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(29 Marzo 2011) Enzo Apicella
Guerra in Libia. Videoconferenza tra Obama, Merkel, Cameron, Sarkozy. Il governo italiano non è invitato

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Libia: uno spazio da difendere per il capitalismo italiano

(30 Agosto 2020)

Dal n. 92 di "Alternativa di Classe"

Il generale Khalifa Haftar

Il generale Khalifa Haftar

La Libia per il capitalismo italiano è uno spazio vitale su cui mantenere la propria sfera di influenza, in concorrenza con gli altri Paesi imperialisti alleati. Ora, Germania, Francia e Italia sembrano avere più che nel recente passato possibili punti di convergenza: contenere la presenza turca in Libia, e puntare alla riapertura dei pozzi petroliferi, con la riattivazione dell’industria energetica libica. Non solo soldati, la Turchia ha dispiegato in Libia anche i suoi imprenditori, che stanno prendendo il controllo di snodi importanti dell’economia e della produzione energetica.
Ma la presenza italiana (soprattutto di ENI) è ancora solida, l’imperialismo italiano non
rinuncia certo all’ex colonia libica (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno IV n. 44 a pag. 1). Gli effetti della crisi economica mondiale colpiscono ovviamente anche le economie nordafricane, e la crisi, unita all’instabilità politica in Libia, ne ha messo in pericolo gli interessi strategici, energetici ed economici. Le grandi imprese italiane presenti in Libia operano soprattutto nei settori del petrolio e del gas (ENI, SNAM PROGETTI, EDISON, TECNIMONT, SAIPEM), delle costruzioni di opere civili (IMPREGILO, BONATTI, ENTERPRISE), della ingegneria (TECHINT), dei trasporti (IVECO, TARROS, GRUPPO MESSINA, GRIMALDI), delle telecomunicazioni (TELECOM ITALIA e SIRTI).
La campagna militare, lanciata dal Generale Khalifa Haftar per conquistare Tripoli, si è conclusa a Giugno con la sconfitta da parte delle forze allineate con il governo di Accordo Nazionale (GNA). Questa sconfitta ha creato una situazione molto instabile: a tutti gli effetti la Libia è ora divisa tra est e ovest.
La situazione si surriscalda ulteriormente, e si innalza ad un livello internazionale superiore. La Turchia appoggia il presidente Al Sarraj a Tripoli ed il Governo di Accordo Nazionale, e, con il suo aiuto questo governo ha fermato l’esercito del Generale Haftar, che governa da Bengasi. Stiamo andando molto oltre ora, verso una direzione che potrebbe avere gravissime conseguenze.
Le minacce tra Turchia ed Emirati Arabi alimentano forti tensioni regionali. Il Ministro degli Affari Esteri degli Emirati Arabi Uniti (UAE), Anwar Gargash, ha risposto dal proprio profilo twitter alle accuse mosse dal ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, contro Abu Dhabi, affermando che la Turchia dovrebbe smettere di interferire negli affari arabi. L’inviato dell’ONU in Libia, nella stessa giornata, ha dichiarato che il popolo libico è stato portato allo stremo dal conflitto in corso e teme che il proprio futuro gli venga portato via da attori esterni al conflitto e al Paese.
Il Parlamento egiziano ha recentemente votato per approvare l’invio delle sue Forze armate per combattere ”milizie criminali” e “gruppi terroristici stranieri” sul Fronte occidentale. Sebbene il voto parlamentare non abbia nominato direttamente la Libia, è ampiamente noto che il Fronte occidentale è un chiaro riferimento al crescente caos lungo il confine dell’Egitto con la Libia.
L’Egitto continua a vedere Haftar come uno “stabilizzatore” necessario per il Paese, che è rimasto in uno stato di confusione e spargimento di sangue dal rovesciamento di Gheddafi nel 2011. Una dichiarazione votata dal parlamento egiziano autorizza: ”Lo spiegamento di membri delle Forze armate egiziane in missione di combattimento fuori dei confini egiziani, per difendere la sicurezza nazionale, contro le milizie armate criminali e gli elementi terroristici stranieri”. Praticamente, si dà il via libera all’intervento diretto dell’esercito egiziano nel Paese confinante. Dopo il voto, la tv egiziana ha pubblicato uno scritto riportante le parole: ”Egitto e Libia, un popolo, un destino”.
