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‘La rivoluzione continua. Il popolo tunisino si conquista la propria libertà nelle strade’.

Parla Hamma Hammami, leader del Partito Comunista Operaio

(25 Gennaio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

‘La rivoluzione continua. Il popolo tunisino si conquista la propria libertà nelle strade’. Parla Hamma Hammami, leader del Partito Comunista Operaio

foto: www.radiocittaperta.it

Emiliano Trocini per Radio Città Aperta (trad. Marco Santopadre)

Tunisi 21 gennaio 2010:
“Noi siamo attivi, siamo per le strade, stiamo cercando di aprire delle sedi. Attualmente il popolo tunisino si conquista la propria libertà nelle strade. Ma che elezioni ci prospettano? Su quali basi potremo eleggere un nuovo presidente, sulla base del Parlamento, del Consiglio decisi dal regime di Ben Alì?

E’ per questo che i giovani sono ancora per le strade, perché non sono soddisfatti dalla partenza di Ben Alì, ma vogliono farla finita con il partito ancora al potere - l’RCD - con il Parlamento di Ben Alì, con il suo governo, con la Costituzione da lui scritta, con le istituzioni e le amministrazioni che hanno un carattere fascista e dispotico, con una Polizia che ha un carattere politico … E’ una dittatura, non è solo il problema di Ben Alì.
Abbiamo lanciato nelle manifestazioni uno slogan molto significativo che dice: “Ben Alì è in Arabia Saudita, ma la sua banda ancora qui”. Noi giudichiamo il governo attuale come espressione piena dell’RCD, anche se alcuni suoi membri non ne facevano parte e anche se alcuni ministri si sono appena dimessi da quel partito per opportunismo. Questi personaggi hanno un’enorme responsabilità in quello che è successo in tutti questi anni e nelle stragi di questi giorni. Da artigiani della dittatura sono diventati improvvisamente dei sinceri democratici…

Noi vogliamo subito un governo provvisorio, di transizione, costituito da uomini e donne credibili che non hanno fatto parte della dittatura e che si prendano il compito di organizzare delle elezioni non presidenziali ma parlamentari, perché la maggior parte della popolazione tunisina è contraria al regime presidenzialista e ne vuole uno parlamentare, più democratico. Il loro governo invece vuole continuare come prima, vogliono eleggere un presidente, eleggere un nuovo parlamento. Ci sono dei sindacati, dei partiti politici, delle associazioni, dovrebbero mettersi d’accordo per scegliere delle personalità indipendenti che portino avanti il periodo di transizione e preparino delle elezioni realmente democratiche. Noi chiediamo questo. E’ per questo che continua la rivoluzione: non è la prima volta che un governo annuncia delle riforme anche profonde in questo paese. E’ già successo nel 1970, poi nel 1980, poi con l’avvento di Ben Alì nel 1987. Ma poi non è mai successo niente. Oggi stanno decretando un’amnistia generale, hanno promesso di riconoscere tutti i partiti, ma la struttura del regime resta intatta. Attualmente i tunisini pensano che l’amnistia e le altre concessioni siano possibili solo perché imposte dalla lotta, dalla mobilitazione. Ma in fondo il programma del governo rimane quello di un regime di carattere soft, temperato. Noi invece chiediamo che il regime venga spazzato via, non che se ne liberalizzino alcuni aspetti. Il partito al potere è un partito molto potente, che ha in mano non solo la polizia ma anche il corpo degli ausiliari della Polizia. Occorre considerare che su neanche 10 milioni di abitanti ci sono circa 140 mila poliziotti, un numero altissimo, più che in una grande potenza. Noi abbiamo un’amministrazione pubblica basata sul potere personale dei governatori, dei prefetti, dei sindaci, e come è possibile fare delle elezioni libere in questo contesto? Certamente non delle elezioni presidenziali… La gente protesta, vuole partecipare alla vita pubblica, vuole scrivere la nuova Costituzione. Se il premier Ghannouchi volesse comportarsi in maniera degna, dovrebbe consegnare pacificamente il potere ad un vero governo di transizione indipendente. I cittadini vogliono gestire la vita politica nei propri villaggi, nelle proprie regioni. Non ci sono disordini ora nel paese, sono cessati i saccheggi e gli attacchi, non c’è più neanche la scusa di dover ristabilire l’ordine con la forza. E coloro che hanno compiuto questi crimini sono stati gli agenti di Ben Alì, sono stati i poliziotti che hanno sparato sulla gente, che hanno saccheggiato i negozi e le case. Il governo lo sa, lo ha riconosciuto formalmente nei giorni scorsi. Il popolo ha il diritto di partecipare alla vita politica, è grazie al popolo che Ben Alì è caduto ed è dovuto fuggire. (…)

E poi c’è il problema del miglioramento delle condizioni economiche e sociali. La dittatura non riguardava solo gli aspetti politici, ma era legata ad una casta di affaristi, di corrotti, di saccheggiatori, che hanno sempre avuto dei rapporti e dei sostegni internazionali, che tuttora conservano. Nel nostro paese non si può parlare attualmente neanche di una vera economia capitalista, borghese classica. No. Si tratta di una piccola minoranza locale che attraverso le privatizzazioni gestite dal regime si è appropriata delle ricchezze del paese attraverso una rete familiare che ha permesso in questi decenni il saccheggio della Tunisia da parte delle imprese e delle economie straniere. Abbiamo una borghesia ‘compradora’ che si è arricchita permettendo alle economie forti di aprire qui le grandi catene come Carrefour. E allora il governo di transizione dovrebbe dire a questi poteri economici stranieri che noi vogliamo governarci da soli, che non vogliamo interferenze nella nostra economia da parte di nessuno. Ora i tunisini vogliono cambiare il modello di gestione dell’economia e della società, e combattere la povertà, perché la Tunisia non è un paese povero. In Tunisia operano 3100 società straniere, di cui 1200 sono francesi: gli stranieri si appropriano dei profitti prodotti dai lavoratori e dalla società tunisina, e li portano all’estero. E’ normale che ci siano dei problemi di povertà e di disoccupazione nel nostro Paese! (…)”

Radio Città Aperta - Roma

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