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Thyssen: la logica della rappresaglia

(18 Maggio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

Thyssen: la logica della rappresaglia

foto: www.radiocittaperta.it

“Il potere offeso si rifà sugli innocenti, e la colpa della strage non è di chi li uccide ma di chi ne ha provocato l'onnipotente furore violando l'intangibilità del suo dominio “ (A. Portelli, il manifesto, 15 Maggio 2011)

18-05-2011/14:58 --- A meno di una settimana dall'ufficializzazione da parte dei vertici della ThyssenKrupp del disinvestimento nello stabilimento umbro di Terni, la presidente di Confindustia Emma Marcegaglia è stata protagonista di un incontro 'riparatore' con i parenti delle sette vittime del rogo nello stabilimento torinese a seguito dell'applauso che ha accolto, solo poche settimane fa, l'ex ad dell'azienda condannato a 16 anni e mezzo per omicidio volontario dal tribunale di Torino per la morte dei sette operai, nella sede bergamasca di Confindustria. Ieri mattina, nella sala del Cda del Palaolimpico Isozaki, la Presidente di Confindustria ha ricevuto una delegazione di parenti e si è impegnata a proporre al Presidente della Repubblica l'istituzione di un Premio sulla sicurezza dedicato alla memoria proprio degli operai torinesi scomparsi. Quale la lezione per un paese che sta disimparando i diritti? Sempre la stessa: il contentino, cui i media fanno da cassa di risonanza per rabbonire l'opinione pubblica. Come ricorda Portelli: “Questo è il senso non tanto dell'applauso della Confindustria a Espenhan, quanto dell'invito stesso: lo scandalo sta nel chiamarlo a parlare, poi chiaro che gli batti le mani (mica l'hai invitato per sputargli in faccia) da cui dipende, in una subalternità sempre più gravosa e inattaccabile, la sopravvivenza di chi vive del proprio lavoro e per viverci corre il rischio di morirci”.
Ed è esattamente a questo che vanno incontro i 3600 operai che probabilmente perderanno il posto di lavoro. E' il modello-Marchionne che avanza inesorabile: i vertici ThyssenKrupp hanno scelto da molto prima della sentenza la vendita dello stabilimento ternano. Eppure, la decisione appare come una vendetta che risponde ad un teorema che si sta espandendo a macchia d'olio nel nostro paese: 'o si fa come dico io, o me ne vado'. D'altro canto, a seguito della sentenza di Torino, Klaus Schmitz -un alto dirigente del gruppo tedesco - aveva dichiarato “Ora sarà difficilissimo lavorare con voi”. Detto fatto, ma deciso prima.
Naturalmente dalla Germania si preoccupano di preoccuparsi, dicono che la vendita deve assicurare il mantenimento, da parte degli acquirenti, dei posti di lavoro. Eppure questa politica di tagli non dipende dai conti complessivi dell'azienda. Il gruppo ThyssenKrupp ha chiuso, infatti, il primo semestre dell'anno fiscale 2010/2011 con un aumento dell'utile operativo del 22% a quota 770 milioni di euro, a fronte di un fatturato in crescita del 21% a 23, 6 miliardi di euro.
E' un problema di strategia, dunque. E si sa, le multinazionali non sono legate al territorio. E se proprio il territorio deve essere chiamato in causa, è quello tedesco ad essere salvaguardato. Ne è dimostrazione l'accordo stretto dall'azienda con il sindacato metalmeccanico tedesco Ig Metall che ha detto sì, in gran segreto, al piano di riorganizzazione.
Susanna Camusso, segretario generale Cgil, ha criticato quello che definisce “nazionalismo sindacale dell'Ig Metall”, colpevole di non aver consultato i colleghi italiani prima della firma. Orizzonti e limiti della globalizzazione o solo, per quello che ci riguarda, offensiva contro l'unità sindacale? Alla ThyssenKrupp è una vecchia storia, un film già visto. Quando l'azienda decise di ridurre gli investimenti sullo stabilimento torinese per traghettarlo verso la chiusura, a rimetterci sono state la sicurezza e poi la vita di sette ragazzi morti bruciati vivi, non certo il fatturato della multinazionale dell'acciaio. Oggi sono passati tre anni e tocca a Terni subire la sorte della riduzione degli investimenti. Ai microfoni di Radio Città Aperta, Giorgio Cremaschi (presidente del comitato centrale della Fiom Cgil) commentando le notizie di queste settimane sulla Thyssen dice: “E' facile pensare che non sarà l'azienda a rimetterci ma che saranno che generali condizioni di lavoro degli operai. Non è che si vende uno stabilimento, soprattutto un polo complesso come quello dell'acciaio, in poco tempo. Di tempo ce ne vorrà molto, e i tagli non saranno certo sui profitti, ma più probabilmente sulla sicurezza e dunque sulla qualità del lavoro”. E' questa dunque la lezione della Thyssen: maggior profitto a spese della solidarietà perduta dei lavoratori. Una frattura tra sindacati nazionali, come evoca la Camusso, ma anche una frattura tutta interna al fronte sindacale del singolo stato. Cremaschi, intervenendo a un dibattito su Micromega critica la normalizzazione dell'opposizione sindacale, prendendo spunto dall'ultimo documento votato a maggioranza dal direttivo della Cgil che porta l'eloquente titolo di “Patto per la crescita”: “La sintesi, per quanto brutale - dice Cremaschi- chiarisce il senso negativo di questa scelta. La Cgil fa propria la priorità della 'crescita', sulla quale si stanno orientando non solo le posizioni di Confindustria ma tutta la politica economica dell'Unione Europea.” E continua: “Tutti vogliono la crescita, ma la crescita di che? (…) La Cgil respinge le clausule di responsabilità con cui Marchionne in Fiat attenta alle libertà costituzionali dei lavoratori. Tuttavia accetta l'idea che ci sia una 'esigibilità dei contratti' che significa che una volta che qualcuno ha firmato, non puoi discutere né tantomeno rifiutare”.
E' la logica della rappresaglia, della dinamica premi-punizione, la logica del profitto e del ricatto da parte dei padroni, che unita alla logica dell'ambiguità sindacale fa danni solo ai lavoratori.

Francesca Mannocchi, Radio Città Aperta

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