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Egitto: il regime a caccia del giornalista

Dalla sua nascita, il regime, abituato a un sistema di informazione leale ai suoi ordini, non gradisce la presenza di voci stonate, che cantano fuori dal coro celebrativo. Non vede di buon occhi i giornalisti, se non quelli di corte.

(5 Febbraio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.nena-news.com

Egitto: il regime a caccia del giornalista

foto: www.nena-news.com

DI AZZURRA MERINGOLO

Il Cairo, 05 febbraio 2011, Nena News - “In Egitto é in corso una nuova ondata di maccartismo. Il regime reprime tutti quelli che parlano male di lui. Stanno cercando tutti per eliminare ogni voce stonata. I più ricercati sono gli stranieri. Per il governo sono tutti delle spie. Vogliono eliminare tutti i giornalisti e o per farlo sono pronti a usare tutte le armi in loro possesso. Aiutiamoli. E’ il loro lavoro, vero, ma rischiano la vita per una causa che non è la loro.” Ore otto di mattina, così fa colazione questo blogger egiziano che posta questo tweet dalla sua tenda nel mezzo di Midan al Tahrir. Non si sa come, dopo la giornata di giovedì, dopo la sassaiola, gli attacchi, le bombe e il fuoco, la tenda è ancora in piedi, lí, impavida, irremovibile come i ragazzi che ci abitano da sette giorni. Erano quattro, da ieri tre, quando un loro compagno è stato preso dalle forze pro Mubarak e portato in una centrale di polizia accusato di metter in rete foto che rovinano l’immagine dell’Egitto. Nel suo blog c’erano anche immagini di lui a Sharm el Sheikh con qualche amico, ma negli ultimi giorni, quelle caricate erano solo foto relative agli scontri. Al regime non piacevano, motivo sufficiente per prenderlo e farlo tacere con la forza.

Dalla sua nascita, il regime, abituato a un sistema di informazione leale ai suoi ordini, non gradisce la presenza di voci stonate, che cantano fuori dal coro celebrativo. Non vede di buon occhi i giornalisti, se non quelli di corte, perché si sente osservato e quindi imbarazzato. Per questo giovedì ha arruolato civili armati per dare la caccia a quanti, soprattutto occidentali, non intimoriti da quanto successo il giorno precedente erano ancora le strade per coprire gli eventi. Sin dall’inizio li aveva presi di mira. Prima li faceva guardare senza dargli la possibilità di diffondere la loro testimonianza nell’etere. Ora gli ha ridato internet impedendogli però di vedere cosa accade senza mettere a rischio la loro incolumità. Cambiano le strategie, ma il risultato è sempre uno: se quello che dite non mi piace, vi stacco la spina.

La caccia la giornalista è iniziata giovedì mattina e si è concentrata nel centro della capitale, luogo di solito frequentato e tranquillo. Per fare piazza pulita dei suoi nemici, i vertici del regime hanno ingaggiato cittadini che, sotto pagamento, dovevano cercarli, bloccarli, minacciarli e consegnarli alla polizia che li portava in una centrale. Armate e violente, queste bande hanno anche iniziato a controllare macchine e taxi, chiedendo documenti e sperando di trovare particolari che incastrassero anche chi, straniero, parlava in arabo. Dirette radio interrotte per timore di essere sentiti e quindi riconosciuti, niente macchine fotografiche, niente registratori, niente taccuini. In questi gironi quello che si vede si fotografa solo in parte della memoria e quello che si ascolta si registra in quella restante. Passo svelto e occhi bassi per non incrociare quelli del cacciatore: la tensione è alle stelle.

Per rendere la caccia al giornalista un successo, il regime non si è accontentato di servirsi di agenti, spesso poliziotti in borghese pagati come si deve, ma ha assoldato anche di bambini. Affacciandosi da un terrazzo di Abdeen, una delle zone dove la caccia allo straniero è altissima, si vede un ufficiale dare dei soldi a un bambino. Solitamente chiedono di andargli a comprare sigarette, ma ieri i soldi erano di più e dopo poco trovo questi bimbi per strada. Dicono due o tre frasi in inglese a tutti quelli che incontrano nella speranza di trovare qualcuno che gli risponda nella stessa lingua e , quando lo trovano, lo conducono dall’ufficiale.

Presi di mira anche gli alberghi dove i giornalisti sono alloggiati. Camionette delle polizie li hanno circondati per poi sequestrare gli sgraditi ospiti e trasportarli altrove, in posti ben lontani da Midan al Tahrir, cuore nevralgico della rivolta, che ha raggiunto oggi la undicesima giornata.

Il raís ha promesso di iniziare un nuovo corso, di implementare riforme, di rispondere alle domande dei suoi cittadini, ma gli avvenimenti di questi giorni mostrano che non è pronto ad accettare chi racconta cosa avviene realmente. Chiuso nel suo bunker di autoritarismo, quando sente qualcosa che non gli piace usa sempre la stessa, ormai anacronistica, arma: la repressione. Nena News

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Nena News

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