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Il tiranno fugge in Arabia Saudita, il potere conteso tra esercito e fedeli di Ben Alì. La Tunisia nel caos, altri morti

(16 Gennaio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

Il tiranno fugge in Arabia Saudita, il potere conteso tra esercito e fedeli di Ben Alì. La Tunisia nel caos, altri morti

foto: www.radiocittaperta.it

15-01-2011/20:39 --- Dopo 23 anni di potere assoluto, Zine El Abidine Ben Ali non è più il presidente della Tunisia. Ha provato a salvarsi in extremis dalla rabbia del suo popolo promettendo riforme democratiche e aperture ai partiti d’opposizione per decenni repressi e messi fuorilegge. Ma il suo gesto è giunto quando la protesta del pane era già diventata una rivolta di popolo contro la sua tirannia. Ieri decine di migliaia di persone hanno sfilato in una Tunisi paralizzata dallo sciopero generale arrivando fin sotto il ‘Ministero del Terrore’ per chiedere le dimissioni del despota e la punizione dei colpevoli delle uccisioni di decine di dimostranti. Il clima sembrava relativamente tranquillo ma quando i manifestanti hanno aumentato la pressione sul Ministero degli Interni la polizia ha risposto con estrema violenza scatenando una vera e propria battaglia. A poco è servita la decisione tardiva di Ben Alì di sciogliere il governo, liberare gli oppositori arrestati e di convocare elezioni anticipate entro i prossimi 6 mesi andando assai al di là delle fino all’altro ieri già impensabili aperture. Lacrimogeni e manganelli hanno lasciato presto il posto alle pallottole, e alcuni manifestanti sono caduti in varie zone del paese sotto i colpi della Polizia e dell’Esercito schierati massicciamente in un tentativo estremo del dittatore di salvarsi ricorrendo ad una dose massiccia di repressione.
Poi, nella serata di ieri, è arrivata la notizia: il dittatore ed alcuni componenti della sua famiglia sarebbero arrivati a Gedda, in Arabia Saudita. Ben Alì quindi, dopo aver passato circa una settimana a Dubai per poi tornare a Tunisi nel tentativo di riprendere il controllo della situazione, ha alla fine deciso di abbandonare il suo paese per rifugiarsi in un paese arabo alleato dell’occidente. ''Il regno ha dato il benvenuto all'arrivo del presidente e alla sua consorte'' affermava un comunicato diffuso nella tarda serata di ieri. Secondo fonti governative di Riad citate dal portale saudita Elaph la famiglia reale avrebbe deciso di dare asilo temporaneo a Ben Alì e alla sua famiglia a tre condizioni: la prima é che durante il loro soggiorno non svolgano alcuna attività politica; la seconda é che non trasferiscano alcuna somma di denaro nel regno hashemita; la terza che non rilascino alcuna intervista a media arabi o stranieri. Secondo Elaph, una volta atterrato a Gedda, Ben Ali e i familiari sarebbero stati costretti a rimanere a bordo del veivolo per circa tre ore, in attesa che le autorità saudite concedessero l’autorizzazione allo sbarco.
Poche ore prima, nella serata di ieri, un aereo tunisino atterrato a Cagliari aveva scatenato le speculazioni sull'arrivo di Ben Ali in Italia. L'aereo, un velivolo commerciale arrivato da Tunisi e diretto a Parigi, era atterrato allo scalo Elmas poco dopo le 22 dichiarando di essere in condizioni di emergenza. Per due ore si sono rincorse voci sul fatto che a bordo Ben Alì stesse cercando di convincere la Francia ad accoglierlo, fino a quando il governo francese ha negato l’autorizzazione all’atterraggio a Parigi, abbandonando così l’ex fedele alleato alla sua sorte. La smentita del Governo Berlusconi - “a bordo del Canadair non c’erano né Ben Alì né i suoi familiari”, non è servita a fugare i dubbi sul fatto che il dittatore avesse chiesto ospitalità anche in Italia.
Dopo la fuga del capo dello Stato, il Primo ministro (e quindi esponente del regime) Mohammed Ghannouchi ha annunciato alla televisione che assumeva l'interim della presidenza della Repubblica fino a nuovo ordine in virtù di un decreto firmato dallo stesso Ben Ali. Due leader dell'opposizione moderata e collaborazionista con il regime - Mustapha Ben Jaafar, capo del Forum democratico per il lavoro e le libertà, e Néjib Chebbi, capo storico del Partito democratico progressista – avevano subito dichiarato di essere pronti a collaborare con Ghannouchi. Ma per molte forze politiche di sinistra e per i sindacati il cambio alla presidenza rappresenta una transizione di facciata, e quindi la rivolta è continuata. Anche dal punto di vista formale la nomina di Ghannouchi, in virtù dell'articolo 56, lasciava aperta la possibilità di un ritorno al potere di Ben Ali. Ghannouchi ha immediatamente lanciato un appello all'unità dei tunisini ma poi ha dato ordine alla Polizia e agli altri apparati di sicurezza di ristabilire l’ordine a qualsiasi costo, imponendo il coprifuoco e lo stato d’emergenza.
