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Opporsi alla guerra imperialista contro la libia Costruire un’alternativa di classe

(22 Marzo 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.slaicobas.it

Opporsi alla guerra imperialista contro la libia costruire un’alternativa di classe

foto: www.slaicobas.it

Con l’attacco militare alla Libia un altro fronte di guerra si è aperto nel mondo. Anche questa volta a due passi dall’Italia come era già accaduto nel 1999 con la guerra contro la Yugoslavia. Mascherata da impresa umanitaria questa guerra è in realtà volta ad assicurare, agli USA ed alle principali potenze occidentali, il pieno controllo sulle risorse naturali della Libia (petrolio e gas).

Una guerra di rapina in cui le principali potenze impegnate nelle operazioni belliche cercheranno di spartirsi e ripartirsi affari e risorse.

L’Italia è tuttora il principale partner commerciale della Libia e con l’accordo di Bengasi del 2008, ribadito ed ampliato nell’accordo di Roma dell’agosto dello scorso anno (sancito dal baciamano di Berlusconi a Gheddafi alla presenza del drappello di 200 ragazze bionde assunte per l’occasione), il capitale finanziario italiano, rappresentato dalla confidustria e dalle banche, in particolare Finmeccanica, Eni, Enel, Fiat, Impregilo, Unicredit ecc., si è assicurato affari per ulteriori varie decine di miliardi di euro. Si capisce così come quest’ “Italia” abbia potuto pensare di infilarsi nella guerra contro la Libia per evitare di correre il rischio di rimanere esclusa dagli ulteriori profitti che si preannunciano o comunque per evitare di perdere affari e contratti già avviati a vantaggio degli USA, della Francia o della GB.

Un esempio, questa scelta di guerra del capitale finaziario, dei partiti di potere e delle istituzioni italiane, che è un insieme di mancanza di scrupoli, di innafidabilità, di opportunismo e di servilismo.

Un’ “Italia” questa che sembra voler ripercorrere, nel pieno di una crisi globale devastante e perdurante, una traiettoria da imperialismo insieme tracotante, marginale e straccione.

Quest’ “Italia” dei padroni, delle banche, dei Berlusconi e dei Bersani, dei leghisti e delle celebrazioni nazionalistiche dei “150 anni”, del sindacalismo confederale, del servilismo verso i diktat del capitale europeo ed americano e della rapina delle risorse degli altri popoli, è la stessa che porta quotidianamente attacchi sempre più pesanti alle libertà democratiche e sindacali ed alle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori. La stessa che sfascia la ricerca e l’istruzione, delocalizza le produzioni e privatizza i servizi sociali e che punta allo sfruttamento ed alla precarizzazione -ormai oltre ogni limite- del lavoro dipendente, perseguendo logiche speculative e parassitarie, pienamente in linea con i caratteri strutturali del “capitalismo italiano”.

Non si può far finta di non vedere che con appelli come quello della Federazione della Sinistra ad opporsi alla guerra in Libia non si otterrà molto. In questi decenni infatti la sinistra ha lavorato imperterrita a legittimare forze politiche, sociali, istituzionali e sindacali, il cui ruolo è stato più volte -ed è tutt’ora- decisivo nel peggiorare le condizioni di vita e di lavoro, i diritti e le libertà, dei lavoratori, dei giovani e degli strati popolari. E’ per questo che oggi, proprio di fronte a questa guerra, i lavoratori non possono porsi l’obiettivo di aiutare la ‘sinistra’ nei suoi tentativi di recuperare consensi per la propria linea fallita e fallimentare.

Quello che invece è necessario è costruire un’alternativa di classe sulla base dell’autorganizzazione e dell’indipendenza politica e sindacale degli operai, dei giovani precari e degli strati popolari. Solo delimitandosi da chi in questi anni sul terreno politico e sindacale è stato complice, e “complice dei complici”, è possibile ridare forza, valore, organizzazione e prospettiva alle lotte dei lavoratori. E se le rivolte dei popoli oppressi del medio oriente dimostrano qualcosa è da un lato che i popoli prima o poi tendono comunque a ribellarsi eroicamente all’oppressione, e dall’ altro che senza costruire prima una vera alternativa di classe politica e sindacale queste ‘rivolte’ finiscono sempre con la sconfitta della mobilitazione popolare, con l’instaurazione di nuovi regimi reazionari o con la strumentalizzazione vincente da parte delle forze imperialiste (come oggi sta avvenendo appunto in Libia e come nel 1999 è avvenuto con il Kossovo).

SLAI COBAS - COORDINAMENTO NAZIONALE

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