A questo punto la minaccia di sanzioni esibita da Paesi imperialisti, come Francia, Germania e Italia, ai Paesi che inviano aiuti alle parti combattenti in Libia, fatta durante una riunione del Consiglio Europeo, risulta francamente ridicola. Entrambe le parti in conflitto in Libia hanno trovato forti appoggi esterni. Per ragioni logistiche, l’Egitto è fortemente avvantaggiato nell’intervenire. L’esercito egiziano è uno dei più potenti e preparati del Nord Africa. La Turchia, con il patto sul Mediterraneo firmato con la Libia di Sarraj rivendica lo sfruttamento delle risorse di gas offshore nella zona esclusiva di Cipro greca, in concorrenza con ENI e TOTAL.
L’Italia ha un ruolo fondamentale nell’estrazione ed esportazione di idrocarburi (gas e petrolio): un settore di grandissima importanza per l’economia libica. Per comprendere a pieno la centralità degli idrocarburi per la Libia basta citare due dati: il 70% del PIL nazionale e il 95% dell’export libico, che si basano sull’industria legata agli idrocarburi. Inoltre, la rendita che deriva dal settore degli idrocarburi rappresenta circa il 90% delle entrate statali, ed è utilizzata dal governo borghese libico per consolidare il consenso interno.
L’importanza dell’Italia è legata alla presenza di ENI nel processo di estrazione ed esportazione del petrolio e del gas. Per quanto riguarda l’estrazione, ENI è il principale produttore internazionale in Libia. Per quanto riguarda l’esportazione, una parte consistente degli idrocarburi libici raggiunge il nostro Paese. Il gas di Wafa e Bahr Essalam viene trasportato attraverso il gasdotto Greenstream fino al terminale di Gela, in Sicilia. Attualmente sono impiegati nella Missione di Assistenza e Supporto in Libia 400 militari italiani, 142 mezzi terrestri, 2 aeromobili e le unità navali del dispositivo nazionale “Mare sicuro”.
Il 16 Luglio la Camera dei Deputati ha votato a favore del rifinanziamento alla cosiddetta ”Guardia Costiera Libica”, previsto nel Decreto Missioni. Si tratta di un documento relativo alle missioni militari internazionali italiane (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno VII n. 84 a pag. 5) con un particolare rafforzamento della presenza militare italiana in Africa: nel Sahel (Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger), nel Golfo di Guinea (tra Nigeria, Ghana e Costa d’Avorio) e nel Corno d’Africa (Gibuti e Somalia), volte a contrastare il terrorismo. A queste missioni si aggiunge il sostegno alla Guardia Costiera Libica per il controllo delle frontiere.
Nel testo si legge: ”La missione EUBAM Libya è una missione di assistenza alla gestione integrata delle frontiere in Libia. L’obiettivo della missione è prestare assistenza alle autorità libiche nella creazione delle strutture statuali di sicurezza in Libia, in particolare nei settori della gestione delle frontiere, dell’applicazione della legge, della giustizia penale, al fine di contribuire agli sforzi volti a smantellare le reti della criminalità”… Per questo impegno hanno votato a favore Lega, M5S e PD, nonostante finte posizioni divergenti sul ruolo della Guardia Costiera Libica, i cui membri sono responsabili di ripetute violazioni dei diritti umani nei confronti dei migranti nei campi di detenzione libici e di collaborare con gli stessi trafficanti di esseri umani.
Vero obiettivo del governo italiano è quello di fermare alla frontiera libica quanti più migranti, mostrando che esiste una forte continuità tra governi di destra e di centro-sinistra sui valori di fondo. Nel 2017 l’allora ministro dell’interno, Marco Minniti, del PD, si è recato in Libia per siglare un patto con il primo ministro Fayez Al-Sarraj, con il fine di controllare i flussi migratori (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno V n. 50 a pag. 1) provenienti da quel Paese. Ciò ha portato a trattenere migliaia di persone nei centri di detenzione libici, in cui avvengono tuttora torture di ogni genere.
