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In soccorso alla popolazione civile

In soccorso alla popolazione civile

(1 Giugno 2011) Enzo Apicella
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Guardare la pagliuzza e non vedere il trave nei propri occhi

(27 Marzo 2011)

Visto che in giro c'è ancora qualcuno che ha dei dubbi sulla natura della crisi libica e soprattutto sull'intervento occidentale, riportiamo questo articolo di Bruno Amoroso dal manifesto, giornale che pur si è distinto per una campagna che nei fatti invocava l'intervento a sostegno dei rivoltosi. L'articolo ci richiama anche alla considerazione che quello militare è solo uno degli interventi messi in campo, poiché si lavora a 360 gradi per poter mettere le mani sulla ricchezza libica.
Molte delle sigle cosiddette pacifiste (vedi arci, Sinistra e Libertà e consimili) dopo aver invocato anche loro l'intervento militare, oggi dicono che questo è andato oltre il suo mandato (ma vah!), e quindi si deve smettere di bombardare, suggerendo misure alternative come l'embargo, proposto anche dalla "pacifista" Germania.
Come se l'embargo, o le misure alternative come quelle riportate dall'articolo di Amoroso, non fossero altrettante strategie di aggressione e di strangolamento per raggiungere gli stessi risultati. Ricordiamo ancora che l'embargo nei confronti dell'Irak, mantenuto in piedi come misura alternativa per 10 anni tra la prima e la seconda aggressione militare (anche lì c'erano da proteggere i poveri kurdi -ed oggi vediamo con quali esiti) ha provocato oltre un milione di morti e creato le condizioni per rendere più facile l'invasione del 2003.
L'aspetto più desolante rimane lo smarrimento di tanti attivisti anche all'estrema sinistra che immemori della storia patria, dimenticano il ruolo svolto dall'Italia proprio nei confronti della Libia, e di come l'attizzamento delle divisioni tribali e territoriali, siano stati lo strumento attraverso cui affermare il proprio dominio. Basta andarsi a guardare qualche libro di Del Boca sull'argomento per rendersene conto invece di parlare a vanvera di proletariato in rivolta. Non che in Libia manchino i proletari anche tra coloro che si sono rivoltati in Cirenaica, ma questi godevano, nella situazione data, di una condizione di relativo privilegio, poiché in Libia i lavori manuali e più faticosi li svolgeva la enorme massa di emigrati, molti dei quali sono stati giustiziati dai rivoltosi perché considerati mercenari di Gheddafi.
Che ce se ne renda conto o meno siamo alla riedizione, con l'aggravante di esserci già passati attraverso, della solità alternativa: né con l'intervento militare occidentale, né con il regime esistente, cadendo in una falso dilemma paralizzante che infatti non sta producendo significative mobilitazioni contro la nuova aggressione imperialista in atto.
Il bisogno di anteporre la condanna di Gheddafi e la necessità della sua cacciata alla critica dell'intervento occidentale è un dazio pagato alla propaganda imperialista che depotenzia nei fatti ogni seria opposizione all'aggressione in corso. Mettere sullo stesso piano i due aspetti significa confondere le acque e non aver compreso la vera natura dell'imperialismo. A rigor di logica se proprio si sente in bisogno di precisare che non si ha niente da condividere con il regime di Gheddafi si dovrebbe dire " contro l'intervento imperialista non con il regime libico" che è una cosa ben diversa.
Ma volendo essere ancora più provocatorii diremo che se anche si trattasse di un regime molto peggiore di quello di Gheddafi noi ci schiereremmo innanzitutto contro l'intervento militare e gli interessi del nostro stato, come di quello delle altre potenze occidentali, per il banale motivo che confondendo i due livelli nella migliore delle ipotesi si mettono sullo stesso piano le responsabilità delle maggiori potenze occidentali con quelle di un regime che a suo modo ha cercato di resistere a queste pretese. Ovvero tra chi domina e chi è dominato nella gerarchia mondiale.
In realtà spesso ci sembra che la critica al regime colpito prenda addrittura il sopravvento rispetto alla condanna dell'intervento militare occidentale e questo risulta ancora più sospetto.
In tal modo non si risponde alla domanda di fondo: l'intervento occidentale porterà qualche reale miglioramento alla stragrande maggiornaza della popolazione locale e a maggior ragione agli sfruttati, sia in termini di diritti che di condizioni di vita e di lavoro, oppure prepara un ultriore aggravamento, compresi gli attuali rivoltosi? La storia recente e passata avrebbe dovuto fornire validi esempi in merito e perseverare rappresenta un madornale errore che, oltre ad essere diabolico, comincia a diventare alquanto sospetto. Per tale motivo riteniamo sbagliato attestarsi sulla falsa alternativa né... né... , poiché il primo compito degli attivisti, a maggior ragione se si definiscono internazionalisti e risiedono nei paesi autori dell'aggressione imperialista, è quello di mobilitarsi e denunciare le vere mire del proprio stato e del proprio capitale, senza se e senza ma.
A questo proposito vogliamo citare uno dei cavalli di battaglia di coloro che mettono sullo stesso piano il regime di Gheddafi e quello delle potenze occidentali. Ci riferiamo alla vicenda degli immigrati segregati in Libia come frutto dell'accordo con l'Italia. Non vi è dubbio che in questo caso il regime libico si è macchiato di responsabilità tremende , ma troppo spesso ci si dimentica di denunciare che questo ruolo di kapò egli lo ha svolto per conto dei mandanti occidentali ed in primis l'Italia. Come mai tutto questo furore contro l'esecutore materiale e tanto silenzio contro i mandanti di tale crimine, che oggi si ergono a crociati contro di lui? Si fa finta di non vedere che nelle stesse ore si propone alla nuova Tunisia uscita dalla rivolta, di sottoscrivere lo stesso tipo di accordo per fermare i migranti; eppure non sentiamo al proposito grida di scandalo, mentre queste si levano fino al cielo nel momento in cui si decide di attaccare militarmente un regime che aveva accettato di svolgere precedentemente lo stesso ruolo. Ecco cosa intendiamo per dazio pagato alla propaganda imperialista quando diciamo che si sente l'impellente bisogno di anteporre la condanna del regime a quella dell'intervento militare occidentale.
buona lettura

