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Gheddafi: il codice della minaccia

(21 Febbraio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

Gheddafi: il codice della minaccia

foto: www.radiocittaperta.it

Saief al-Islam Gheddafi è il secondogenito del Colonnello. È un uomo colto - con dottorato alla London School of Economics -, parla un inglese fluente e veste all'occidentale. Soprattutto, si è autoproclamato difensore dei diritti umani. Su di lui - che non ha nessun ruolo politico - è caduta la scelta per parlare (per minacciare) in Tv al popolo libico. La linea di demarcazione tra cittadini e gangs criminali è presto segnata: i criminali sono gli uomini scesi in lotta per la riconquista della dignità; i cittadini irreprensibili sono i "fratelli libici" rimasti a sostegno del regime. Saief (ma è il Colonnello a farlo) si è rivolto a entrambe le categorie. "Stiamo molto attenti! - dice in sostanza Gheddafi - schiacceremo la rivolta. Combatteremo fino all'ultimo uomo, fino all'ultima pallottola". "L'esercito rimarrà al suo posto. Mummar Gheddafi, rimarrà al suo posto a guidare la lotta."

La Libia si trova sulla strada della guerra civile e gli scontri che fino a sei giorni fa si registravano solo nella lontana Cirenaica, hanno raggiunto - com'era prevedibile - anche la capitale Tripoli.

I palazzi governativi in fiamme, gli assalti alla sede della Tv di stato e alle banche dicono che è stato raggiunto il punto di non ritorno. La Libia è davanti a un bivio e nessuna delle due strade condurrà il paese allo stato in cui si trovava solo una settimana fa: assisteremo a una repressione violentissima (di cui la comunità internazionale sarà complice) oppure alla partenza dei Gheddafi verso un paese amico - voglia Iddio (per citare il nostro ministro Frattini) che non sia l'Italia - con scenari di caos diffuso (nei quali la Comunità internazionale sarà chiamata a compiere un grande lavoro)?

Gheddafi ancora una volta ha scelto la via della minaccia: minaccia l'Europa di aprire le frontiere e far riversare centinaia di migliaia di migranti sulle coste del Vecchio Continente; minaccia il suo popolo con previsioni apocalittiche fondate su sangue, ferro, fuoco (niente di più di quanto non stia già accadendo). Ricorda alla sua gente che la Libia non è l'Egitto e neanche la Tunisia; niente partiti ma solo tribù e clan che polverizzerebbero la nazione libica in tanti piccoli stati. E il pericolo più grande sarebbe "lo spazio lasciato all'integralismo islamico" che "l'Occidente non è disposto ad accettare". Saief paventa la possibilità, in quella eventualità, di un attacco Nato con la conseguente apertura di nuova era coloniale.

A sentire, però, Franco Frattini - impegnato a Bruxelles nella riunione dei ministri degli Esteri dell'Unione - Gheddafi e il suo clan possono stare tranquilli perché "l'Europa non deve esportare la democrazia in Libia: non sarebbe rispettoso dell'indipendenza del popolo, della sua ownership". Parole bellissime, che andrebbero spiegate però ai popoli indegni del nostro rispetto, ai figli di una nazione minore, agli iracheni e, soprattutto, agli afgani.

In tutta questa situazione, rimane da capire perché il Colonnello abbia deciso di non intervenire in prima persona, ma di delegare il figlio Saief. Le voci che lo vogliono in fuga dal paese non trovano conferme e - accettando il rischio di sbagliarci - pare comunque inverosimile che Gheddafi abbia deciso di lasciare la Libia. E allora, perché? Una prova generale per il passaggio di poteri? Il primo mattone per avviare le riforme? O forse, il Colonnello è stato "consigliato" da Occidente?

Dopo che le nubi della rivolta hanno raggiunto anche Piazza Verde a Tripoli, l'Unione Europea pensa all'evacuazione dei propri cittadini. Anche il ministero degli Esteri italiano ha finalmente emanato - su viaggiaresicuri.it - un bollettino in cui si sconsiglia qualsiasi tipo di viaggio in tutto il paese. Tutto con un grave ritardo, mettendo in pericolo la vita di nostri connazionali. Ci piacerebbe, in merito, avere spiegazioni.

Nicola Sessa - Peacereporter

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