Nel mese di Giugno, in Tripolitania è stato scoperto l’orrore di otto fosse comuni con circa 200 cadaveri e il flusso dei migranti in fuga dalle carceri libiche, dalle torture e dai maltrattamenti, non si arresta. Il Decreto Minniti (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno V n. 50 a pag. 2) continua ad essere in vigore, nonostante le richieste di abrogarlo dall’anno della sua approvazione.
In un articolo di InfoMigrants del 2019, giornale che si occupa di migrazioni, viene evidenziato come la Guardia Costiera Libica sia in realtà composta in parte da persone che collaborano con le milizie delle fazioni coinvolte nel conflitto in Libia senza alcuna preparazione in materia di salvataggio. E, secondo un report del 2017 delle Nazioni Unite, la Guardia Costiera Libica affonda le imbarcazioni su cui si trovano donne, uomini e bambini, utilizzando armi da fuoco.
Nonostante le numerose denunce da parte dell’OIM (Organizzazione mondiale per le migrazioni), agenzia dal 2016 collegata all'ONU, i governi dei Paesi imperialisti europei non intendono interrompere la collaborazione con il governo libico. Quello della Libia non è mai stato un porto sicuro, per il conflitto e per le condizioni in cui vivono le persone nei campi di detenzione. Nel campo di detenzione di Karareem un gran numero di bambini vivono in condizioni degradanti, e le madri sono prive del sostentamento necessario per poter nutrire i neonati. Vi sono testimonianze di continui abusi e stupri. Mancano le cure necessarie, data l’inesistenza di un sistema sanitario.
Nei giorni scorsi un respingimento, delegato dall’Italia e dagli altri Paesi della UE ai libici, si è concluso in tragedia: tre sudanesi sono stati uccisi, e altri quattro sono rimasti feriti durante un’operazione di sbarco operato dalla Guardia Costiera libica. Lo scorso anno un centro di detenzione a Tripoli era stato colpito da un raid aereo, provocando 53 vittime. Dal 2017, anno in cui è stato firmato l’accordo con la Libia, più di 46mila persone sono state riportate in quelli che internazionalmente vengono considerati dei lager. Una vera e propria deportazione che i Paesi imperialisti della Unione Europea hanno affidato alle milizie libiche. L’Italia ha costituito nel tempo una vera e propria flotta libica: 6 motovedette cedute all’indomani dell’accordo del 2017, poi altre 12 cedute gratuitamente, 20 battelli di nuova costruzione, almeno 7 motovedette di proprietà libica per cui sono state effettuate manutenzioni.
Nel continente africano le persone che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno crescono di numero: da 405 a 413 milioni fra gli anni 2013/2015. Nell’ultimo decennio si registrano due dinamiche significative: da un lato la crescente sottoalimentazione va di pari passo con un aumento dell’import alimentare, con una media di +13% annuo fra il 1995 e il 2014. Dall’altro, il crollo dei prezzi delle materie prime all’inizio del decennio ha accelerato la stagnazione delle economie africane incentrate sull’export di minerali, prodotti agricoli, petrolio e gas. Una crisi che l’epidemia da Covid-19 amplifica: secondo le più recenti previsioni, il PIL del continente africano crollerà da 1,6% a 5,1% (il Fondo Monetario Internazionale sta rivedendo le previsioni in senso peggiorativo).
Con l’intervento del capitalismo nel continente africano, a partire da quello occidentale, con il suo seguito di guerre per l’accaparramento delle risorse naturali, con la distruzione delle economie locali più arretrate, è iniziato anche il drammatico inferno dello sfruttamento capitalistico locale. Solo la distruzione ovunque del sistema capitalistico eliminerà alla base le condizioni di ogni miseria, delle guerre e delle migrazioni per necessità.

Alternativa di Classe

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