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Libia: centinaia di morti, lotta ai vertici regime

Oltre 200 morti in quattro giorni di scontri nella Libia orientale dove brucia la rivolta contro Gheddafi. La stampa araba riferisce di lotta ai vertici del regime

(20 Febbraio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.nena-news.com

Libia: centinaia di morti, lotta ai vertici regime

foto: www.nena-news.com

Roma, 20 febbraio 2011, Nena News - Si contano ormai a centinaia i morti nella Libia orientale. Le testimonianze che riescono a sfuggire al blocco di Internet, alla censura dei mezzi d’informazione e all’assenza della stampa internazionale, riferiscono di scontri gravissimi a Bengasi, città tradizionalmente avversa al colonello Muammar Gheddafi, dove ieri le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco su un corteo funebre provocando almeno 15 morti. L’ultima strage di quattro giorni insaguinati. Secondo Human Rights Watch le vittime sono almeno 104, per il quotidiano britannico Independent, i morti sarebbero duecento e i feriti almeno mille. Una cinquantina di esponenti religiosi musulmani hanno rivolto un appello alle forze di sicurezza perchè smettano di uccidere i manifestanti. Nelle città coivolte nelle proteste anche i cecchini sparano sulla folla e nei reparti antisommossa ci sarebbero anche mercenari di vari Paesi africani. Ma i testimoni dicono anche che alcuni soldati e poliziotti passano dalla parte della rivolta e qualcuno descrive una Bengasi «fantasma» con le forze di sicurezza barricate nella cittadella fortificata.

E’ scattata nel frattempo una gigantesca campagna di arresti non solo tra i libici ma anche nei confronti di cittadini arabi accusati di fomentare l’insurrezione. Secondo l’agenzia di stato libica «Jana», decine di persone sono state arrestate perchè parte di una «rete straniera addestrata per nuocere alla stabilità della Libia, alla sicurezza dei suoi cittadini e alla loro unità nazionale». «Gli organi di sicurezza libici – aggiunge l’agenzia - hanno stabilito che le persone arrestate sono di nazionalità tunisina, egiziana, sudanese, palestinese e siriana e anche turca».

Non mancano le voci incontrollabili, come quelle che vorrebbero a Bengasi, ancora assediato dai manifestanti anche Saadi Gheddafi, il figlio del leader, e di una forza di circa 1.500 soldati entrata nella città per salvarlo. Ma anche la capitale Tripoli sembra non sostenere pienamente il regime così come era apparso nei giorni scorsi. Testimoni hanno riferito ad agenzie di stampa internazionali che la notte scorsa si sono uditi colpi di armi da fuoco. Sparatorie sono avvenute non solo fra le forze di sicurezza e manifestanti, ma anche fra sostenitori e oppositori di Gheddafi, nei quartieri di Janzur, Tajura, Gurgi, Gargaresh. Il «colonello» è però convinto di poter domare la rivolta.

Intanto la stampa araba avanza nuove motivazioni per la crisi libica, oltre all’onda lunga delle rivolte avvenute in Tunisia ed Egitto. Secondo il quotidiano panarabo al Sharq al Awsat il fermento in Libia sarebbe iniziato già alcuni mesi fa quando si parlava con insistenza del ritorno al potere di Abdessalam Jallud, l’ex delfino di Gheddafi, nel quadro della lotta di potere tra nuova e vecchia guardia a Tripoli. L'arresto di 20 giornalisti del gruppo editoriale «al-Ghad», fermati tra il 5 e il 6 novembre scorsi, e rilasciati pochi giorni dopo, era stato solo l'atto più eclatante di una guerra sotterranea tra Seif al Islam Gheddafi, figlio del leader libico, che rappresenta la nuova guardia, e l'attuale establishment capeggiato dal premier Baghdadi Ali al-Mahmudi. Quest'ultimo doveva essere sostituito proprio da Jallud, alleato di Seif al Islam, che con questa mossa avrebbe di fatto messo le mani sul potere in Libia.

Jallud è stato premier dal 1972 al 1977. Dopo una serie di contrasti con Gheddafi nei primi anni Novanta fu messo ai margini del regime. Il suo ritorno, aggiunge al Sharq al Awsat, avrebbe spinto al-Mahmudi a reagire mettendo in atto una serie di iniziative che hanno posto fine alle attività di «al-Ghad» legato a Seif al Islam. Nonostante l'intervento diretto del colonnello Gheddafi, che ha fatto scarcerare i 20 giornalisti e avviato un'inchiesta sugli arresti, al-Mahmoudi non ha mai cessato la sua battaglia. La spaccatura ai vertici del potere sarebbe riemersa in tutta la sua ampiezzain questi giorni di scontri tra regime e dimostranti nell’Est del paese.

Nena News

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