Le forze dell’ordine si sono di nuovo scatenate contro i manifestanti che in varie zone del paese violavano il coprifuoco. Gli scontri sono proseguiti anche nella capitale, così come i saccheggi: molte persone hanno preso di mira negozi e ville di proprietà di gerarchi del regime o di imprenditori amici dell’ex dittatore, mentre nel centro della città si ammassavano mezzi militari e anche blindati con mitragliatrici. ''I Trabelsi (la famiglia della moglie del despota) e Ben Ali - dice la gente che assiste ai saccheggi delle ville dei gerarchi sul lungomare a pochi chilometri da Tunisi - devono restituire i soldi del popolo ai tunisini''. ''Hanno investimento dappertutto ma questi sono i soldi della Tunisia''. Intanto arrivava la notizia di cinque persone uccise a Madhia, uno dei più noti centri balneari della costa centrale della Tunisia, uccise dalle forze di sicurezza per non aver rispettato il coprifuoco. Nella stessa località la stazione di polizia sembra sia stata incendiata dai manifestanti inferociti.
La rivolta continua e il regime corre ai ripari, nominando alla Presidenza delle Repubblica il presidente del parlamento tunisino (e quindi un altro uomo del regime, anche se meno esposto del Primo Ministro). La mossa è stata formalmente decisa dal presidente del consiglio costituzionale che, considerando la carica di Presidente della Repubblica definitivamente vacante, ha promesso che nuove elezioni presidenziali si "dovranno tenere entro i prossimi 60 giorni" come stabilito dalla Costituzione del paese. Appena insediatosi come presidente tunisino ad interim Fouad Mebazaa ha formalmente sciolto il precedente governo ed ha incaricato il premier Mohamed Ghannouchi di dare vita a un nuovo esecutivo di coalizione con le forze di opposizione moderate.
Il potere reale, al di là del passaggio dei poteri da un personaggio all’altro dell’establishment tunisino, sembra essere nelle mani dell’esercito, che secondo alcuni analisti avrebbe stretto un patto con alcuni partiti dell’opposizione per una transizione morbida. Alcune brigate dell’esercito si sarebbero incaricate di arrestare alcuni gerarchi del regime e di tentare di bloccare i crimini compiuti da alcune bande di incappucciati guidate da esponenti dei servizi di sicurezza fedeli a Ben Alì e ai suoi familiari. L’esercito protegge le scorte di carburante e di acqua potabile. Lo stesso esercito si è incaricato stamattina di far sparire dai grandi viali e dagli edifici pubblici le gigantografie dell'ex dittatore. I militari avrebbero imposto anche un parziale blocco delle partenze dall’aeroporto di Tunisi, permettendo solo gli arrivi, probabilmente per evitare che qualche personaggio compromesso con la dittatura possa fuggire. il capo di stato maggiore, Rashid Ammar, che era stato silurato da Ben Alì prochi giorni fa perché si era rifiutato di dare ordine ai suoi uomini di sparare sulla folla come stava già facendo la polizia, ora é stato reinsediato, ma l'esercito conterebbe solo poche decine di migliaia di effettivi contro i circa 200 mila agenti di polizia, cui si aggiungono altre decine di componenti della guardia presidenziale.
La situazione nel paese continua ad essere estremamente confusa con manifestazioni, scontri e saccheggi ovunque. Attualmente 8 grandi carceri sono in rivolta con i detenuti che hanno appiccato il fuoco alle suppellettili nel tentativo di fuggire. A migliaia sono riusciti già a scappare ma in molti casi – al esempio nel carcere di Monastir – gli incendi stanno provocando la morte di decine di detenuti mentre molti altri sono stati uccisi dalle guardie.
Qualche saccheggio è motivato dalle misere condizioni di vita dei quartieri popolari e dalla vendetta contro le proprietà di chi si è arricchito grazie alla dittatura, ma molti incendi, riferiscono i testimoni, sono stati appiccati da uomini ben vestiti arrivati a bordo di macchine noleggiate. In molti hanno denunciato che alcuni apparati legati al dittatore starebbero tentando di creare il caos tramite saccheggi, omicidi e stupri per poi convincere la popolazione ad accettare di fermare le manifestazioni e di concedere la priorità al ristabilimento dell’ordine pubblico, il che concederebbe agli apparati di sicurezza mano libera. In molte zone gli abitanti hanno formato delle improvvisate squadre di vigilanza per proteggersi dagli attacchi degli incontrollati e per evitare l’intervento della polizia che continua a rappresentare un nemico, essendo tuttora controllata da uomini scelti da Ben Ali.
Nelle ultime ore alcuni gerarchi sarebbero stati arrestati e altri sarebbero stati uccisi in diverse località. Imed Trabelsi, fratello della moglie di Ben Ali, é morto oggi nell'ospedale militare di Tunisi, dove era stato ricoverato dopo essere stato pugnalato ieri a Le Kram. Invece il genero di Ben Ali, Slim Chiboub, é stato arrestato dall'esercito tunisino mentre tentava di fuggire in Libia con alcuni suoi familiari. Secondo quanto riferisce una fonte militare alla tv araba 'al-Jazeera', Chiboub, che ha sposato una delle figlie di Ben Ali, al momento dell'arresto si trovava in compagnia del generale Ali al-Seriati, ex capo delle guardie presidenziali tunisine. I militari li hanno fermati nel sud della Tunisia mentre a bordo di una carovana di auto tentavano di attraversare il confine con la Libia. Sempre oggi Al Jazira ha riferito che sempre l’esercito ha arrestato il capo della Guardia presidenziale di Ben Ali, Ali El Seriati.

Marco Santopadre, Radio Città Aperta

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