommossa hanno fatto largo uso di gas lacrimogeni per disperdere la folla. Dalla manifestazione, stimata in circa 3mila persone, sono stati scanditi slogan contro il governo e il Presidente-dittatore: "Vattene, Ben Ali!", gridavano giovani e disoccupati. Nel pomeriggio di oggi un manifestante di 26 anni è stato ucciso, colpito da proiettili, oggi a Thala (centro-ovest della Tunisia) e altri due sono rimasti feriti. Lo ha riferito un sindacalista all'Afp.

L'Italia scopre la violenza del regime tunisino
In Italia oggi la rivolta del popolo tunisino ha bucato per la prima volta seriamente i teleschermi a causa dell’aggressione subita da due giornalisti del Tg3. Gli inviati sul posto Maria Cuffaro e Claudio Rubino, mentre cercavano di documentare la manifestazione di un centinaio di attivisti del Partito Socialista e del Partito Comunista, sono stati colpiti dagli agenti di polizia presenti in forze, alcuni in borghese – ma riconoscibili dai giubbotti rossi – e gli altri in assetto antisommossa. Mentre la Cuffaro se l’è cavata con pochi danni, Rubino si è beccato una forte manganellata da un poliziotto e poi gli è stata sequestrata la telecamera, restituita ma rotta, solo dopo l’intervento dell’ambasciatore di Roma a Tunisi. Le attestazioni di solidarietà con i due reporter italiani si sprecano, e i servizi in tv indugiano sulla manganellata. Giustamente. Ma altrettanta attenzione non se l’erano meritata i giornalisti del quotidiano Al Badil e di Radio Kalima arrestati nei giorni scorsi, e neanche i due blogger fermati dagli sgherri di Ben Alì. Ieri a Tunisi la polizia ha circondato la sede del sindacato dei giornalisti, impedendo ai cronisti di uscire dalla sede del sindacato per evitare che scendessero in strada e manifestassero contro il governo. Ma non ci risultano comunicati di solidarietà da parte delle istituzioni italiane. Se fossero stati iraniani, forse…

Marco Santopadre, Radio Città Aperta

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