collettivo Red Link




Dal manifesto 26/3/11

GUERRA ED ECONOMIA


di Bruno Amoroso

Capitali congelati, un furto «umanitario»

La nuova aggressione contro la Libia e il mondo arabo delle potenze militari occidentali fornisce alcune conferme e nuovi insegnamenti. Tra le conferme: l'ipocrisia imperialistica dell'Europa che con questa guerra mette una pietra tombale sulla proclamata partnership euro-mediterranea; la sempre risorgente vocazione al colonialismo socialista della sinistra europea mossa dall'istinto di sciacallaggio di poter attingere al dividendo politico delle imprese militari (la retorica nazionalista dell'inno e della bandiera) per far cadere il governo Berlusconi; l'inservibilità accertata di una Costituzione che come accade per il «lavoro», la «partecipazione» e l'«equità sociale» (evitiamo la parola «giustizia» perché è troppo sputtanata), rivela ancora una volta come le dichiarazioni di principio sul «ripudio della guerra» (art 11 della Costituzione) possono liberamente e autorevolmente essere estese dal presidente della repubblica a iniziative delle organizzazioni internazionali volte non a questo scopo, ma a legittimare iniziative «di guerra».
Ma le novità più interessanti sono sul piano dell'economia. Nel corso degli ultimi anni di fronte a una situazione economica e sociale acuta, ai gravi deficit democratici che questi comportano in Europa, ai numerosi episodi di economia criminale gestiti da sistemi finanziari e bancari nazionali e internazionali, ci è stato ripetutamente spiegato che non si poteva fare nulla, perché l'«economia di mercato» non consente interventi sui mercati e sulla finanza: avremmo spaventato i mercati, gli investimenti. Intervenire su istituzioni come le borse o col controllo politico democratico delle banche centrali, non era neanche pensabile, se non ad utopisti come Federico Caffè e pochi altri.
Cosa è accaduto con la «crisi libica», che è in realtà un complotto per espropriare questo paese delle proprie ricchezze, così come sono state un complotto le recenti crisi finanziarie? Improvvisamente abbiamo scoperto che si possono, tecnicamente e politicamente, espropriare e congelare ingenti capitali investiti in imprese e depositati nelle banche individuandone con certezza la provenienza, la collocazione e le appartenenze. Anche questo, ovviamente, può spaventare investitori privati e pubblici di altri paesi che avessero depositato capitali nelle banche europee. Tuttavia si può fare. E lo si è fatto per un «sentimento» di giustizia verso un gruppo di rivoltosi di una provincia di uno stato amico dei quali peraltro sappiamo molto poco (e quello che sappiamo è inquietante perché manovrato da fuori). Quindi ora abbiamo appreso che lo Stato può congelare ed espropriare capitali per ragioni di «giustizia». Per esempio per proteggere i cittadini greci o italiani dai furti della finanza. O forse i milioni di europei ridotti alla miseria non meritano la stessa solidarietà degli «insorti di Bengasi»?
Ma abbiamo appreso molto di più grazie all'impegno messo in atto da un noto economista, Alberto Quadrio Curzio, sul Corriere della Sera (20 marzo 2011, p. 34). Secondo l'economista la guerra offre grandi prospettive di benessere ai paesi arabi tanto che il vertice che ha deciso la guerra ha anche prospettato grandi progetti economico finanziari per il Medio Oriente con un «Programma di Democrazia e Prosperità». Strano perché è dal 1995 che con l'Accordo di Barcellona con i paesi arabi si parla di prosperità condivisa ma i soldi non si sono mai trovati.
Ma ora sembra si possano trovare. Vediamo come. Congeliamo come abbiamo fatto con i soldi della Libia i capitali dei paesi arabi e li mettiamo in una bella Banca per lo Sviluppo (questa è la proposta qui semplificata), che però amministriamo noi a Roma insieme ai governi arabi amici (non sto semplificando). Così da questa gestione «comune» del petrolio degli arabi, dei soldi degli arabi e dei loro mercati creeremo una area di prosperità della quale, ovviamente, godranno anche gli europei evitando i rischi di progetti di autonomia politica ed economica che pochi sconsiderati come Gheddafi potrebbero sollecitare nel mondo arabo. Naturalmente il cervello di tutto ciò sarebbero i sistemi finanziari e bancari europei, dei quali conosciamo la trasparenza e l'attendibilità politica.
Insomma un bel piano finanziario che ci fa capire meglio le ragioni della guerra che rischiavano di restare oscure.

collettivo Red Link

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