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Egitto. Per quanto ancora?

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Bahrain, l’imperialismo lancia il suo monito di terrore

(17 Marzo 2011)

Manifestazione in Baharain

C’è un motivo per cui la polizia antisommossa di re Al Khalifa in prima linea e nelle retrovie le truppe saudite giunte in suo soccorso hanno sparato in faccia a quei manifestanti sciiti che percorrono le strade di Manama dal 19 febbraio. La ragione è la paura che la rivolta del Maghreb traslochi verso i regimi del Golfo, depositari di tradizione, dei luoghi santi dell’Islam ma soprattutto dell’immensa riserva petrolifera che approvvigiona un terzo dell’umanità. Le granate lanciate dagli elicotteri Apache sui crani della popolazione servono a diffondere quel terrore estremo che potrebbe evitare espansioni di rivolta in una zona di strategico interesse energetico. Un’area difesa a oltranza dagli Stati Uniti che, se con le leadership occidentali hanno accettato obtorto collo la cacciata di Ben Alì e Mubarak, difficilmente rimarranno fermi di fronte all’ipotesi di un terremoto politico nel Golfo. Non è un caso che nell’isola del Bahrain sia piazzata la Quinta flotta navale statunitense e tutti ricordiamo quale fu la reazione di Washington all’invasione del Kuwait. Certo le successive missioni in Iraq e quella in corso in Afghanistan sono stati duri colpi all’interventismo americano ma gli Stati Uniti, che in Iraq mantengono tuttora un esercito di 47.000 militari, pur col basso profilo dell’amministrazione Obama non potranno veder compromesso un controllo della penisola arabica.

Così il segnale che si sta dando alla protesta bahreinita è molto più duro di quello visto nei due mesi che stanno infiammando il nord Africa. Eccezion fatta per la Libia, dove è aperto uno scontro armato pur impari fra fazioni pro e contro Gheddafi, quella del piccolo Stato del Golfo è un’aggressione istituzionale gestita direttamente dal governo di re Hamad. Certo anche il regime di Mubarak prima di soccombere ha fatto almeno un centinaio di vittime, gli uomini del raìs, la polizia segreta Al Dawla, provano ancora a uccidere com’è accaduto con l’assalto dei giorni scorsi al presidio di piazza Tahrir. Eppure l’aria nel piccolo Bahrain è quella dell’avvertimento a una frontiera che gli interessi economico-militari giudicano inviolabile. Bisognerà vedere come gli equilibri regionali che coinvolgono direttamente l’Iran potranno essere toccati. Per ora Ahmadinejad ha denunciato l’ingerenza saudita additando gli Stati Uniti come mandanti e il Parlamento di Teheran ha lanciato un’inchiesta sull’offensiva alla comunità sciita di quel Paese. Da Manama giungono notizie di rastrellamenti delle forze repressive nella località sciita di Sitrah a 15 km dalla capitale, si segnalano fermi e arresti anche di giornalisti stranieri perché la monarchia vuole evitare la prosecuzione dei documenti sulla repressione che circolano nel web.

Mentre i media internazionali rivolgono lo sguardo nel Golfo e hanno fornito notizie su questo terribile mercoledì iniziato al mattino presto con le sparatorie e le vittime, se ne contano almeno cinque, e poi gli assalti al quartiere sciita citato, tutte le reti Rai si distinguono per il silenzio tombale su quest’angolo di mondo dove comunque gli italiani vanno a lavorare e c’è anche chi porta denari nel paradiso fiscale della dinastia Al Khalifa.

16 marzo 2011

Enrico Campofreda

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